LA FEDE NEL MIRINO
Un grido per la libertà di essere cristiani
La Piazza Santi Apostoli che raccoglie gli umori e i livori politici, le ansie e lo scontento sociale di tutti i cortei che qui confluiscono e muoiono, era ieri sera una piazza raccolta e preoccupata per la sorte dei cristiani perseguitati e martoriati in terra d’Oriente. A sottolineare che questa non è una fantasia, proprio davanti al palco per la manifestazione promossa dal vicedirettore del Corriere della Sera, Magdi Allam, ecco campeggiare il ritratto di padre Bossi. «Liberiamo», recita la scritta.
I big della politica (tra i quali Berlusconi, Castagnetti, Fini, Buttiglione, Lusetti, Ranieri, Castelli e Mantovano), si confondono con la gente comune che ha voluto testimoniare senza paura, togliendosi quel velo di timore – come dice qualcuno – che serve solo a nascondere e a negare la propria identità cristiana.
Molti i romani, ma tanti anche quelli venuti da lontano. Non sono a Roma per visitare il Colosseo e il Vaticano: sono venuti apposta per chiedere la libertà di credo per i cristiani che vivono nei Paesi islamici. Come una coppia di coniugi che in treno è venuta da Zanè nel Vicentino, Margherita e Claudio Comero. Sono i primi ad arrivare in piazza, attaccati alla transenna. Lei ha applaudito Allam quando è comparso in piazza «Perché – spiega – è una persona che ha capito l’esigenza del nostro credo cristiano». Lui aggiunge: «Noi siamo stati intimiditi da questa sinistra che ogni giorno tuona contro la religione, invece lui, musulmano, ci ha aperto gli occhi. Ecco perché stamattina abbiamo preso il treno per Roma».
Chi sta qui è convinto di aver fatto un gesto coraggioso, e coraggio lo chiede Diego Volpe Pasini, che ha coordinato la manifestazione: «Una parte del Paese si riconosce in valori universali, tra questi la libertà di religione. Verso quanti non rispettano questa libertà occorre avere il coraggio di dire no a tutti gli accordi e a ogni possibile intesa o affare economico e commerciale».
Se potessero salire sul palco anche questi ragazzi con gli occhi nero come il carbone, sarebbe un’altra prova che la preoccupazione della persecuzione è reale. Bernard Selwan e Milad Tawk sono libanesi. Hanno portato la loro bandiera in cui campeggia il cedro: «Siano due dei pochi libanesi cristiani maroniti che vivono a Roma». Per loro, questa manifestazione è un segno che l’Occidente, finalmente, comincia a rendersi conto del problema: «E noi – aggiunge uno dei due – queste difficoltà le abbiamo vissute sulla nostra pelle. Non da ieri, non dall’altro ieri, ma dalla fine dell’Ottocento, quando interi villaggi, sotto l’impero Ottomano, venivano rasi al suolo».
Ci sono anche molti preti, alcuni venuti da lontano, apposta per portare la loro testimonianza. C’è don Vincenzo Federico che viene da Padula nel Salernitano: «Noi vogliamo dire – spiega – che la libertà dei cristiani è un bene per tutti. Affermarla per i cristiani è quindi affermarla per tutte le religioni».
Ecco lì piccole famigliole. Quella di Vincenzo D’Angelo, ad esempio, con moglie e figlia. «Siano qui non per questione di principio, ma per sostenere dei principi. Che è diverso. L’Islam, questo Islam intransigente, da un momento all’altro ci può inghiottire». Là, invece, due professoresse. Irene Ferri e Valeria Ugazzi, quasi insieme spiegano la necessità di radunarsi e di parlare «di questo cristianesimo minacciato e colpito». «Noi – aggiungono – siamo i soli aperti agli altri. Questo va bene, ma fino a un certo punto. Lo stesso non avviene là… dove il cristiano è perseguitato per la sua identità e non per crimini commessi».
Sono in tanti a percepire la preoccupazione che la minaccia viene anche dall’Occidente. Marisa Bonoris, che vanta un cardinale nella sua famiglia, parla del “nostro” Islam: «Mi riferisco – dice – alla sopraffazione e agli attacchi continui alla religione in questo Occidente scristianizzato. Senza andare lontano, basta leggere tanti giornali della nostra sinistra con i loro attacchi quotidiani al Papa».
Forse è Elena di 15 anni la più piccola in questa piazza raccolta. «Padre Bossi – dice – è stato rapito da 24 giorni. Nessuno ha manifestato per lui come è stato fatto in altre occasioni. Mi sembra giusto fargli sapere, e magari la notizia gli arriverà, che qui c’è tanta gente preoccupata per lui e che gli sta vicino».
i testimoni
«Cominciamo a esigere più libertà in Italia e in Europa»
Dal palco sono stati numerosi gli interventi Tra coloro che hanno preso la parola anche ebrei e musulmani
«Padre Ragheed Ganni, 34 anni, di Mosul, era mio amico. Questo giovane prete caldeo è stato ucciso un mese fa, dopo aver celebrato la messa. Con lui sono stati trucidati tre suddiaconi. Un gruppo di uomini, che li ha fermati, ha domandato loro di convertirsi all’Islam: al rifiuto, li hanno colpiti con una raffica». Padre Bernardo Cervellera ha scelto di affidarsi a un ricordo triste e cruento quanto il presente dell’Iraq («l’anarchia ha generato una “caccia” ai cristiani» ha detto) e subito piazza Santi Apostoli è ammutolita. Com’era avvenuto per don Santoro, la morte di un giovane prete caldeo, ieri sera, è diventata l’immagine della sofferenza di migliaia di cristiani perseguitati nel mondo. E la piazza si è stretta intorno al direttore di Asianews e agli altri testimoni della libertà religiosa, chiamati da Magdi
Allam a scoperchiare questa sofferenza planetaria.
