Quel silenzio carico di memoria e di preghiera
In silenzio per ricordare le vittime della Shoah. In silenzio per sperare che tragedie del genere non accadano più. Il primo giorno di Benedetto XVI in Israele è stato segnato dalla toccante visita di lunedì pomeriggio al mausoleo dello Yad Vashem. Così come aveva fatto ad Auschwitz nel maggio 2006, il Papa si è recato in questo “santuario” della memoria dello sterminio, dove è stato accolto dal capo dello Stato Shimon Peres e dal direttore Avner Shalev.
Ha sostato nella “sala della rimembranza”. È il luogo delle cerimonie commemorative ufficiali. Ha la forma di una tenda in cemento nero. Il soffitto basso. È in perenne semioscurità. Sul pavimento sono scritti i nomi, tristemente noti, dei 22 campi di sterminio nazisti. Vi sono conservate le ceneri di molte vittime e una fiamma arde incessantemente per mantenerne vivo il ricordo. Benedetto XVI, ha alimentato quella fiamma, dopo aver ascoltato il canto della corale “Ankor”, composta da sole ragazze. È seguita la lettura del cosiddetto “testo di identificazione”, cioè la riaffermazione delle motivazioni di questo luogo. Il Papa ha deposto una corona di fiori su una lastra di marmo davanti alla fiamma. Poi ha ascoltato la lettera scritta da una madre al proprio bambino, nel 1944, e un antico canto.
Gesti compiuti in silenzioso raccoglimento, prima di salutare sei sopravvissuti ai lager e il presidente dell’associazione israeliana dei “Giusti tra le Nazioni”.
Nel discorso Benedetto XVI ha sottolineato l’importanza dello Yad Vashem, che significa “un memoriale – un nome”, a ricordare l’ulteriore umiliazione che i persecutori nazisti hanno voluto infliggere agli uomini e alle donne del popolo d’Israele destinati ai forni crematori, identificandoli solo con un numero, marchiato a fuoco sulle braccia. Infine sul libro d’Onore il Papa ha lasciato scritta questa frase: “La sua misericordia non avrà fine”.
Il memoriale è stato eretto su una collina di ottanta ettari nella parte occidentale di Gerusalemme. Vi si accede attraverso un boschetto intitolato agli oltre diciassettemila “Giusti tra le Nazioni”, come sono chiamati quanti salvarono gli ebrei mettendo a repentaglio le loro vite. Gli edifici che lo compongono sono due: uno è quello visitato dal Papa; l’altro ospita il museo della storia della Shoah: 55 milioni di pagine, centomila fotografie, documenti anche audiovisivi, oltre ottantamila volumi che testimoniano la tragedia. C’è poi la cosiddetta “sala dei nomi” dove sono custodite le biografie di milioni di vittime. All’esterno un monumento scavato nella pietra, su cui sono scolpiti i nomi delle comunità ebraiche distrutte o sopravvissute allo sterminio nazista e il “memoriale dei bambini”, una galleria sotterranea, che si percorre al buio, in cui si vedono in lontananza piccole luci prodotte da un gioco di candele riflesse su specchi. Una voce perpetua i nomi del milione e mezzo dei piccoli morti nella Shoah. Ci vogliono quasi due anni per esaurirne la lista completa.
Poco prima di recarsi allo Yad Vashem il Pontefice aveva restituito la visita a Shimon Peres nel palazzo presidenziale. Ad accoglierlo, nel giardino d’ingresso, tre bambini. Mira di Nazaret, Nicole di Herzlia e il piccolo Micha gli hanno offerto frutta locale e altri prodotti della terra, accompagnando il gesto con parole di saluto. In particolare Nicole nell’offrirgli della frutta ha espresso l’auspicio “che da questo Paese venga la pace fra i vicini, popoli e fedeli”.
Tra il Papa e il presidente si è svolto un breve incontro informale. Il presidente ha tenuto a informare il Papa che all’istituto di agriturismo è stato prodotto un frumento speciale il cui rendimento è doppio rispetto al normale. E trattandosi di una prima risposta alla fame nel mondo si è voluto chiamare il progetto “Benedetto XVI”. Il presidente ha poi detto di aver notato con piacere il calore e l’entusiasmo con il quale il popolo israeliano ha accolto il Pontefice e ha poi condiviso l’apprezzamento che rimbalza un po’ ovunque negli ambienti ufficiali a proposito delle parole pronunciate al suo arrivo. Il Papa ha risposto al presidente, scusandosi per il suo inglese. “Spero comunque – ha detto improvvisando – di esprimere le mie idee. Sono infatti molto lieto di essere qui in Israele”; “sono convinto – ha aggiunto – che la terra promessa sia molto importante anche per la pace e che tutti collaboreranno per raggiungerla. Allora sarà completa. Lei sa che nella nostra fede siamo legati a Israele; i vostri profeti sono i nostri e speriamo di poterci comprendere sempre reciprocamente come fratelli e sorelle. In questo modo potremo cooperare alla pace e al futuro di questo Paese”.
Dopo lo scambio dei doni il Papa e il capo dello Stato Israeliano hanno simbolicamente piantato un ulivo in giardino. L’esecuzione di alcuni motivi musicali ha preceduto i due discorsi.
La prima giornata di Benedetto XVI in Israele si è poi conclusa con un incontro con i capi religiosi di Gerusalemme nell’auditorium del centro Notre Dame of Jerusalem.
Simbolo di questo luogo è un ulivo. Era una pianticella alta cinquanta centimetri quando Giovanni Paolo ii l’aveva benedetta e piantata. Poi è stata collocata in un giardino, qui nel cuore di Gerusalemme, come un segno di speranza di dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani. E sebbene quest’ulivo sia divenuto una pianta robusta, non tutto è facile nei rapporti tra le tre grandi religioni monoteistiche. Ma al dialogo autentico non c’è alternativa.
Dal 1888, su iniziativa dei religiosi assunzionisti, qui vengono accolti i pellegrini. Negli ultimi anni il lavoro dell’istituzione è aumentato: dapprima grazie all’incoraggiamento dato da Paolo vi nel 1973 e poi con l’erezione, stabilita nel 1978 da Papa Wojtyla, del Pontificio Istituto, che dal novembre 2004 è affidato ai Legionari di Cristo.
Rivestito in pietra bianca, il centro ha la facciata caratterizzata da cinque grandi arcate. La prima pietra è stata benedetta nel 1985, ma i lavori sono cominciati nel 1994. Dotato di strutture tecniche all’avanguardia e capace di cinquecento posti, l’auditorium lunedì sera ha riunito rappresentanti di numerosi gruppi religiosi e organizzazioni non governative: un’assemblea ampia e composita di persone. Tra queste lo sceicco Al-Tamimi, direttore del Jerusalem islamic Waqf, che prendendo la parola dopo gli interventi del Patriarca Twal e del Pontefice, al momento in cui era prevista la presentazione di alcune personalità, ha pronunciato un acceso discorso in arabo dai toni anti israeliani, creando un certo imbarazzo tra i presenti. Un incidente imprevisto – ha commentato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Lombardi – auspicando che questo episodio non comprometta le aspettative di pace per questo pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa.