Bimbo, declina il tuo Dna. E ti ammetteremo nel nostro mondo
Pure nell’affanno del passaggio di consegne e dell’imminente trasloco il ministro Livia Turco ha trovato il tempo per ribadire, in una lunga intervista su “Radio 24”, il rigore del suo operato quanto all’emanazione delle linee guida della legge 40 . Si è trattato di un adempimento puramente «tec-ni-co», ha scandito più volte, tesa a fugare le accuse di quanti vedono nell’apertura all’analisi pre-impianto degli embrioni un tentativo di rovesciamento del dettato legislativo. Ma della scorrettezza di linee guida esalate in articulo mortis da un Governo con le ore contate questo giornale ha già scritto.
Piuttosto, colpiscono alcune argomentazioni del ministro in difesa della analisi pre-impianto, nel caso di genitori portatori di malattie genetiche (categoria che peraltro la legge 40 non prevedeva, essendo destinata – articolo 4 – alle sole coppie sterili). Dunque secondo la Turco la legge vieta, sì, ogni selezione eugenetica.
La selezione praticata da una coppia malata non tenderebbe però a sopprimere la malformazione, ma, in analogia con quanto afferma la legge sull’aborto, a proteggere la salute psichica della madre, che dalla malformazione del figlio verrebbe messa in pericolo. Ci sarebbe dunque, pare di capire, una eugenetica “cattiva”, quella progettata dagli Stati totalitari, e una eugenetica “buona”, a carattere privato e familiare. Ragione della prima è la eliminazione dalla società degli individui imperfetti, della seconda la difesa della serenità e dell’equilibrio dei genitori. Una differenza fine, anche se poi il risultato di eugenetica cattiva e buona è uguale: la eliminazione del nascituro inadeguato.
In effetti, la posizione della Turco riflette un diffuso pensiero: la selezione dei figli dettata da un potere pubblico, come oggi in Cina con le figlie femmine è, naturalmente, inaccettabile; quella dovuta a ragioni private è lecita, e quasi una premurosa attenzione.
Lo ha chiarito lo stesso ministro, parlando non solo di un diritto, “ma anche di un dovere” delle coppie a conoscere con ogni indagine la salute dell’embrione. “Non si tratta di eugenetica – ha spiegato – ma di un principio etico morale che fa riferimento alla capacità di accoglienza del figlio”.
Da una norma che si proponeva solo di aiutare le coppie sterili si passa di fatto alla liceità del sezionamento della creatura in fieri, onde accertare senormale abbastanza perchi genitori ne reggano l’accoglienza. Lo spirito originario della legge , si direbbe, si è un po’ allargato. È questo «dovere» dei genitori di conoscere eventuali malformazioni del nascituro, che ci preoccupa. E non solo perché prelude, quasi inevitabilmente, al rifiuto di quel figlio. Ma proprio per il pensiero che sta dietro questa pretesa. Quasi un chiedere alla creatura generata di declinare il suo Dna, come un passaporto per essere ammesso in questo mondo. Se il passaporto non è in regola, espulso: come un clandestino che tenti il passaggio in Occidente. Non solo un «diritto» dei genitori verificare un Dna regolare, ma un «dovere». Quasi fosse eticamente scorretto accettare un figlio come viene, coi suoi difetti e magari i suoi handicap. Quasi fosse irresponsabile lasciarlo entrare nel mondo senza indagarlo preventivamente – con quel che costa socialmente, oggigiorno, assistere certi malati.
La eugenetica privata, e quindi corretta; e «il diritto alla salute»che si metamorfizza quasi in un imperativo a mettere al mondo figli sani. Più ancora che le linee guida, è la filosofia del ministro a preoccuparci. E quell’ansia – a referendum perduto, a mandato scaduto – di sistemare le cose, comunque, nel modo «giusto»– giusto secondo un pensiero in cui la maggioranza degli italiani non si riconosce.