Eugenetica e legge sulla fecondazione assistita
La diagnosi preimpianto si esegue sottraendo una o due cellule all’embrione quando è costituito di otto cellule: dunque si sottrae all’embrione un quarto dell’intero corpo. Le cellule verranno analizzate e, se corrispondono al desiderio dei genitori, l’embrione restante verrà impiantato. Già si capisce la delicatezza e i rischi di questa operazione, tanto che uno studio scientifico recente (New England Journal of Medicine, 2007) ha mostrato che gli embrioni dopo l’analisi si impiantano peggio degli altri.
Ma per quali anomalie verrà analizzato l’embrione? Sicuramente per quelle che sono gravi patologie, sembra di capire dalla lettura delle nuove linee guida, escludendo l’analisi al fine di eliminare gli embrioni femmina, gli embrioni con futura possibilità di manifestare malattie ai denti o di avere una scarsa inclinazione al canto. Ma su importanti riviste scientifiche di bioetica studiosi stranieri già sostengono che la diagnosi prenatale deve essere lasciata libera anche per selezionare gli embrioni con caratteristiche non volute, non solo con patologie gravissime. I tre esempi ora fatti (sesso, denti, canto) sono presi da queste riviste. D’altronde recentemente abbiamo visto selezionare all’estero embrioni che avrebbero avuto strabismo, o che in età adulta avrebbero sviluppato tumore al seno. E come vietare allora che vengano eliminati gli embrioni semplicemente portatori di malattie ma non malati?
Ma limitiamoci a pensare che verranno eliminati solo gli embrioni con gravissime malattie: chi decide quali sono? L’albinismo –con il suo colore bianco dei capelli e la sua forte miopia – è una gravissima malattia? E la bassa statura, contro la selezione della quale recentemente un grande scienziato francese scrisse un potente “j’accuse”? Chi potrà negare che l’obesità sia motivo di sofferenza fortissima per molti adolescenti, così come un naso troppo prominente? Sappiamo come sia elastico il termine “salute”, che oggi viene identificato con “completo benessere psicofisico”, secondo quanto stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel lontano 1948, e domandiamoci allora chi mai può essere detto sano, se seguiamo questa diffusa definizione. Come negare infatti che ogni anomalia (naso lungo, calvizie) renda la persona “non sana”, dunque a rischio di sofferenza, e infine “da eliminare per il suo bene”? D’altronde sappiamo da come è stata applicata in questi anni la legge 194 sull’aborto, che questi discorsi sono solo in apparenza paradossali; anzi, un recente serissimo – tristissimo – articolo pubblicato sulla rivista Bioethics sostiene che è sempre immorale mettere al mondo figli, perché ogni persona in qualche misura è destinata a soffrire.
Se poi si dice che non si deve scadere nell’eugenetica, chi definisce cosa è “eugenetica”? I medici, che in una recente rassegna europea (Journal of American Medical Association, 2000) hanno mostrato di pensare per più del 50% che “la vita con una grave disabilità fisica è peggio della morte”? I genitori, che potrebbero avere un conflitto di interesse col nascituro (la nascita di un disabile in molti casi è più un peso per la famiglia che per il figlio? Il dilemma infatti sta proprio qui: non solo nel numero di embrioni malati che verranno “accantonati”, ma ancora più giù, nella mentalità che si crea (e si è creata): si nasce se si corrisponde alle attese dei genitori, la vita vale solo se è perfetta. Ma questa non è l’Europa che ha portato la luce del progresso nel mondo.