Il grande abbraccio
Il bagno di folla a bordo della papamobile che impiega mezzora per arrivare sul palco. Poi il dialogo con alcuni giovani che si fanno interpreti degli interrogativi e dei drammi dei loro coetanei. Infine l’arrivederci a Sydney: «Preghiamo perché il Signore conceda a me e a voi di esserci» Il Papa ai giovani:«Per Dio siamo tutti al centro» Tra i quattrocentomila presenti sulla spianata di Montorso entusiasmo, applausi ma anche l’ascolto attento delle parole «pesanti» di Benedetto XVI «Dobbiamo accettare che in questo mondo Dio è silenzioso, ma non essere sordi di fronte al suo ’parlare’ in tante occasioni, soprattutto nella creazione, nell’amicizia immensa della Chiesa dove possiamo avvertire la presenza del Signore e quindi fare noi stessi luce agli altri»
Non c’è più centro e non c’è più periferia. Non ci sono più vicini o lontani. Nella grande conca di Montorso che si presenta a Benedetto XVI come un unico enorme tappeto di braccia alzate, volti in festa, magliette e striscioni colorati, le distanze si annullano, anche per effetto dello straordinario dialogo tra il Papa e i giovani. Lui li definisce «futuro della Chiesa in Italia», e dice che la loro «missione è cambiare il mondo».
E davvero si può verificare in presa diretta ciò che afferma, semplicemente guardando l’enorme raduno. «Per Dio siamo tutti al centro – dice -. E ai suoi occhi ciascuno di voi è importante». Perciò, esorta, «non abbiate timore, Cristo può colmare le aspirazioni più intime del vostro cuore». Perché egli conosce bene «il vostro desiderio e di amare e di essere amati». Non di un amore “usa e getta”, ma che duri tutta la vita. Un amore che fondi la famiglia, «da rimettere al centro della società». Un amore che «vi aiuti a presentare ai vostri coetanei la Chiesa non come un centro di potere, ma una comunità e una compagnia in cui i problemi della vita di tutti sono vissuti con gioia e libertà».
Sì, grazie alle domande dei ragazzi e alle risposte del Vescovo di Roma, stasera qui all’Agorà non ci sono «comparse», ma 400mila «protagonisti», che stringono il Pontefice in un abbraccio calorosissimo. Basta seguire quella specie di ola da stadio che si leva lungo i vari settori, quando passa la papamobile (che alla fine impiegherà quasi mezzora ad arrivare sul palco). Basta constatare l’entusiasmo che i ragazzi mettono nell’intonare i canti delle Gmg e l’Inno dell’evento. Basta ascoltare il silenzio con cui seguono le risposte di Benedetto XVI e il suo discorso finale (che Avvenire pubblica integralmente), per capire che 12 anni dopo Eurhope e tre dopo l’ultimo toccante viaggio di Giovanni Paolo II, questa spianata ai piedi del Santuario di Loreto è davvero «la capitale spirituale dei giovani, la vostra piazza senza mura e barriere – come dice il Papa – dove mille strade convergono e si dipartono».
La strada del Vescovo di Roma e quelle dei ragazzi provenienti da tutta Italia si incrociano in effetti in un assolato pomeriggio di fine estate. E sul volto del Pontefice si può leggere come su un libro aperto la felicità per aver trovato all’appuntamento così tanti amici. Li ha visti prima dall’alto – colpo d’occhio che lo ha sicuramente impressionato – arrivando intorno alle 17,00 in elicottero al vicino centro Giovanni Paolo II. Li ha salutati in pratica a uno a uno, solcando la piana sulla bianca automobile panoramica che sembra una vela nel mare dell’entusiasmo. E ora dal palco sorride soddisfatto, aprendo le braccia nel suo ormai consueto gesto di saluto, e quasi bevendo con gli occhi il fiume di energie giovanili che sale fino a lui da tutta Montorso.
Non c’è da stupirsi, dunque, che la veglia entri subito nel vivo, come uno «stupendo spettacolo di fede giovane e coinvolgente», per usare la definizione dello stesso Benedetto XVI. È una sintonia che si crea subito grazie alle preghiere, ai canti intonati dall’orchestra e dal coro diretti da Leonardo De Amicis e alla presenza di padre Giancarlo Bossi, che dai microfoni dice il suo grazie a Dio, al Papa e a quanti hanno pregato per lui.
