Congo, ancora combattimenti aumentano i profughi, è allarme stupri
Continuano i violenti combattimenti nel nord est della Repubblica Democratica del Congo. E così il fiume in piena di profughi privi di tutto si fa sempre più incontenibile, mentre è allarme per il rischio di stupri di massa. Ciò mentre il vertice regionale a Nairobi sulla tragedia in atto si conclude con la scontata richiesta di cessate il fuoco, ma è contrassegnato dal monito del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon: «Questa situazione – ha detto – rischia di far esplodere tutta l’area dei Grandi Laghi».
Intanto, truppe angolane sarebbero intervenute a sostegno delle forze governative: lo ha detto un comandante uruguaiano della missione Onu nel Paese (Monuc). La notizia non ha trovato per il momento conferma. I ribelli di Nkunda avevano accusato il governo di Joseph Kabila di aver fatto ricorso a soldati dell’Angola. Il ministero degli Esteri di Luanda ha smentito dicendo che «l’interferenza diretta od indiretta di parti terze aggraverebbe il conflitto».
I profughi
È il quadro odierno, che si fa di giorno in giorno più drammatico, del conflitto nel Nord Kivu, ai confini col Ruanda, dove i ribelli tutsi del generale Laurent Nkunda non allentano la morsa, anzi continuano ad avanzare, mirando, probabilmente, ad accerchiare il capoluogo regionale Goma. Ed il numero di profughi continua ad aumentare, le loro condizioni si fanno sempre più critiche – gli aiuti non arrivano – e non sanno dove andare: sono allo sbando completo.
Allarme stupri
L’Onu ha valutato oggi che da settembre siano almeno 253 mila, che si aggiungono agli oltre 800 mila dei mesi precedenti: ma la cifra aumenta di ora in ora. E poi denuncia la piaga degli stupri. Da gennaio a settembre, informa, 3.500 casi accertati, 400 al mese, e di sicuro è solo la punta di un iceberg poiché rare sono le denunce; ma con l’avvitarsi dei combattimenti, si sono moltiplicati: «Nel contesto attuale – si legge in un comunicato emesso a Ginevra – decine di migliaia di donne e ragazze sono a rischio in un Paese dove lo stupro è da tempo un’arma da guerra».
Accuse ai caschi blu
Intanto le organizzazioni umanitarie accusano sia i ribelli tutsi che le milizie filo-governative Mai Mai di crimini di guerra; ma puntano l’indice anche contro i Caschi Blu accusandoli di non essere in grado di difendere i civili. Almeno un centinaio dei quali, denunciano ancora, sono morti nel corso dei combattimenti. Ma è la cifra accertata, perché gli orrori non sempre si scoprono: chissà quanti eccidi sono sepolti nella giungla. Come quello emerso ieri nel microscopico villaggio di Kinenje, dove sono stati rinvenuti almeno una ventina (ma altre fonti parlano di 50) di civili trucidati, alcuni dei quali forse arsi vivi.
Pare sia stata opera dei ribelli, che di lì avevano scacciato i Mai Mai e forse volevano “punire” i loro supposti complici.
Il vertice a Nairobi
Tutto ciò, mentre a Nairobi si svolgeva il vertice. Presieduto da Ban Ki-moon, con due ospiti principali: i presidenti del Congo e del Ruanda (che appoggia i ribelli) Joseph Kabila e Paul Kagame. C’erano poi quelli di Burundi, Kenya, Sudafrica, Tanzania ed Uganda. Ma il nodo era se ci sarebbe stato un disgelo tra Kabila e Kagame: i due Paesi sono ormai ad un passo da una nuova guerra. Ma questo disgelo non sembra ci sia stato, e tutto si è concluso con la scontata richiesta di cessate il fuoco, di creazione di un corridoio umanitario, all’Onu perché fornisca mandati più forti ai suoi uomini, e garantisca loro adeguate risorse. Oltre alla disponibilità ad inviare se del caso soldati regionali.
Risorse minerarie
Il problema è il convitato di pietra, il capo dei ribelli generale Laurent Nkunda. Con lui nessuno vuole trattare (anche se forse segretamente lo fa), ma senza di lui le intese sono scritte sull’acqua, sono proclami che non incidono sulla realtà. I ribelli hanno bollato il vertice internazionale come un altro «summit inutile». E poi il nodo vero: le risorse minerarie. Il nord Kivu ne è ricchissimo, al di là del confine – un tiro di schioppo – in Ruanda non c’è niente. Finché non si troverà un modo ragionevole di far condividere almeno un po’ di quelle ricchezze anche ai ruandesi, non ci sarà mai vera pace.