Il Paese incontrato. La grandezza unita al senso del limite
Sincerità e amicizia. Si potrebbe sintetizzare in questi due concetti la chiave di lettura del discorso pronunciato dal Papa al suo sbarco negli Stati Uniti, in un Paese che conosce e che ammira per la capacità dimostrata fin dalla sua stessa origine di perseguire nel pluralismo una verità che non può essere mai relativa. Diverse possono essere le vie attraverso le quali gli individui e le comunità ricercano – come sottolinea Benedetto XVI – quella «verità evidente per se stessa che tutti gli uomini sono creati eguali e dotati di inalienabili diritti, fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa natura». Ma l’eguaglianza degli esseri umani, e il suo sostanziarsi (ancora più e meglio del suo declinarsi) in diritti, non può essere creduta vera che come assoluto. In tal senso la libertà è, contemporaneamente, un bene in sé (un fine ultimo) e uno strumento, attraverso il quale è possibile illuminare, nel dibattito e nel ragionamento, nella pratica e nella coerenza, la via che conduce alla verità. Alla politica è consegnato il compito di apparecchiare le norme e le istituzioni che consentono ai tanti e diversi discorsi sulla libertà di incontrarsi e vicendevolmente arricchirsi, senza che le buone ragioni di ognuno vengano brandite come armi nei confronti degli altri, argomentando piuttosto che contrattando.
In questa prospettiva, pochi sistemi politici come quello americano hanno offerto una lezione migliore. Proprio la consapevolezza della fragilità della natura umana se comparata alla grandezza degli ideali politici che i Padri Fondatori si danno e danno alla “Grande Nazione” è ciò che permette la costruzione di un edificio maestoso e umile. Libertà religiosa e diritti di proprietà sono le colonne su cui poggia l’intero edificio della repubblica. La libertà religiosa è posta a fondamento e bastione della forma più intima della irriducibile unicità di ogni essere umano: che la vogliate chiamare anima o coscienza non cambia nulla, perché la sua tutela è scudo anche per chi scelga di rifiutare qualunque credo religioso. I diritti di proprietà sono ciò che consente agli individui riuniti in società di preservare la propria indipendenza dalla benevolenza del principe, per quanto illuminato possa essere, di rammentare a tutti e ad ognuno che la sola possibile fonte di legittima sovranità siamo “Noi, il popolo”.
Una delle cose che più colpisce, guardando a quella straordinaria intrapresa politica che è stata la fondazione degli Stati Uniti, è proprio la capacità di sintetizzare grandezza e senso del limite. Nel momento in cui si accingono a realizzare una operazione senza precedenti, “l’impero della libertà”, qualcosa che grida in faccia ai contemporanei e ai posteri la maestà del genere umano, il suo prometeico coraggio, i Padri Fondatori, tra i quali c’erano teisti e atei, si affidano a Dio, e ancorano alla sua regia la naturalità di diritti, che bisogna iniziare a implementare e tutelare. Quasi che, mentre si accinge alla sua opera creatrice, e la politica è creazione, l’uomo si volga a cercare il conforto di un’altra Creazione e di un altro Creatore, a cui immagine, pure, anch’egli è fatto.
Ben consapevole di tutto questo il Papa, ieri, ha cominciato a incontrare l’America, che l’ha accolto – per voce dei suoi rappresentanti – con un’amicizia e una sincerità altrettanto aperte. Grata a questo testimone del Vangelo dell’amore e della speranza, e attenta a ciò che è venuto a dirle. E a ricordare a tutti. Per quanti errori e soprusi siano stati commessi nella lunga storia degli Stati Uniti, anche nel nome della libertà, e per quante volte succederà ancora che la libertà sia evocata per giustificare egoismi e opportunismi, oggi come duecentotrentadue anni fa, dovremmo avere molta più paura per la libertà che della libertà, dovremmo innanzitutto temere di perdere la libertà, piuttosto che aver paura di sbagliare perché siamo liberi.