Baima Bollone: il medico che ha fatto l’autopsia sul corpo di Gesù
Lorenzetto: Ha indagato sulla morte di Moro e di Calabresi e anche sul sangue di S. Gennaro. Ma soprattutto ha avuto per sei volte tra le mani la Sindone. «E`autentica», dice.
In un lenzuolo di lino lungo 437centimetri e largo 111, infine rinchiuso in un sepolcro. A Gerusalemme erano circa le 16 del 7 aprile dell’anno 30 o forse 33. Quasi 40 ore dopo il sepolcro fu trovato vuoto; restava soltanto il lenzuolo.
Trascorsi 1948 anni un medico legale piemontese, Pierluigi Baima Bollone, ha avuto la possibilità di mettere le mani su quel pezzo di stoffa giunto nel Duomo di Torino dopo inenarrabili peripezie, e di eseguire la più complessa e avvincente autopsia della sua carriera, un fatto unico nella storia della medicina.
Una autopsia senza la salma, perché dicono che il cadavere sia resuscitato: di più , che sia salito in cielo.
Trascorso un altro quarto di secolo, il professor Baima Bollone, 65 anni, ordinario di medicina legale nelle facoltà di medicina e di giurisprudenza dell’Università di Torino, un “archeologo del corpo”, come ama definirsi, che ha indagato anche sulle vittime del terrorismo, dall’onorevole Moro al commissario Calabresi, è ancora qui a occuparsi della vita, della morte e dei miracoli di quell’uomo, l’Uomo della Sindone, lo chiamano Gesù Cristo, il Messia, il Salvatore, il Maestro, il Figlio di Dio.
Si considera a modo suo risorto anche Baima Bollone, precisamente l’8 agosto 1997, guarda caso un venerdi`.
Forse l’Uomo della Sindone non voleva privarsi del suo anatomopatologo prediletto.
Baima Bollone: “Avevo da anni un gnocchetto nel collo, sotto la mandibola destra; era stato esaminato decine di volte dai colleghi – vai tranquillo – mi dicevano. Finché decido di farmi bello per l’estate e chiedo al chirurgo di togliermelo.
Dovevo stare sotto i ferri mezz’ora : invece sono uscito dalla sala operatoria dopo quattro ore.
«Gigi, mi dispiace; è un tumore. Ti restano quaranta giorni di vita se tutto va bene», mi ha informato il collega. Quello stesso pomeriggio, nonostante fosse agosto, ho avuto la fortuna di trovare un amico notaio: e ho sistemato le cose di famiglia, sa dovevo lasciare moglie e due figlie. Verso sera è arrivato il miglior anatomopatologo che esista al mondo, Rosai, lavora a New York ma era in vacanza in Italia, e ha confermato la diagnosi : carcinoma squamoso del collo. Però a me seccava molto andarmene cosi`in fretta. Ho fatto la mia bella indagine di mercato ed ho scoperto che uno dei quotatissimi, per questo tipo di cancro, è il professor Pareshi di Legnano. Un orologiaio: non perde un colpo. Qualche tempo dopo mi ha fatto la radicale del collo, vede?, mi manca tutta la parte destra. Poi la radioterapia, ed eccomi qua, a Dio piacendo. Mi è servita questa esperienza. Ho imparato ad aumentare la produttività del 100 per 100 . Di notte, anziché dormire, scrivo libri, ormai sono una ventina, cinque sulla Sindone, l’ultimo è “I miracoli di Gesù”, perché ho scoperto che Lui centra, centra sempre; Ero quasi afono e allora per rivalsa ho raddoppiato le lezioni all’università. Ho fatto il bravo paziente, mi sono messo in coda alla Asl con tutti gli altri, un giorno mi è anche capitato un infermiere che, uscendo dalla porta con il referto in mano, ha urlato: «Chi è quello con il cancro?» Si mi è proprio servita”.
