Un tratto della relazione di Nicolino Pompei al X Convegno
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Cosa mi è accaduto?
Un Incontro. Concretamente un incontro con una persona, padre Silvano, durante l’ora di religione – da me costantemente evitata (in tutti i sensi) nella mia frequenza al Liceo – che ha catturato immediatamente e – oggi lo capisco di più – ragionevolmente, la mia attenzione. Questo è il fatto. Come desidererei condividervi, ancora una volta, con dovizia di particolari, quel momento così come sempre ho fatto con i miei alunni a scuola. Ma ci vorrebbe un intero Convegno… Mi limito a dirlo così come l’ho riportato in questi interventi: Un Incontro “… che mi ha ragionevolmente costretto alla considerazione del Cristianesimo – da me totalmente fatto fuori, se non per l’educazione ricevuta (nella mia famiglia è stato sempre evidente, trasudante come fondamento di tutto e per tutto, ma da me, comunque, fin lì completamente evitato) – come Avvenimento, come l’Avvenimento di Carne e Sangue totalmente esatto dal cuore dell’uomo e quindi totalmente corrispondente ad esso. Prima di questo sorprendente Incontro (sì, mi ha completamente sorpreso. Lo ricordo e lo dico, oggi più di ieri, con quella commozione e con quella vertigine di chi si domanda: Se non fossi stato in quella classe, in quell’ora, in quel momento…?) tutto in me era solo ed unicamente, anche se molto nascostamente e spesso inconsciamente, una reazione al non senso (cioè: non c’era il senso, né misura, né direzione) che comandava, misurava il tempo e le giornate, i rapporti, tutto… Ritrovandomi con altri amici a subire la nota fatica, il tragico malessere di chi non vive e «il vuoto nell’anima e nel cuore» come inevitabile conseguenza (di chi non ha il significato della vita). Questo emergeva, «mordendo», in tutti i fattori del mio quotidiano, a partire dal mio rapporto tragico e soffocante con la scuola; in più era favorito da inventati e forzati, ingannevoli e omologati tentativi di risposta, che si nutrivano della stessa assenza ed inevitabilmente di menzogna, e che, anche se in maniera non evidente, di fatto, lentamente mi facevano ritrovare logorato e ripiegato su me stesso”.
A quell’Incontro è poi seguito un semplice invito alla partecipazione ad un Convegno in Assisi, a cui ho immediatamente ed incredibilmente (vista tutta la mia chiusura di allora a queste “cose di chiesa”) aderito. E così mi sono ritrovato davanti a quella potenza di uomo – purtroppo così ridotta, anche all’interno della Chiesa, e così spesso presa a pretesto dall’ideologia dei valori – che è Francesco d’Assisi.
È stato decisivo per farmi emergere nella domanda di Significato e di Felicità, che avevo lasciato sotterrare dallo scetticismo imperante e quindi dall’indifferenza. Sono emersi il mio desiderio e il mio cuore, descritti nella loro costitutiva esigenza.
Nessuno di noi fino in fondo crede che Dio non esista; e nemmeno io dicevo questo. Ma quell’Incontro mi ha posto davanti alla Carne di Quello che per anni avevo visto, a vari livelli, come qualcosa di estraneo alla realtà, alla concretezza, alla mia vita, alla mia ragione e libertà.
La figura di S. Francesco, oltre a quella iniziale e cara di padre Silvano, è stata profondamente stringente per me. Già fin da allora in maniera incredibile – visto che il contesto spingeva da un’altra parte… – la figura di Francesco, quella irresistibile “carne” di uomo che mi sono trovato davanti e che aveva 800 anni più di me, mi costringeva a domandarmi, a gridare: Perché? Perché tu – così pienamente soddisfatto da tutto quello che la mentalità comune e del mondo (quella del 1200 come d’altra parte quella di oggi… cambia solamente l’espressione) indica come la soddisfazione e il massimo – hai posto, ad un certo momento, la tua vita radicalmente dalla parte opposta? Perché tu, pienamente realizzato, secondo i criteri di valutazione di questa mentalità, lasci tutto e scegli una condizione totalmente opposta?
Erano così elementarmente poste le mie domande. E dentro un entusiasmo ritrovato per la vita – sicuramente ancora molto legato solo al sentimento, alle sensazioni – che comunque questo contesto assisano mi ha fatto ritrovare, queste diventarono sempre più presenti e provocanti.
La familiarità che decisi di avere con la sua figura, quella di Francesco, arrivò ad un punto che mi costrinse razionalmente a guardare la Carne di Uno. Finalmente non un atteggiamento spirituale, dei valori da assumere, uno sforzo morale da intraprendere (anche se – lo ripeto – quell’ambiente, spesso, spingeva a questo). No, mi ha posto davanti ad Uno, Uno presente. Non ad un atteggiamento. Non ad una devozione. Ma ad un Uomo. Un Avvenimento di Uomo con una pretesa e una promessa sconvolgente di felicità, quella a cui Francesco aveva radicalmente (come ritroverete anche nel pannello della Mostra sul presepe), consegnato tutta la propria vita, tutta la propria carne, tutta la propria volontà, tutta la propria intelligenza, tutto il proprio cuore… tutto il proprio io: Mio Dio, mio tutto!
Una Presenza totalizzante, ritrovata presente in tutte quelle domande e circostanze che invece io facevo di tutto per evitare, spesso reprimendole dentro un quotidiano in cui cercavo di emergere solo con un’immagine coerente a quella stabilita dalla massa e ritenuta necessaria. Una Presenza reale che non solo mi ricostringeva a me (alla mia persona), alla domanda di senso della mia vita, alla realtà e al rapporto con la realtà tutta – fino allo studio – ma che pretendeva essere la Risposta piena. Uno presente, con questa promessa e questa pretesa: un Uomo di nome Gesù.
Quell’Uomo di nome Gesù che 2000 anni fa ha avuto la pretesa di identificarsi con la vita stessa, che ha detto che il Senso e la Verità, il Destino di tutto e tutti, erano Lui. In un momento della storia, Uno aveva detto quello che è impossibile che qualcun altro possa dire: Io sono l’Infinito; Io sono l’Eterno. Non vi spiego il nesso tra la vita e l’Infinito, ma vi dico che Io sono il nesso perché Io sono la Vita e l’Infinito; Io sono l’Eterno, Io sono il Destino e quindi proprio per questo vi spiego la vita, anzi la vita si spiega solo in Me che sono la Via, la Verità e la Vita.
Questa pretesa confermata da 2000 anni di uomini e donne, della statura di Francesco, che hanno identificato la loro vita, tutta la loro libertà, la loro intelligenza, la loro carne – a partire proprio da quei primi amici della Sua Compagnia, Pietro, Giovanni, Andrea… passando per Francesco e arrivando a Piergiorgio e a tutti i nostri amici – su quell’Uomo di nome Gesù, fino a morire pur di affermarLo come Via, Verità e Vita. Come la consistenza e la pienezza di tutto.
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