Spacciare droga? Al concerto rock si può
Questioni di circostanza. Come se le quantità di droga siano più o meno stupefacenti e lecite a seconda che uno le abbia in tasca tra la folla sotto un palco o nello spiazzo di un supermarket.
Al concerto al Mazdapalace della Fiumara, quasi un anno fa, erano in cinquemila.
Quando i cani lupo sono andati in fibrillazione, lui ha infilato una mano sotto il giubbotto perché era inutile opporre resistenza: tirò fuori un sacchettino con tre dosi, venti grammi di hashish. Quattro volte il limite massimo di legge oltre il quale l’uso personale sfuma in spaccio. Quindi in reato.
A meno che non si tratti di un concerto rock, nella fattispecie quello del gruppo torinese dei Subsonica, dove un trentacinquenne di Genova è stato fermato con la dose più che sospetta, ma poi assolto per questioni di contesto.
Data la quantità indifendibile di hashish (il regolamento applicativo della legge Fini fissa a 5 grammi il limite di consumo personale), il suo avvocato ha puntato su un altro elemento d’innocenza. La prova che nelle intenzioni non ci fosse lo spaccio ma l’uso personale è data dalla «situazione particolare» in cui si trovava. «Un concerto è notoriamente un luogo dove si fa uso di droghe», spiega con naturalezza il legale della difesa Piero Franzosa, «quindi è più probabile che venti grammi di hashish, una quantità che non è proprio modica, fossero effettivamente destinati a uso personale». Se si è a una festa di sballoni avere dosi da pusher è probabile e consentito. Poi precisa: «Magari non l’avrebbe consumata tutta in quell’unica serata, ma la rimanenza è da considerarsi come scorta per i giorni a seguire». Ecco che i conti tornano.
Così il tribunale di Genova ha assolto l’imputato e respinto l’accusa di spaccio, per cui il pm aveva chiesto un anno e due mesi di detenzione. E anche se «le motivazioni della sentenza non sono state precisate», spiega Franzosa, «è evidente che il giudice ha sostanzialmente accolto la mia tesi difensiva, non considerandola affatto campata per aria». Ovvero che l’essere a un concerto rock dove strafarsi è conclamato fa la differenza nel giudicare la detenzione di stupefacenti.
Vero che le quantità stabilite per legge hanno unicamente valore di indizio, e che il reato di spaccio deve essere provato; vero pure che è prevista e resta ferma la discrezionalità del giudice sul contesto. Ma altra cosa è considerare un concerto rock un’attenuante.
«Il caso merita senza dubbio un approfondimento», commenta il sottosegretario con delega alle Politiche contro la droga, Carlo Giovanardi: «È difficile dare un giudizio, perché le motivazioni della sentenza non sono state precisate, ma ciò non vuol dire in nessun modo che la situazione particolare di un concerto possa giustifcare la detenzione di un superiore quantitativo di droga. Se questa è veramente la ratio sottesa all’assoluzione è inaccettabile. E allora confido che in secondo grado la sentenza venga riformata».
La giustificazione del quantitativo sulla base della circostanza non è accettabile nemmeno per Vito Malcangi, penalista e responsabile del Cad, Centro accoglienza e trattamento dipendenze, struttura privata accreditata come un Sert: «Semmai il concerto è un’aggravante, perché è una situazione in cui la cessione a terzi è assolutamente più facilitata».
Un corretto criterio di giudizio è invece «quello che riguarda il principio attivo», che nella normativa vigente ha più valenza del peso della dose. «La considerazione dell’uso personale si basa sulla percentuale, due, tre, cinque per cento di principio attivo presente nell’hashish sequestrata», precisa Malcangi.
Ma a riguardo è lo stesso avvocato della difesa a replicare che quello del principio attivo non è stato un elemento preso in considerazione nel procedimento, «perché», dice, «è più che altro incisivo quando si tratta delle droghe pesanti, che si prestano a tagli e lavorazioni». Il legale tiene a precisare di non essere «a favore della liberalizzazione delle droghe leggere». Ma spiega che una sentenza come quella di Genova è possibile «innanzitutto per le zone d’ombra della legge italiana», che permette il possesso di sostanze di cui contemporaneamente vieta la vendita. «È questo che crea non poca incertezze», tra le cui pieghe si è infilata la sua linea difensiva trovando l’appoggio del giudice.
Il concerto dei Subsonica in cui il trentacinquenne genovese è stato colto in flagranza di reato è lo stesso che passò alle cronache per le proteste del don antiproibizionista Andrea Gallo. Il quale aveva dato dei «nazisti» a quegli stessi finanzieri che fermarono l’imputato prosciolto a Genova. Gallo si era irritato, insieme agli organizzatori, per il solo fatto che le Fiamme gialle avessero eseguito dei controlli. Un affronto. Era come affermare l’equazione: concerto rock uguale spinelli.
Peccato che ad affermare l’equazione, più che le forze dell’ordine, è proprio la sentenza del tribunale di Genova. A cui però lo stesso don Gallo plaude: «Finalmente un giudice che c’entra la questione: era evidente che quel ragazzo non voleva spacciare, ma farsi qualche canna godendosi la musica». Mentre gli spacciatori veri, «quelli continuano ad agire indisturbati». Il caso di Genova di certo non li disturba.