Vian: «Il viaggio ha svelato oltre Atlantico il volto vero di questo Papa teologo e pastore»
L’intervista: il direttore dell’Osservatore Romano:
«Grande sintonia con gli Usa, un Paese laico per amore della religione»
Sorprendente. Commovente. Storico. Sono i tre aggettivi che il direttore de L’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian sente di dover spendere per il viaggio del Papa negli Stati Uniti. «Sorprendente perché, come abbiamo titolato oggi, ha svelato all’America il vero volto del Papa. Commovente – aggiunge – come alcuni momenti forti (l’incontro con le vittime degli abusi sessuali e la visita a Ground Zero soprattutto). E storico perché, al di là degli stessi contenuti (penso ad esempio al discorso dell’Onu sui diritti umani), aiuterà anche il riavvicinamento tra Europa e Usa, insegnando come si possa essere laici per amore della religione».
Analizziamo da vicino i diversi aspetti. Che cosa ha sorpreso di più l’America?
La visita ha permesso a moltissime persone di vedere chi è veramente Benedetto XVI. Non il grande inquisitore che ha cambiato veste, ma un Papa teologo e pastore vicino alle persone. Mi ha colpito molto una scritta che ho visto tra i diversi cartelloni:
We love our German Shepherd (amiamo il nostro pastore tedesco), dove con un gioco di parole che noi in Italia conosciamo bene, è stato operato un rovesciamento dell’immagine. La caricatura dell’inizio del pontificato è stata scardinata proprio dal suo modo mite di proporre il Vangelo.
Un’America che non ti aspetti dunque?
Certamente. Gli Stati Uniti e il Pontefice hanno in comune qualcosa di molto bello: l’apertura mentale, la disponibilità al confronto. E forse proprio per questo si sono capiti al volo. Del resto, da cardinale, Papa Ratzinger aveva visitato più volte gli Usa e dunque li conosce bene, come ha anche fatto notare nell’incontro sull’aereo con i giornalisti, coniando una definizione eccezionale: «Un Paese laico per amore della religione».
Un Paese che però vive un momento particolare della sua storia e che sembra in cerca di certezze.
E questo ha senz’altro aumentato il feeling. Benedetto XVI, infatti, è stato portatore di una proposta fatta con grande rispetto, ma anche con molta chiarezza. Non un’ideologia, non una morale ci salverà, ma una persona: Gesù Cristo nostra speranza, che non a caso era il leit motiv del viaggio. E l’America, che è un Paese vitale e aperto al futuro, ha colto il messaggio. Si pensi che data l’alta richiesta per la partecipazione alle Messe papali, in alcune parrocchie si è dovuto procedere al sorteggio, per stabilire chi dovesse essere presente.
Quali sono stati, a suo avviso, i momenti più alti della visita?
Da un lato quelli che hanno toccato le corde del cuore. Penso ad esempio all’incontro con le vittime degli abusi sessuali, che ha spiazzato gli osservatori, e alla visita a Ground Zero, con l’impressionante silenzio che però ha ‘parlato’ più di mille discorsi. E dall’altro non bisogna dimenticare l’importanza storica della tappa alle Nazioni Unite. Senza sottovalutare, naturalmente altri momenti come la visita alla sinagoga di Park East, dove ha incontrato tra gli altri il rabbino Jacob Neusner, ampiamente citato nel libro su Gesù, e che ha confermato lo smantellamento dei pregiudizi su un presunto arretramento del dialogo con l’ebraismo.
In definitiva qual è l’eredità principale di questo viaggio?
Mai un Papa aveva parlato ai rappresentanti di tante nazioni riunite insieme: erano 192 nell’Assemblea generale dell’Onu. Il suo è stato un discorso di grande politica, che ha ricordato l’importanza dell’Onu e della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, e soprattutto la necessità di ritrovare lo spirito originario di questo documento, basato sulla legge naturale, inscritta nel cuore di ogni uomo, e dunque universale. È questa l’unica possibilità che abbiamo per favorire la collaborazione tra uomini di diverse fedi e di diverse ideologie. Altrimenti il rischio è di decidere i diritti a maggioranza, o a seconda di ciò che maggiormente conviene ai più ricchi. Il consenso con il quale il discorso è stato accolto fa ben sperare.
l’intervista.