Boicottare le Olimpiadi. Soluzione utile?
Cresce il dibattito intorno alla proposta di boicottare i giochi olimpici organizzati dalla Cina. E’ giusto? Certo, ma non tutto ciò che è giusto è anche utile. E nel caso cinese, la soluzione va ricercata in una dimensione più profonda.
Boicotto o non boicotto? Quando si parla di Olimpiadi, sembra di essere davanti alla margherita dell’amante intrepido. Con una differenza: l’amore in questo caso c’entra ben poco. A meno di un anno dai giochi di Pechino, il dibattito è aperto: le aperture politiche della Cina che alcuni osservatori avevano ipotizzato non si sono viste e i diritti umani continuano ad essere violati, per non parlare della libertà religiosa, come dimostrano le regole stringenti fissate anche per le cerimonie delle delegazioni di atleti. L’ipotesi di un vero e proprio boicotaggio (come avvenne in piena guerra fredda per le olimpiadi di Mosca e Los Angeles) prende corpo e raccoglie consensi anche in settori del mondo cattolico. L’ultima adesione è quella del Movimento cristiano liberatori che auspica una protesta di popolo contro le Olimpiadi. Obiettivo, spiega il presidente Carlo Costalli: “Unire le voci di tanta gente comune per evitare che la Cina assurga a luogo simbolo di pace”. Del resto, “un pacifismo autentico, che non sia ideologico né di facciata, si snoda attraverso azioni e comportamenti che generano vera amicizia, e passa attraverso la negazione, a Paesi come la Cina, di riconoscimenti e allori che non le spettano”.
Parole da sottoscrivere in pieno, eppure, al di là delle battaglie ideali, la realtà è molto più complessa. Le Olimpiadi purtroppo saranno solo la conclusione di un processo che ha già dato fondo a tremende contraddizioni. Già due anni fa, l’agenzia Asianews denunciava come i grandi progetti e sogni olimpici, siano stati costruiti sugli abusi a danno di persone innocenti e di intere famiglie. Un esempio? Lo spazio per costruire impianti, strutture alberghiere e vie di comunicazione, creato con le ruspe che, senza tenere conto di indennizzi e regole, hanno fatto della “tabula rasa” la logica degli espropri. Solo nel 2006, l’agenzia del Pime parlava di 171 villaggi coinvolti, abitati in prevalenza da lavoratori poveri provenienti dalle campagne per guadagnarsi da vivere. “Gli abitanti degli edifici demoliti – spiegava Asianews – sono costretti a spostarsi forzatamente in grattacieli, dove la distribuzione della famiglia in piccoli appartamenti separati contribuisce a sgretolare quello che da sempre è stato il collante della civiltà cinese: l’unità familiare”. Senza dimenticare i numerosi espropri attuati con la violenza, l’unica risposta fornita dal governo alla gente che contestava in particolare gli indennizzi irrisori offerti. Sta di fatto che le persone coinvolte in queste operazioni olimpiche (per così dire) sono state circa 1,5 milioni: vittime senza voce, che hanno già pagato, indipendentemente dal boicotaggio delle Olimpiadi.
In questa prospettiva, il problema non passa dallo sport, ma dal fatto che l’Occidente continui a misurare il grado di apertura del regime cinese nella sua capacità di liberalizzare il mercato e di favorire nuovi investimenti. Tutto il resto passa in secondo piano e sarà così per molto tempo. E’ giusto quindi boicottare? Certo, ma non tutto ciò che è giusto è anche utile. E nel caso cinese, la soluzione va ricercata in una dimensione più profonda, che invita ognuno a fare la propria parte, nella convinzione che un’economia rispettosa dei diritti e della dignità dipende non solo dalla regole o dalle riforme che uno Stato può adottare, ma anche dalla pressione legittima di chi è disposto ad investire o comunque a giocare la propria partita, politica od economica che sia. Uno stile da vivere prima, durante e dopo i giochi. Altrimenti, l’arma del boicotaggio sarà un semplice pannicello caldo. Per essere chiari: un alibi a misura di telecamera.