Nelle mani del professor Baima Bollone i morti si sentono per qualche ora ancora vivi. All’ospedale Gradenigo ha preteso che l’obitorio, il suo orgoglio, fosse vicino alla radiologia e non confinato nell’ultimo sgabuzzino in base al principio che, tanto, i morti sono morti. Cosicché gli viene naturale portarmi a vedere il tavolo autoptico di ultima generazione, le celle frigorifere sormontate da un led rosso che oscilla tra i tre e i cinque gradi e la “sala dei dolenti”, si chiama cosi`, dove i parenti attendono che i propri cari vengano preparati per l’ultimo viaggio.
Sulla scrivania tiene il metro con qui prende le misure anatomiche alle salme, un metro giallo, da sarto, simbolo di una medicina domestica, umana.
Chi è un medico legale?
” E`una persona che vuole sapere la verità, non si da pace finchè non ha capito casa è accaduto”.
La consuetudine con la morte da assuefazione oppure per lei ogni autopsia è come se fosse la prima?
“Dipende dallo stato d’animo. Un bambino morto coinvolge sempre; pero`capita anche con un vecchietto di ottant’anni : pensi a tuo padre, a tua madre”.
Quando ha potuto toccare per la prima volta la Sindone?
“Il 6 ottobre 1978. Mi interessavo da tempo di microtracce. Mi cerco`il Centro internazionale di sindonologia e mi chiese se ero in grado di provare la natura ematica di alcune tracce sul sacro lino.
Mi fu permesso di prelevare sei coppie di fili, trama più ordito.
La conclusione è stata che è vero sangue umano di gruppo AB”.
Perché non esegui`l’esame del Dna ?
“Anni dopo s’è fatto anche quello. Ma è risultato inattendibile, perché il reperto è troppo inquinato.
Vi è un eccesso di cromosomi X femminili.La Sindone è stata manipolata nel corso dei secoli da tessitrici, pie donne e religiose”.
Che cosa ha provato toccandola?
“All’inizio niente.Poi un giorno mi sono seduto dalla parte dei piedi e l’ho guardata obliquamente; ed è accaduto un fatto straordinario : ho avuto la nettissima percezione del rilievo, della terza dimensione.Come se Lui fosse li`, presente.E`una sensazione che ho riprovato altre volte, anzi tutte le volte.E anche colleghi scienziati, di religioni diverse dalla mia, protestanti, ebrei, atei o agnostici, l’hanno provata.Sembra di vederlo ; è la frase che ci siamo sempre detti”.
Come si spiega?
“Le immagini della Sindone non hanno alcuna direzionalità, come invece accadrebbe se si trattasse dell’opera di un pittore.L’assenza di direzionalità è la prova inequivocabile che esse sono state impresse direttamente da una struttura tridimensionale, come è appunto quella di un cadavere”.
Un intervento pittorico è da escludere assolutamente?
“Assolutissimamente . Sul lenzuolo ho trovato cellule umane, globuli rossi e cellule epidermiche in corrispondenza delle lesioni e delle macchie ematiche, materiale che non puo essere utilizzato da un pittore.E, quel che più conta, le indagini hanno escluso ogni traccia di pennellatura o la presenza di particole di colore”.
Due ricercatori britannici hanno attribuito il lenzuolo a Leonardo da Vinci, che nel 1492 lo avrebbe fabbricato su commissione di papa Innocenzo VIII.
“Peccato che la sua esistenza fosse nota 248 anni prima che Leonardo nascesse”.
Quante volte ha lavorato sulla Sindone?
“Sei”
Complessivamente per quante ore l’ha potuta analizzare?
“La prima volta per sei giorni consecutivi, giorno e notte. Per periodi più brevi le volte successive”.
Perché hanno scelto proprio lei?
“Perché ero a tiro. O forse perché davo fiducia”.
Dal punto di vista storico, dove e come si materializza la Sindone?
“La testimonianza più antica è un manoscritto del 1205 conservato nella Biblioteca nazionale di Copenaghen. In esso Roberto de Clari, crociato della Piccardia, descrive la conquista di Costantinopoli a cui partecipo` il 12 aprile del 1204 e racconta di “un monastero chiamato Santa Maria delle Blacherne, dove stava la Sindone in cui fu avvolto Nostro Signore che ogni venerdi`si alzava tutto dritto, cosi`che se ne poteva vedere la figura”.
Quale è la prova regina della autenticità del lenzuolo?