È stato il vicedirettore del Corriere della Sera, apripista di tante battaglie contro il terrorismo islamico, a caricare maggiormente la folla con il suo «Basta ai profanatori della libertà religiosa e ai dissacratori di un Dio trasformato in un’ideologia dell’odio». Allam ha inquadrato così la manifestazione: «sosteniamo il diritto alla libertà religiosa ovunque nel mondo, sulla base del rispetto della fede altrui e della reciprocità del riconoscimento di tale diritto». Com’è nel suo stile, non ha taciuto né sulle violazioni dei paesi arabi, né sulla debolezza dell’Europa «lassista, ammalata di relativismo», che «tradisce le proprie radici giudaico-cristiane» e non ascolta Benedetto XVI, che invoca «rispetto e reciprocità». Lui, musulmano, ha accusato l’Islam di intolleranza «sin dai suoi primordi»; ha intimato alla politica di «smetterla di nutrire il coccodrillo sperando di essere mangiati per ultimi»; ha attaccato il «vergognoso, ignobile e inaccettabile silenzio sulla sorte di padre Bossi» E ha scandito: «è giunta l’ora della chiarezza della realtà, del coraggio della verità, padre Bossi è diventato il parametro della nostra eticità. Voi l’avete riscattata per affermare che la sua vita non vale meno di quella degli altri ostaggi. Sono coloro che hanno boicottato questa manifestazione che strumentalizzano politicamente la vita degli ostaggi».
L’intensità emotiva di questi passaggi rispecchia tutta la straordinarietà dell’evento. «La serata “Salviamo i cristiani” dimostra che l’interesse per questi temi esiste ed emerge, se stimolato» ha commentato, aprendo gli interventi, Attilio Tamburrini, direttore della sezione italiana della Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre. «Ai vari gridi di libertà che risuonano nel mondo si aggiunge quello di Gesù che nel Vangelo ha detto di non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te, precetto valido indipendentemente dal credo religioso» ha confermato Roberto Mazzeschi, presidente dell’Alleanza Evangelica Italiana.
Souad Sbai, presidente delle donne marocchine e capofila di tante battaglie contro la discriminazione delle musulmane, ha testimoniato che «non c’è religione degna di questo nome se nega la libertà di coscienza, o cancella la sacralità della vita, o uccide, abusa e mortifica la dignità delle persone nel nome di Dio. Certo quella non è la mia religione». Anche lei ha attaccato l’estremismo di molti paesi arabi, collegando la battaglia per i cristiani a quella condotta «quotidianamente per le tante donne brutalizzate. Non sono cose diverse – ha puntualizzato -, è la stessa grande battaglia per la libertà e la dignità dell’individuo, qualunque sia la preghiera che egli rivolge ogni sera al suo Creatore».
Un impegno che ha trovato eco in Riccardo Pacifici, vicepresidente e portavoce della Comunità ebraica di Roma: «Sbaglia Amato, come ha sbagliato Pisanu, a penalizzare gente come la Sbai e Allam, cercando il dialogo con l’Ucoii, imbevuto dei precetti dei Fratelli Musulmani. Si indebolisce chi paga di persona per la libertà». Quindi una precisazione: l’iniziativa «non è anti-islamica»; al contrario, «nasce dalla volontà di porgere la mano ai paesi che vivono nell’assenza di uno Stato di diritto. Ed è tardiva: se questa solidarietà fosse scattata prima, non ci sarebbero interi paesi da cui gli ebrei sono dovuti fuggire». Un appello a non indugiare l’ha lanciato anche Jesus Carrascosa, di Comunione e Liberazione, il quale ha ammonito: «bisogna difendere chi è perseguitato per la fede anche quando non sembra che il problema ci “riguardi”. Un giorno potrebbe essere troppo tardi».
La discussione si è conclusa con alcune proposte. Per Cervellera in Medioriente serve «una pace concordata fra Israele e Palestina e una Conferenza regionale di Pace». Qualche novità attende anche l’Italia e l’Ue. «Cominciamo a occuparci della libertà religiosa a casa nostra, dove
moltissimi musulmani non possono avvicinarsi alle moschee trasformate nel quartier generale degli estremisti islamici» ha invitato Allam. E Cervellera: «Questa sera degli occidentali tornano a pensare ai cristiani e alla libertà religiosa non come una vergogna storica, ma come un bene per l’Europa. Il nostro è un passo verso la rinascita di un’Europa che si nutre delle radici religiose».