Legge 194, dateci i numeri
Sopravvissuti all’aborto terapeutico e riscontri alle diagnosi di malformazione
La legge 194 non deve essere toccata, questo è chiaro. E così ha detto il ministro della Salute, Livia Turco, esprimendo la volontà di scrivere nuove linee guida “per aggiornarla”. Perché dal 1978 le gravidanze sono molto cambiate, ma gli aborti sono più di centotrentamila all’anno. Ecco, si sa soltanto questo: centotrentamila. E invece bisogna sapere tutto. Servono i dati, vogliamo sapere cosa succede nelle interruzioni di gravidanza (servirà anche a scrivere meglio queste nuove linee guida). Si chiedono i dati sul fisco, sull’occupazione, sui consumi, ma dell’aborto si sa troppo poco. Quanti sono gli aborti “terapeutici” (cioè dopo il termine legale dei novanta giorni) in cui il feto sopravvive, anche per poche ore? E quanti di questi bambini sopravvissuti diventano grandi? Quanti sono gli ospedali in cui alla madre che sta per abortire si chiede il consenso informato affinché i medici possano evitare di prestare soccorso al feto sopravvissuto (violando così la 194)? Quante sono le diagnosi prenatali che individuano malformazioni nel feto? E quante si risolvono in un’interruzione di gravidanza? Quante diagnosi si rivelano, alla fine, sbagliate, cioè si scopre ad aborto avvenuto che la malformazione non esisteva? (Come nel caso del bambino di Careggi, come in casi che magari nemmeno i medici conoscono, perché su un feto abortito non vengono fatte analisi). Quanti sono gli aborti selettivi? Sono parole che suonano a morto, sono cose che non si vuole leggere. Ma continuare a parlare, come fa Miriam Mafai sulla Repubblica, di “spazi di autonoma decisione delle donne” non c’entra più nulla, da un pezzo. Nessuno vuole toccare quello spazio, ma poiché si affida ormai completamente alla medicina, cioè alla scienza, l’inizio della vita e anche la fine di quell’inizio, allora la scienza deve dare le risposte. Tutte. Deve misurare gli errori, deve spiegare perché, deve dire che le diagnosi prenatali sono statistiche e non certezze, e poi deve verificare le percentuali. Deve contare i bambini sani e meno sani che non ha fatto nascere. Perché la scienza è importante, ma la vita è un’altra cosa.
Rassegna Stampa
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