“Che non ce n’è una contraria”.
Me ne dica un’altra.
“Che sono tutte favorevoli”.
Sentiamo.
“Cominciamo dal tessuto. Di lino, a spina di pesce, è un unicum nella storia tessile.Sul lato lungo presenta una cucitura perfettamente identica a quella di uno dei circa duemila brandelli di stoffa rinvenuti a Masnada, la città fortificata da Erode il Grande su una montagna in riva al Mar Morto, dove nel 72 d.C. un migliaio di Zeloti si suicidarono in massa per non arrendersi ai romani”.
Poi?
“I pollini. Sulla Sindone ve ne sono di 48 tipi.Uno è il Cistus creticus, una specie di viola che si trova solo nei dintorni di Gerusalemme.Una buona metà sono pollini di Gundelia tournefortii, che cresce tra Gerusalemme e il Mar Morto.C’è anche un particolare cappero, lo Zygophylum dumosum.Questi tre vegetali fioriscono in tarda primavera solo in quella ristretta area della Palestina dove si svolsero i fatti di cui stiamo parlando. Sugli arti inferiori e sui talloni del Crocifisso sono state rinvenute tracce di aragonite, un minerale tipico di Gerusalemme”.
Poi?
“Le monete. Sono due impronte rimaste impresse nella zona delle orbite oculari. Quella sul sopracciglio sinistro l’ho scoperta nel 1996 analizzando le foto tridimensionali.Cesare Colombo, un numismatico di Cernusco, mi ha procurato alcuni esemplari originali.E` un lepton in bronzo, in ebraico prutah , la più piccola delle monete battuta sotto Ponzio Pilato per conto dell’imperatore e maneggiate quotidianamente dai giudei, la monetina della vedova del Vangelo, per intenderci.Reca la scritta Tibepiou Kaiacapos, in maiuscolo, che significa di Tiberio Cesare , e la data LIS, dove L sta per anno, I per dieci e S per sei, quindi il sedicesimo anno di Tiberio. Considerando che Tiberio succedette ad Augusto nel 14 d.C., siamo intorno all’anno 30: la concordanza con la data della crocifissione di Gesù è totale. Anche ammesso “e non concesso” che la Sindone sia una bufala, nessun falsario medievale poteva conoscere queste monetine, identificate dai numismatici soltanto agli inizi del secolo scorso”.
Ma che ci facevano due monetine sopra gli occhi?
“Nel mondo greco-romano si credeva che il defunto, appena giunto nell’aldilà, dovesse pagare un obolo al traghettatore sul fiume infernale Stige. Ma è difficile immaginare che i discepoli del Maestro abbiano messo dei simboli pagani su cadavere. Su questo busillis sono stato pero`illuminato da Giancarlo Altieri, direttore del Medagliere dei Musei Vaticani, secondo il quale l’ortodossia giudaica non mostrava particolare avversione per le monete pagane, tant’è che le offerte al tesoro del tempio venivano fatte in sicli di Tiro con l’effige del dio Melquart”.
Vabbè , ma perché sugli occhi?
“Il lepton pesava 1,8 grammi, peso sufficiente per tenere chiuse le palpebre di un defunto, che a circa sei ore dal decesso, per effetto del rigor mortis, tendono a riaprirsi”.
Poi?
“Le ferite. Perfettamente coincidenti con il racconto degli evangelisti. Al casco di spine sono attribuibili 8 ferite da punta sulla fronte e 13 sulla nuca. A parte il vivace stimolo doloroso, a ogni respiro o spasmo muscolare le spine lacerano terminazioni nervose e vasi, provocando un’intermittente perdita di sangue.Si contano circa 120 lesioni provocate dal flagello sulla schiena, torace e faccia. Una è sul naso. Tipiche lesioni binate, perché il flagrum romano era costituito da tre o quattro strisce di cuoio, al termine delle quali vi erano due palline unite da una barretta.Dalle colature ematiche sugli avambracci si deduce che i chiodi non furono piantati nel palmo delle mani: la forza di trazione, pari a un paio di quintali, avrebbe strappato le estremità degli arti superiori e il corpo si sarebbe staccato dalla croce”.
