Cina, nessun progresso sul fronte dei diritti umani
Ad un anno esatto dall’apertura dei Giochi Olimpici di Pechino 2008, che porterà tutto il mondo a guardare verso il Paese del Dragone e che sarà una straordinaria occasione economica e di immagine per il gigante asiatico, alcuni nodi nella società cinese restano ancora irrisolti, o per lo meno circondati di ambiguità, soprattutto per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani.
Proprio oggi attivisti tibetani di tutto il mondo organizzano una serie di marce di protesta contro l’occupazione del loro Paese natale da parte della vicina potenza asiatica: si prevede la partecipazione di almeno 20mila persone tra Nepal, Bhutan, Stati Uniti, Europa, Giappone, India. Anche a Roma si terrà una manifestazione – sostenuta dai Radicali – che prevede in mattinata un presidio pacifico di fronte all’ambasciata cinese nella capitale, e, dalle 20 alle 22, una fiaccolata dal Colosseo a piazza Venezia.
Due sono soprattutto le violazioni dei diritti umani cui le manifestazioni nel mondo faranno riferimento (oltre alla questione dell’autonomia del Tibet, a più riprese invocata dal Dalai Lama): le limitazioni al culto e alla libertà di stampa.
L’organizzazione no-profit Human Rights Watch punta l’attenzione sugli arresti (alcuni avvenuti anche lunedì scorso) e sulle limitazioni ai danni dei giornalisti cinesi e stranieri, nonostante la Cina abbia temporaneamente adottato una regolamentazione in linea con le promesse fatte al Comitato olimpico internazionale.
A domenica scorsa risale, invece, l’adozione da parte dell’amministrazione per gli Affari religiosi del Governo di Pechino dei “Regolamenti per la gestione delle reincarnazioni dei Buddha viventi”, legilslazione che pretende di affidare allo Stato il controllo della scelta dei lama, i maestri del buddismo tibetano. Da ricordare, inoltre, che dal 1995, Pechino detiene il Panchen Lama, seconda autorità del buddismo tibetano, sostituito da un bambino nominato dalle autorità cinesi.
Molto aspro anche il confronto con la Chiesa Cattolica, nonostante la recente Lettera di Papa Benedetto XVI ai cattolici cinesi sia stata considerata in maniera positiva dalle autorità di Pechino. Il Governo – tramite un proprio rappresentante – controlla la Chiesa “ufficiale” – denominata “patriottica” – soprattutto nella nomina dei vescovi, anche se sempre più spesso questi ultimi cercano in un secondo momento l’approvazione della Santa Sede. La frattura tra Chiesa ufficiale e Chiesa clandestina – fedele al Papa e alla S. Sede – è ancora lontana dal ritenersi ricomposta. «A un anno dai giochi olimpici la Cina ha compiuto molte operazioni di immagine, ma resta un Paese in cui i diritti umani non sono rispettati», denuncia con forza padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia missionaria Asia News ed esperto del Paese del Dragone. «I Giochi – sostiene padre Cervellera – sdoganeranno la Cina come Paese di amicizia internazionale. Finora Pechino è stata un luogo importante soprattutto per l’economia internazionale. Ma per essere un Paese “amico” è necessario che la Cina condivida non solo le regole dei Giochi, ma anche quelle per i diritti umani. Dal 1998 Pechino ha firmato le Convenzioni Onu sui diritti culturali, civili e politici, ma non ha ancora fatto alcun passo per assimilarle nella sua legislazione».
«C’è ormai bisogno – prosegue il direttore di Asia News – di strutture di dialogo sociale e di democrazia. Senza questi importanti ritocchi, pur fra le sfavillanti strutture sportive, la Cina rischia di rimanere un Paese “paria” e le Olimpiadi un’abominevole farsa, un nuovo “oppio dei popoli”».