Prima regola coi cinesi: affari senza inganni
E’ passata sotto silenzio nei giorni scorsi una notizia importante che riguarda la Repubblica popolare cinese.
La Camera dei deputati ha approvato ben tre mozioni, proposte da parlamentari di centro destra e di centro sinistra, che condannano i laogai, cioè i gulag cinesi nei quali sono stati rinchiusi negli ultimi dieci anni almeno cinquanta milioni di dissidenti. Attualmente, secondo Harry Wu, un dissidente rinchiuso per 19 anni in un laogai (presidente della “Laogai Research Foundation”), le autorità cinesi considerano un’inesauribile forza lavoro la prigionia di 5-6 milioni di cittadini. Infatti, la pena da scontare in questi gulag (oltre 1000 in tutta la Cina) è di almeno tre anni. La condanna del parlamento italiano ha preso spunto da analoghe prese di posizione adottate dal Congresso degli Stati Uniti e dal Bundestag tedesco. Ed è curioso che il governo italiano e la Commissione di Bruxelles non abbiano commentato le mozioni a loro indirizzate. La Camera sollecita, infatti, l’adozione di «incisive iniziative volte a indurre le autorità cinesi a risolvere la questione dei laogai». Non solo, ma si chiede – sulla base di quanto avvenuto in Germania – di vietare l’importazione di prodotti cinesi di dubbia provenienza e di prevedere, anche in Italia, un bollino che certifichi l’inesistenza di utilizzazione del lavoro di detenuti. I marchi commerciali di tanti prodotti made in China mimetizzano una realtà di sfruttamento: milioni di cittadini che lavorano senza alcuna retribuzione per 16 ore al giorno, sette giorni su sette. Le testimonianze raccolte dalla Fondazione Laogai parlano di prigionieri spesso privati di cibo e sonno, oggetto di sevizie e torture, di esecuzioni senza processo e persino di traffico di organi. L’unica via di fuga è quasi sempre il suicidio. Tutte le organizzazioni umanitarie da anni denunciano questi orrori ma i risultati sono molto deludenti. Il regime comunista ha fatto promesse, anche in vista delle Olimpiadi di Pechino del 2008, ma nulla è cambiato.
Anzi, secondo Amnesty International le condizioni nei lager sono talmente infernali che un detenuto su quattro non sopravvive al primo anno di detenzione. Quella del parlamento italiano è una presa di posizione coraggiosa, non solo perché è bipartisan, ma perché supera l’ipocrisia di troppi uomini di governo che si recano a Pechino per firmare contratti, per siglare accordi commerciali e poi, al ritorno in Italia, dichiarano con enfasi: «Abbiamo ottenuto garanzie sulla tutela dei diritti umani in Cina». E poi tutto continua come prima. E certo non è sufficiente a salvarci l’anima la proposta di qualche intellettuale che riprende la logora bandiera del boicottaggio in vista delle Olimpiadi.
Condividiamo, ovviamente le ragioni politiche e umanitarie della rappresaglia ma sappiamo bene che il boicottaggio è molto difficile da attuare: è quasi sempre inconcludente perché alla fine la politica del business vince sempre.