Congo: dietro la guerra, i minerali che fanno gola al mondo
I diseredati della guerra congolese arrancano nel fango dei campi profughi scrutando l’orizzonte, mai il cielo. Tendono l’orecchio agli spari della battaglia che si avvicina o allontana, mai al rombo degli aerei-cargo che atterrano e decollano. Tonnellate di oro, cassiterite e altri minerali preziosi rubati alla loro terra volano ogni giorno sopra i colpi di mortaio e le urla degli innocenti per essere rivenduti all’estero e arricchire le multinazionali dell´estrazione. Per le vittime della guerra è lì in basso, nei campi di battaglia, che si riducono le ragioni della tragedia: la lotta per il predominio tra le fazioni armate, la sete di sangue dei miliziani che uccidono, stuprano e saccheggiano, la sopraffazione dei più forti sui più deboli. Non sospettano neanche che i veri motivi sono lì in alto. Troppo in alto per loro. Ma anche gli aerei prima o poi sono costretti a scendere. E allora basta vedere cosa e a chi scaricano una volta giunti all’aeroporto di Goma: il capoluogo della provincia orientale del Nord-Kivu devastata dallo scontro riesploso ad agosto tra l’esercito governativo e i ribelli del Generale Laurent Nkunda. Un confitto che solo negli ultimi mesi è passato sotto i riflettori dell’attualità, ma che in realtà si trascina da oltre 15 anni, alimentato dal traffico illegale delle materie prime che sono al tempo stesso la ricchezza e la condanna della comunità locali. Le pietre preziose arrivano ai vari rivenditori, i cosidetti comptoirs, che pullulano nel capoluogo alla frontiera ruandese. Il problema è sapere ciò che avviene prima e dopo il transito dai comptoirs. Un mistero volutamente mantenuto tale.
«Noi qui siamo un semplice anello della grande catena del commercio di minerali», commenta Alexis Mazabuka, raffinatore ed esportatore di cassiterite, minerale da cui si ricava lo stagno e il Coltan, un derivato che è oggi fondamentale nell’industria elettronica e la telefonia mobile. «Acquistiamo da una filiera interminabile di passa mano, che potrebbero benissimo rifornirsi a nostra insaputa nelle miniere occupate dai guerriglieri, e rivendiamo a società d’intermediazione senza mai conoscere gli acquirenti finali».
Makabuza è ai primi posti nella lista nera dei commercianti sospettati di approvvigionarsi dalle miniere controllate dai ribelli. «E’ inutile che gli ispettori Onu vengano ad accusarmi di sostenere Nkunda senza un briciolo di prove – continua Makabuza – se la comunità internazionale e il governo congolese volessero veramente impedire ai gruppi armati di autofinanziarsi coi minerali dovrebbero individuare le zone minerarie da loro occupate e isolarle, oppure imporre un embargo totale sull’export dal Congo. Se non lo fanno è perché non conviene né ai padroni del Paese né alle 10 grandi multinazionali che ne controllano le risorse».
Dietro questo status quo si intreccia il mosaico di interessi politico-economici che schiacciano in un bagno di sangue la popolazione. La complicità nei traffici tra le forze governative e l’armata Fdlr impedisce al governo congolese di neutralizzare le milizie Hutu accusate del genocidio ruandese. Questa inerzia dà pretesto a Nkunda, sostenuto dal governo ruandese, per continuare la sua battaglia a difesa delle minoranze Tutsi del Nord-Kivu. Battaglia che serve in realtà a far affluire i minerali in Ruanda. Paese che a sua volta è usato dalle multinazionali come hub per il transito a basso costo dei minerali preziosi, grazie agli irrisori prezzi d’acquisto e alle facili frodi doganali resi possibili dall’instabilità e l’illegalità che regnano nella provincia congolese.