Furono perciò conficcati nei polsi?
“Si, in corrispondenza del cosiddetto – spazio di Destot – che si trova fra la prima e la seconda filiera delle ossa del carpo. In pratica lo snodo del polso. Nella Sindone manca il pollice; vi è una spiegazione anatomica: il passaggio del chiodo lesiona il nervo mediano e cio` comporta la flessione involontaria del primo dito, che si raccoglie nel palmo della mano”.
Veniamo alla ferita nel costato…
“Giovanni scrive che «uno dei soldati con un colpo di lancia gli colpi`il fianco e subito ne usci` sangue e acqua» . In gergo medico si chiama sangue dessierato, quindi non vitale, perche il fenomeno si realizza solo dopo la morte. L’alone acquoso intorno alla ferita, che è lunga 4,5 centimetri e larga 1,5, è punteggiato da macchie scure: la prova dell’avvenuta separazione del sangue nelle sue componenti, cioè globuli rossi e siero”.
Come morì l’Uomo della Sindone?
“Non certo per il colpo di lancia. La crocifissione era studiata apposta per produrre una lentissima asfissia meccanica. Il patibolo, a forma di “T”, aveva un piolo nel palo verticale per consentire al condannato di reggersi alla meglio.Sotto i piedi veniva apposto un appoggio detto suppedaneum. Tutti accorgimenti per prolungare l’agonia della vittima. I Vangeli narrano che alla fine Gesù emise un urlo, quindi reclinò il capo e spirò. Descrizione compatibile con un’ischemia cardiaca terminale, assai probabile in un soggetto lungamente provato dalle torture e deprivato di liquidi, che si trovava in una situazione nota in medicina come inspissatio sanguinis, ossia sangue iperviscoso, iperdenso e ormai privo di ossigeno”.
Sembrerebbe da escludere un caso di morte apparente.
“L’esame medico-legale attesta senza ombra di dubbio che quel lenzuolo ha avvolto un cadavere e per non più di quaranta ore, perché non vi sono tracce di putrefazione. L’assetto, poi, dimostra chiaramente la rigidità cadaverica. Inoltre il professor Bruno Barberis, docente di meccanica razionale all’Università di Torino, ha preso in considerazione le sette più significative caratteristiche che l’Uomo della Sindone ha in comune con il Cristo dei Vangeli. E ha calcolato che se sotto i Romani, per assurdo, fossero stati crocifissi 200 miliardi di condannati, uno solo di questi potrebbe avere tutte e sette le caratteristiche dell’Uomo della Sindone”.
Resta da chiarire come si è formata l’immagine. Qualcuno ha parlato dello sprigionarsi di un’energia sconosciuta. Potrebbe essere la Resurrezione quest’energia?
“Non lo so. In natura le energie conosciute sono soltanto tre: la radiazione elettromagnetica; la forza gravitazionale; l’energia nucleare. Qualcuno ha anche ipotizzato una esplosione atomica e in effetti io stesso ho visto impresse su alcune pareti di Hiroshima e Nagasaki le silhouette evanescenti di tre persone disintegrate dalla bomba, smaterializzate per così dire, ed erano molto simili all’Uomo della Sindone. Ma è una strada che non mi piace e che non porta da nessuna parte. Senza contare che dopo una esplosione atomica non avremmo più avuto né Gerusalemme né la Sindone”.
E allora?
“Non conosciamo la natura della forza che ha prodotto l’immagine, ma il microscopio ci spiega com’è fatta l’immagine. E con certezza sappiamo che è stata prodotta da una azione fisica, non soprannaturale. Del resto, se il buon Dio decide di compiere un miracolo, le pare che prima debba fissare le regole?”.
Però nel 1988 la prova del carbonio 14 eseguita in tre diversi laboratori, Zurigo, Oxford e Tucson, ha datato il lenzuolo fra il 1260 e il 1390.
