“Diagnosi pre-impianto, errori possibili”
“La metodica della diagnosi pre-impianto è esposta a una certa possibilità di errore. E nulla si conosce sugli esiti a lungo termine degli individui nati dopo avere subito la biopsia embrionaria”.
Giovanni Neri, direttore dell’Istituto di Genetica medica dell’Università Cattolica di Roma, vede una “deriva eugenista” sullo sfondo del quadro delineato dalle nuove linee guida della legge 40: “In ogni caso il testo appare contraddittorio: si vieta la finalità eugenetica, ma questa è una logica insita nella diagnosi pre-impianto”. Pare evidente, sottolinea il genetista, che si gioca sull’equivoco: “Si dice che la finalità eugenetica è vietata. Ma quando una coppia chiede la diagnosi genetica pre-impianto e ottiene una certa risposta, cosa si fa degli embrioni già prodotti, e dell’obbligo di impiantarli tutti? È chiaro – puntualizza Neri – che ci si dovrà attenere alla volontà della donna, che non può essere obbligata all’impianto, come è noto”.
Ecco quindi “che si apre una notevole finestra alla selezione genetica. A questo punto, io genetista dovrei rifiutarmi a priori di effettuare ogni analisi genetica sull’embrione per attenermi al fatto che “è proibita ogni diagnosi pre-impianto a finalità eugenetica”, come ancora recitano le linee guida”.
Ma oltre all’equivoco (voluto) restano i dubbi scientifici, perché nonostante i progressi tecnici, la pratica della diagnosi pre-impianto non è perfetta: “La metodica – spiega Neri – è esposta a errori, che sono stati già riportati nella letteratura. Anche se agli errori c’è spesso una spiegazione, resta il fatto che si esegue un test del Dna, che ha conseguenze di vita o di morte su un essere umano, utilizzando una singola cellula. Un aspetto che costituisce una obiettiva limitazione a un esame accurato e che non permette alcuna verifica, perché non c’è materiale di scorta su cui effettuarne un altro”. Ci sono anche ragioni molto più sottili e tecniche: “In questo momento la diagnosi genetica pre-impianto – ricorda Giovanni Neri – si fa solo nella ricerca di una mutazione specifica già nota. A rendere più difficile l’obiettivo di avere un risultato attendibile al di là di ogni ragionevole dubbio, c’è il fatto che la metodica biotecnologica utilizzata, la Pcr (reazione a catena della polimerasi) per funzionare ha bisogno di amplificare molte volte il gene che deve essere testato. Ma del gene esistono due copie (alleli) che spesso non sono identici. Le differenze sono piccole, ma può capitare che una delle due venga amplificata preferenzialmente: un embrione portatore di una malattia recessiva può sembrare sano se viene amplificato il gene sano, o viceversa, se viene amplificato il gene mutante, può essere creduto affetto dalla patologia”.
Altre osservazioni riguardano gli esiti a distanza anche sugli embrioni che vengono impiantati in utero dopo la diagnosi genetica pre-impianto: “Non esistono dati sulle possibili conseguenze a lungo termine – osserva Neri – Quando si preleva una cellula (blastomero) a un essere che ne ha poche, non più di venti, si tratta comunque di una percentuale significativa. Anche se l’embrione viene poi impiantato in utero e nasce un bambino, attualmente non sappiamo se la biopsia subita avrà conseguenze sulla sua salute futura”.
Senza dimenticare, puntualizza Neri, che si tratta pur sempre di tecniche (quelle della fecondazione in vitro) che sono caratterizzate da una bassa percentuale di successo, circa il 20-30%. “E spesso poi si ricorre alla Icsi, che da alcuni dati della letteratura scientifica sembra gravata da un maggior rischio di dare origine ad alcune patologie (rare) causate da difetti della regolazione epigenetica del Dna: in particolare la sindrome di Beckwith-Wiedemann (caratterizzata da eccesso di crescita e rischio tumori infantili) e la sindrome di Angelman (che porta con sé ritardo mentale ed epilessia)”. Il dato più grave però, conclude Neri, è quello dell’apertura all’eugenetica: “Qualcuno dirà che si prevengono malattie genetiche o aborti futuri. La realtà è che ci si mette su un piano inclinato che porta alla legittimazione della selezione eugenetica. Un domani si potrà analizzare non solo un gene, ma tanti, e non solo le mutazioni, ma le varianti: un modo per selezionare non solo i soggetti malati, ma quelli che hanno una predisposizione a una malattia. O in base ad altre caratteristiche. Una prospettiva tragica”.
Sono ancora molti i dubbi scientifici sulla reale utilità e sui rischi della diagnosi pre-impianto.
La metodica consiste in una prelievo cellulare potenzialmente letale per l’embrione in sviluppo e presenta un’alta percentuale di errore.