«Errori e danni quando si analizza l’embrione»
“La diagnosi genetica preimpianto è una metodica che comporta un significativo rischio di errore, che ha di per sé un successo limitato, correlato alle caratteristiche delle tecniche di fecondazione in vitro, che peraltro si associano anche ad un aumento della frequenza di alcune patologie genetiche”. Il giudizio del genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Istituto Css Mendel di Roma, nonché copresidente di Scienza & vita, è severo verso il ricorso alla selezione degli embrioni nei soggetti portatori di patologie genetiche: “Mi pare non corretto consigliare a una coppia questa tecnica, quando ne esistono altre più consolidate e affidabili, anche se più tardive”.
Cosa è successo nel gruppo di lavoro di cui lei faceva parte per fornire un parere al Consiglio superiore di sanità in vista della revisione delle linee guida della legge 40?
“Nel gruppo di studio che fu istituito lo scorso anno, correttamente il presidente Franco Cuccurullo mise in chiaro che, qualunque fosse l’opinione personale di ciascuno, non si poteva andare al di là del dettato della legge. E il parere finale unanimemente condiviso suggeriva solo la possibilità di ammettere alle tecniche di fecondazione artificiale le coppie a rischio per Hiv”.
Quali sono le caratteristiche della diagnosi genetica pre-impianto?
“Credo che su questo argomento sarebbe necessario con serenità e obiettività fare un po’ più di chiarezza. La diagnosi genetica pre-impianto, introdotta all’inizio degli anni Novanta, è stata eseguita solo su alcune migliaia di gravidanze. In Italia, prima dell’introduzione della legge 40, venivano eseguite ogni anno circa 120 mila diagnosi prenatali tradizionali (amniocentesi, prelievo dei villi coriali), ma solo poche dozzine di diagnosi genetiche pre-impianto. Per realizzare la diagnosi pre-impianto è infatti necessario il concepimento in vitro, al quale deve ricorrere anche la coppia che è naturalmente fertile. Nonostante i progressi, le tecniche di fecondazione in vitro hanno comunque un tasso di successo relativamente basso (20-25%) e inoltre queste gravidanze sono gravate da altri rischi, in particolare quelli correlati alla gemellarità e alla prematurità. La legge 40 ha parzialmente penalizzato il successo delle gravidanze ottenute con la procreazione assistita nelle donne maggiormente attempate (quelle che un tempo la deontologia professionale sconsigliava dal ricorrere a queste tecniche), mentre non ha significativamente modificato il successo delle gravidanze delle madri più giovani.
La diagnosi pre-impianto abbassa comunque il successo delle tecniche di fecondazione in vitro”.
Come si esegue la diagnosi genetica pre-impianto?
“Dall’embrionre che si sviluppa in provetta, circa 70 ore dopo il concepimento, si prelevano una o due cellule che possono essere analizzate per le anomalie cromosomiche (come la trisomia 21 o sindrome di Down), per la ricerca di mutazioni geniche (come la talassemia e la distrofia muscolare), per la diagnosi di sesso, per selezionare un soggetto compatibile come donatore di sangue/midollo/organi per un fratello affetto da una malattia genetica (il cosiddetto ‘saviour child’). Ma i problemi non mancano e sono stati evidenziati anche dalla Commissione di Genetica Umana del Regno Unito in un esteso documento redatto all’inizio del 2006, che ha tra l’altro stimato che producendo con la stimolazione ovarica circa 12 ovociti, si possono produrre in media 10 embrioni, 8 dei quali sono idonei alla biopsia. Dopo aver selezionato con la diagnosi pre-impianto gli embrioni non affetti, se ne ottengono mediamente due, uno dei quali viene impiantato, ottenendo alla fine un tasso di gravidanza per ciclo del 15-20%, perciò più basso rispetto a quello della fecondazione in vitro non seguita dalla diagnosi genetica preimpianto.
Ancora più significativi sono i risultati dell’analisi effettuata dalla European Society of Human Reproduction and Embriology (Eshre) nel periodo 1998-2006 su 45 centri: a partire da 19820 embrioni sottoposti a biopsia sono nati 521 neonati da 471 parti (alcuni erano gemellari), con un tasso di successo del 2,6%».
Quali sono i rischi di errore nella diagnosi genetica pre-impianto?
“Per le malattie genetiche (come talassemia, fibrosi cistica, distrofia muscolare) il tasso oscilla globalmente attorno al 4-5%; presso alcuni centri gli errori non superano l’1%. Comunque tutti i centri raccomandano l’analisi dei villi coriali alla 10° settimana per confermare che l’embrione non sia affetto. Per quanto riguarda le patologie cromosomiche, la diagnosi mediante tecniche di citogenetica molecolare comporta errori diagnostici anche dell’ordine del 15%, come bene illustrato da vari studi a partire da quello di Santiago Munné nel 2005.
Questo elevato numero di errori è riconducibile ad una ‘fisiologica’ condizione di mosaicismo (cioè la coesistenza di cellule a corredo cromosomico diverso) che caratterizza la fase iniziale dello sviluppo dell’embrione, per cui l’analisi eseguita su una cellula può fornire informazioni diverse da quelle presenti nelle altre 7 cellule”.
E quanto a sicurezza, la diagnosi genetica preimpianto provoca danni?
“È la fecondazione in vitro che può provocare una alterazione della regolazione dei geni e cioè di quel complesso fenomeno (imprinting) che si realizza proprio subito alle prime divisioni cellulari, quando alcuni geni trasmessi con l’ovocita – ma non quelli trasmessi con lo spermatozoo – sono funzionanti, e viceversa. Data la criticità di questa regolazione, sia la stimolazione ovarica che la coltura in vitro dell’embrione possono determinare alterazioni a questo fragile equilibrio, dando origine a malattie genetiche rare con un rischio relativo di 12 volte superiore rispetto a quanto si verifica nel concepimento naturale (come nel caso della sindrome di Angelman, che causa ritardo mentale grave, o di quella di SilverRussel, una forma di nanismo con asimmetria del corpo)”.
Cosa consiglia allora per controllare la gravidanza alle coppie che hanno un rischio genetico?
“Di riflettere bene prima di ricorrere alla diagnosi genetica pre-impianto, tenendo presente che lo stesso risultato, anche se un po’ più tardivamente, può essere ottenuto monitorando la gravidanza con tecniche ben standardizzate e maggiormente accurate. Purtroppo esistono forti pressioni commerciali che spostano l’attenzione verso la diagnosi genetica pre-impianto, guardando all’embrione in provetta come ad una “cosa” piuttosto che come a “qualcuno”. Addirittura gli interessi si stanno progressivamente spostando dalla diagnosi di malattia alla diagnosi della suscettibilità alla malattia: in un futuro probabilmente non lontano si proporrà un’analisi genomica a largo spettro finalizzata ad avere informazioni più ampie sullo stato di salute del concepito, come oggi già alcuni siti in Internet stanno proponendo per la popolazione adulta, alla quale si promette la possibilità di conoscere a livello molecolare alcuni aspetti della qualità della vita, comprese l’attitudine alle prestazioni atletiche o alle scelte nutrizionali. Mi auguro che una conoscenza adeguata della posta in gioco renda le persone prudenti verso questa deriva”.