Ma è soprattutto il dialogo tra Benedetto XVI e i ragazzi a far decollare lo straordinario momento di preghiera. Comincia Luca Romani che a nome di tutti i presenti assicura: «Siamo qui per dare un volto alla speranza e mettere Cristo al centro della nostra esistenza. E se il mondo giovanile è descritto come indifferente e superficiale, stasera lo diciamo a tutti. Non è così. Vogliamo essere protagonisti nella società, nella famiglia, nella scuola, sul lavoro e nella comunità cristiana». Proseguono Giovanna e Piero, 27 anni di Bari, che raccontano le storie di una delle tante periferie degradate d’Italia e chiedono a chi aggrapparsi per trovare un centro.
Il Papa ricorda che «nel progetto divino il mondo non conosce periferie». Per evitare di restare «ai margini della società e della storia, occorre comprendere che la grandezza della nostra vita sta nello scoprire di essere amati e proprio per questo chiamati ad amare». Proprio come insegna Cristo. «È lui, infatti, da mettere al centro del mondo».
Tocca quindi a Sara, 24 anni, di Genova, che porta a Benedetto XVI il grido spesso silenzioso dei tanti giovani che vivono nella rassegnazione: «Se nasci sfortunato, morirai sfortunato». Come fare, dunque, a superare le tante domande, le insicurezze, i dubbi che albergano nel cuore dei ragazzi del terzo millennio?
Anche in questo caso Papa Ratzinger risponde a braccio, citando diversi ricordi personali. «Dobbiamo da una parte accettare che in questo mondo Dio è silenzioso – afferma – ma non essere sordi di fronte al suo “parlare” e “apparire” in tante occasioni, soprattutto nella creazione, nell’amicizia immensa della Chiesa dove possiamo avvertire la presenza del Signore e quindi fare noi stessi luce agli altri». E per quanto riguarda appunto la Chiesa, essa «non è un centro di potere». Dunque, anche se «è difficile parlare a chi crede che Dio sia un padrone e che la Chiesa un’istituzione che limita la libertà e ci impone delle proibizioni, dobbiamo far vedere che non e’ così».
Infine ecco Ilaria di Roma, che viene da una famiglia spaccata dal divorzio dei genitori e che ne ha sofferto anche fisicamente. Poi il riscatto grazie all’affetto di un sacerdote che l’ha guarita nello spirito. Così oggi, la giovane, che ha 24 anni, è sposata e madre di un bimbo, è qui per chiedere al Papa come dare voce a chi non ha voce.
La risposta del Pontefice è contenuta nel discorso che conclude il suo trittico di interventi. Prega perché «la crisi che segna le famiglie del nostro tempo non diventi un fallimento irreversibile», ringrazia padre Bossi e tutti i missionari, ma soprattutto ribadisce: «Ciascuno di voi, se resta unito a Cristo, può compiere grandi cose. Ecco perché non biso gna avere paura di sognare a occhi aperti grandi progetti di bene».
I giovani ascoltano e approvano con il loro consueto entusiasmo. Non ci sono ancora le ombre della sera, a fare da cornice. Eppure l’atmosfera è ugualmente raccolta e intima. Poi ad aggiungere brividi d’emozione ci pensa la voce intensa di Andrea Bocelli, che mentre la statua della Madonna di Loreto percorre i vialetti della spianata, canta dapprima l’Ave Maria di Gounod, poi la famosissima “Dolce sentire”, strappando applausi anche allo stesso Benedetto XVI. Il quale, prima di mettere fine a questa parte della serata, già indica la prossima tappa del cammino: Sidney. «Preghiamo perché il Signore conceda a me e a voi di esserci». Tornerà, il Papa, in collegamento video dal Santuario della Santa Casa, per invocare dalla Vergine che «ogni giovane faccia ciò Gesù gli dirà». E loro, i 400mila rimasti a Montorso, in attesa della Messa che oggi concluderà l’evento, gli tributano un altro affettuoso applauso. Poi seguono la serata delle testimonianze, che vede sul palco tra gli altri Claudio Baglioni, Lucio Dalla, di nuovo Bocelli, gli attori Giancarlo Giannini, Alessandro Preziosi e Bianca Gueccero e tutti gli altri artisti. Un momento che tra musica, testi letterari e citazioni dagli scritti dei grandi santi vuole in qualche modo raffigurare il turbamento di fronte alla proposta di Dio. Un turbamento che permette di crescere e prepara alla risposta positiva. Perché, come canterà proprio Baglioni, «strada facendo» non ci siano più periferie. Ma solo un unico grande centro intorno a Cristo.