“Era la seconda volta al mondo che la radiodatazione al carbonio 14 veniva eseguita su di un tessuto. Quindi un metodo per nulla collaudato. E` capitato che il carbonio 14 datasse come vecchi di 20000 anni gusci di lumache vive. Ho inviato a Willi Wolfli, direttore del laboratorio dell’Istituto di fisica delle medie energie presso il Politecnico federale di Zurigo, alcuni campioni di tessuto prelevati da mummie egiziane; sarebbe stata una controprova interessante.
Non mi ha neppure risposto”.
Ha mai avvolto per quaranta ore in un lenzuolo la salma di una persona morta in maniera cruenta, per esempio in un incidente stradale, per vedere cosa resta sul tessuto?
“In 35 anni passati al vecchio obitorio di via Chiabrera non mi è mai capitato di vedere impronte di alcun tipo su teli in cui venivano avvolte le persone indigenti trovate senza vita. Pero`c’è il caso Les”.
Chi è?
“Un uomo di colore di 44 anni immigrato in Inghilterra dalle Indie occidentali. Muore di carcinoma pancreatico nel marzo del 1981 in un ospizio di Thorton. Gli infermieri notano sulla federa del materasso delle macchie che hanno resistito anche al lavaggio con la candeggina: è l’immagine di una mano aperta, completa di polso e dita. Da un esame più accurato si evidenziano distintamente le impronte di altre parti anatomiche: mento, braccia, spalle, glutei, cosce. Il mio collega James Cameron, medico legale della London hospital medical school, ritiene che siano state prodotte dagli enzimi contenuti nel liquido che il corpo trasuda nei casi di cancro al pancreas”.
Conosce altre sindoni?
“Le bende funerarie dovrebbero essere recuperate prima dell’inizio dei fenomeni di decomposizione, il chè ovviamente non rientra nelle consuetudini di nessun popolo. Ma nel 1950, durante la ricognizione canonica sulla salma incorrotta del monaco eremita Youssef Makhlouf, morto la vigilia di Natale del 1898 in Libano, il sudario mostrava sia pure confusamente i lineamenti del cadavere”.
Come è che lei, un laico, è il più entusiasta sostenitore dell’autenticità della Sindone, mentre le gerarchie ecclesiastiche appaiono prudenti?
“Avranno qualche problema a gestire l’argomento. Io non indosso la talare. Dico quello che vedo e che penso; è un oggetto autentico”.
Per incarico della curia di Napoli ha analizzato anche le reliquie di San Gennaro, che conclusioni ha tratto?
“Dentro l’ampolla c’è qualcosa che allo spettroscopio si comporta come il sangue. Alcuni sostengono che quel liquido raggrumato si puo fabbricare con una miscela di elementi chimici per poi farlo sciogliere scotendolo.A parte che più di una volta il prodigio non è avvenuto, in altri casi è avvenuto senza che l’ampolla venisse toccata da nessuno, io dico: venite con questo liquido e sottoponiamolo allo spettroscopio. Si vedrà che non ha nulla in comune con il sangue”.
E l’Uomo della Sindone che tipo era?
“Alto circa un metro e 80, complessione atletica, il cadavere doveva pesare intorno ai 68-70 Kg. Barba lunga, capelli fluenti. Non mi chieda se aveva gli occhi azzurri come il Gesù di Zeffirelli; non lo so”.
Per cui quando nel marzo scorso ha visto sui giornali il volto di Cristo ricostruito al computer dalla Bbc, un Cristo con le sembianze di un vù cumprà un po’ ebete, che cosa ha pensato?
“Tanto di cappello per la bravura tecnica ; ma è come se andassi a prendere un cranio nel cimitero di Torino, lo elaborassi al computer e poi annunciassi: ecco il volto di re Carlo Alberto. Riderebbe tutta l’Italia.Gli inglesi, fra l’altro, hanno utilizzato un cranio del I secolo e si sono ispirati per i capelli ad un affresco siriano del III secolo. Non male come mix”.
In definitiva, professore, lei che cosa vede nella Sindone?
“Come uomo, l’immagine di una sofferenza indicibile. Come credente, l’immagine vera di Gesù”.
Ma come fa, da medico, a spiegarsi la risurrezione di un morto?
“Non me la spiego. Infatti è il mistero centrale del Cristianesimo.Se me la spiegassi non crederei”.
Stefano Lorenzetto