IL COMANDANTE CHE HA STRAPPATO AL MARE 21 PROFUGHI: COSÌ HO SALVATO QUEI DISPERATI
Pietro Russo e il suo equipaggio ricevono il primo premio “Per mare” assegnato nella Giornata mondiale del rifugiato. Il racconto del coraggioso pescatore di Mazara del Vallo.
«Erano terrorizzati e gridavano e si riversavano tutti insieme da una parte all’altra della barca. In un attimo li ho visti capovolgersi in mare, le braccia e le mani che affioravano e si inabissavano, gli occhi sbarrati e le bocche aperte».
Poveri eritrei, senegalesi, egiziani e nigeriani su quella carretta del mare che il 24 settembre dell’anno scorso scappavano dalle loro terre e cercavano rifugio in Italia, in Sicilia, a Lampedusa. Poveri bambini in balia del mare forza quattro e del vento di scirocco che soffiava forte in quella mattina di settembre. «Li ho visti annaspare e galleggiare fermi lì, le teste sopra e i corpi sott’acqua in quel poco di mare fra noi e loro, c’erano delfini intorno e loro ne avevano paura, perché sembravano squali, molti stavano dentro le camere d’aria di copertoni ed è questo insieme di ciambelle nere galleggianti che non riesco a dimenticare: resta stampata in me l’ingiustizia di quelle camere d’aria salvavita. Noi non potevamo fare nulla, tranne lanciare salvagenti e corde, sono difficili le manovre su un peschereccio col mare grosso. Loro restavano lì sottobordo e si sbracciavano gridando in arabo e francese, gli occhi puntati su di noi. Poi una donna ha smesso di gridare come esausta e l’ho vista a faccia in giù con la testa sott’acqua e i capelli larghi intorno. Poco prima abbracciava il suo bambino, un neonato sparito fra le onde. La prima delle persone che abbiamo salvato è stato il marito di quella donna, lui l’aveva trascinata per mano morta o svenuta contro la forza delle onde, l’aveva portata fino sottobordo, tuttavia non è riuscito a sollevarla fino a noi, e piangeva e la indicava a noi. Abbiamo
salvato 21 persone, due sono morte: quella ragazza e il suo bambino».
Questa è l’operazione del motopeschereccio Ofelia della marineria di Mazara del Vallo, Trapani, Sicilia. E chi parla è il comandante Pietro Russo, 53 anni, che il 20 giugno a Roma, nel corso della Giornata mondiale del rifugiato, organizzata dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), riceve il primo premio “Per mare” conferito al coraggio di chi salva vite in mare.
Il premio è nato dalla collaborazione fra l’Unchcr e il Comando generale del corpo delle Capitanerie di porto – Guardia costiera e viene assegnato a coloro che, a rischio della propria vita, scelgono di soccorrere gli immigrati vittime di naufragio.
Nella sua prima edizione, il premio “Per mare” viene assegnato a un siciliano e al suo equipaggio italo-tunisino, il nostromo Chaabane Mokhtar, il timoniere Santo Speciale, il mozzo Michele Guerriero, il marinaio Beji Tahar.
Mazara del Vallo, tre settimane fa: arriva la telefonata di Laura Boldrini, Alto commissario dell’Onu per i rifugiati. «Pronto, c’è il signor Russo?». «Sono la moglie, mio marito è in mare, torna fra una settimana». E dopo una settimana di nuovo la Boldrini chiama Russo: «Signor Pietro, lei è da premio». Diecimila euro per l’equipaggio, dono simbolico, e il premio “Per mare” che riceve a Roma. Il comandante lavora e il 20 giugno non poteva essere presente. Il premio lo riceve suo figlio Davide, mentre lui quel giorno è impegnato nella pesca del gambero forse nelle acque della Grecia, forse nel mare della Libia.
Il gommone della speranza
Ma pescando nel canale di Sicilia è facile incontrare il dramma. Passa gente che tenta l’esodo di nascosto e paga per scappare su un gommone, che sogna l’Occidente, che cerca una nuova patria. E quella mattina di settembre 2006 il motopeschereccio Ofelia ha davanti 23 disperati alla ricerca del nuovo mondo, «tutti su una barchetta blu, lunga forse sei metri, carica all’inverosimile». I verbali del Comando militare autonomo in Sicilia parlano di «meritoria azione» e di vivo compiacimento «per la sensibilità, la solidarietà e lo spirito di sacrificio dimostrati dagli uomini di mare», segnalano «l’elevatissima perizia marinaresca, un’azione filantropica».
Pietro Russo non si aspettava un premio. È un pescatore avventuroso che ha fatto tutte le “guerre” di regolamento internazionale nei mari della Libia, della Tunisia e dei Paesi del Mediterraneo. Ha salvato ventuno rifugiati nel settembre 2006, ma ha ricordi che fanno la storia della marineria siciliana, con arresti e fermi in acque internazionali, mesi e mesi trascorsi prigioniero con l’equipaggio a Sfax, in attesa di chiarire controversie sui confini. «Undici volte sequestrato dai tunisini nei miei trent’anni in mare, ma non è nemmeno facile salvare i rifugiati che viaggiano sulle carrette del mare. E anche con tutta la buona volontà, qualche volta il capitano di un peschereccio deve fermarsi: rischia grosso se salva qualcuno senza il permesso delle autorità, rischia di essere considerato complice di quella fuga e di essere quindi incriminato».
Quei corpi che galleggiano
E a volte non è nemmeno semplice assistere alle tragedie del mare, e si può avere voglia di scappare. «Con i morti che galleggiano sull’acqua, è successo che le navi militari costringessero i pescherecci a recuperare i corpi».
Nel conto dei salvataggi di Pietro Russo c’è la cifra di 60, almeno: tante sono le
persone salvate dalle onde. «Una volta, e parlo del 2005, eravamo a 30 chilometri a sud del posto dove è avvenuto l’episodio relativo al premio, e ci siamo trovati davanti a un barcone carico di immigrati in fuga. Non c’era una nave militare in zona, ho chiamato Roma, loro imbarcavano acqua e stavano per affondare. Ho richiamato Roma per mettermi al sicuro, non potevo rischiare di essere incriminato se li salvavo senza il permesso. Ho detto al telefono: “Guardi che stanno andando a picco”. E da Roma mi hanno risposto così, testuale, “Se non arriva la Capitaneria faccia quello che le dice il cuore”. Con il cuore ne abbiamo salvati trenta e poi è arrivata la motovedetta della Capitaneria».