A proposito di comunicazione...

“La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli «occhiali» con cui scegliamo di guardarla” ha scritto il Santo Padre in occasione del Messaggio per le Comunicazioni sociali. E suggerisce la marca di “occhiali” che ogni cristiano dovrebbe indossare...

02 Maggio 2017
“La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli «occhiali» con cui scegliamo di guardarla” ha scritto il Santo Padre in occasione del Messaggio per le Comunicazioni sociali di quest’anno pubblicato lo scorso 24 gennaio  E suggerisce la marca di “occhiali” che ogni cristiano dovrebbe indossare: "Per noi cristiani, l'occhiale adeguato per decifrare la realtà non può che essere quello della buona notizia, a partire da la Buona Notizia per eccellenza: il «Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1)". A proposito infatti di comunicazione ci troviamo in un momento storico veramente particolare. Se da un lato nell'era tecnologica attuale che viviamo le notizie di qualsiasi genere possono essere trasmesse in maniera istantanea,  allo stesso modo aumenta in maniera velocissima la diffusione di informazioni approssimative, generiche o addirittura false in grado di generare confusione, angoscia e paura. Questo accade sia in ambito professionale che privato. Nell’ambito professionale non si può non sottolineare come sia quasi scomparso il giornalismo di contenuto, di giudizio, di riflessione sui fatti che accadono, dalla politica alla cronaca… per lasciare spazio ad una vera e propria corsa alla notizia per accaparrarsi il primato di una foto o di un aggiornamento. Ma non solo. Stiamo assistendo ad una sempre più crescente spettacolarizzazione dei fatti di cronaca e di cronaca nera in cui in maniera quasi morbosa si scava a piene mani nell’intimità delle vittime (ma anche degli assassini e dei relativi parenti o amici), si formulano le ipotesi più assurde ma anche più spettacolari spacciandole per verosimili, ci si concentra sui particolari più scabrosi e sanguinolenti, si lascia la porta sempre aperta a ulteriori sviluppi da rivelare, si fanno dei veri e propri processi in tv spesso totalmente scollati da quanto avviene nelle aule dei tribunali. E questo non accade solo nei programmi specifici ma oramai anche in quelli di intrattenimento che sempre presentano una sezione molto consistente a riguardo. La domanda è legittima: fino a che punto l’informazione può spingersi? Esiste un limite che i giornalisti devono rispettare? O è tutto necessariamente e sempre lecito? E del resto se tutto questo fa audience, di chi è la vera responsabilità? E di fronte al fenomeno del terrorismo? “Staccate la spina e non ci sarà più terrorismo”: lo propose ai mass media italiani il sociologo canadese Marshall McLuhan, alla vigilia del sequestro di Aldo Moro.  Di recente Umberto Eco ha affermato che “sin dalla nascita dei grandi circuiti dell’informazione, gesto simbolico e trasmissione delle notizie sono diventati fratelli gemelli: l’industria delle notizie ha bisogno di gesti eccezionali per da loro visibilità e ricevere in cambio consenso di pubblico, mentre i produttori di «contents terroristici» hanno bisogno dell’industria della notizia, che dà senso alla e la medesima visibilità alla loro azione e alla loro causa”... In considerazione dei numerosi aspetti rilevati e delle relative criticità emerse, come non auspicare una riflessione più attenta e accurata da parte dei governi e dell’intera società in merito all’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa nella modernità, anche per il fatto che i gruppi terroristici trovano in questi strumenti ottimi veicoli per diffondere i loro messaggi e per amplificare gli effetti simbolici, psicologici e sociali oltre che materiali delle loro azioni? Inoltre, i vari  settori  della  comunicazione  e dell’informazione non dovrebbero ricercare una costante o continua interazione al fine di evitare anche in questo ambito la corsa alle notizie e la diffusione di immagini sensazionalistiche che fanno il gioco dei terroristi, offrendo loro un’indebita piattaforma pubblicitaria, perché di questo si tratta? Non si dovrebbero diffondere immagini scioccanti, in  violazione  della  privacy  e  dignità  umana delle vittime o che contribuiscono agli effetti desiderati dagli attentatori. E non si dovrebbe aggravare la situazione attraverso notizie e commenti  che  accrescono  la  tensione  sociale  e l’odio ideologico... ma è sempre così? Dunque proprio in questo contesto il Messaggio del Santo Padre risulta essere un preziosissimo aiuto e richiamo. Il suo non è un invito a negare il dramma che esiste nella vita di ciascuno e nella storia. Egli non ci chiede di fingere di vivere nelle favole. Ma allo stesso tempo con assoluta fermezza Egli afferma: “Credo ci sia bisogno di spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle «cattive notizie» (guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di fallimento nelle vicende umane). Certo, non si tratta di promuovere una disinformazione in cui sarebbe ignorato il dramma della sofferenza, né di scadere in un ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male. Vorrei, al contrario, che tutti cercassimo di oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite. Del resto, in un sistema comunicativo dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione. Vorrei dunque offrire un contributo alla ricerca di uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista, ma cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia. Vorrei invitare tutti a offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo narrazioni contrassegnate dalla logica della «buona notizia»”. La «buona notizia», quel “Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio (Mc 1,1)” che, ricorda il Papa, non è certo una narrazione priva di sofferenza, ma è  «buona notizia» perché in esso “anche la sofferenza è vissuta in un quadro più ampio”, parte integrante dell'amore di Cristo per il Padre e per l'umanità. “In Lui anche le tenebre e la morte diventano luogo di comunione con la Luce e la Vita”. Continua infatti il Papa: “In questa luce ogni nuovo dramma che accade nella storia del mondo diventa anche scenario di una possibile buona notizia, dal momento che l'amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire”. Si pensi a quante storie di solidarietà, individuale e collettiva, emergono anche dalle macerie delle peggiori tragedie, anche se tante volte non vengono nemmeno menzionate. E proprio la speranza di un “Dio con noi”, sempre coinvolto con la storia del suo popolo, che arriva ad assumere tutta la nostra debolezza fino a morire della nostra morte… siamo chiamati ad alimentare tutti noi quando comunichiamo ogni giorno, per professione, per scelta o per necessità. Siamo chiamati ad essere testimoni del fatto che Il Regno di Dio è già in mezzo a noi, come un seme nascosto allo sguardo superficiale e la cui crescita avviene nel silenzio, e ad essere, come dice Francesco, “come dei fari nel buio di questo mondo, che illuminano la rotta e aprono sentieri nuovi di fiducia e speranza”. Come? Attraverso un’ umanità nuova, e redenta … questa è proprio la buona notizia…  un’umanità segnata dall’Amore di Dio che, è vero, riesce sempre a “trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire”. Ne portiamo proprio un esempio. Tutti i giornali hanno raccontato dell’attentato accaduto in Egitto e precisamente il secondo nello stesso giorno dello scorso 9 aprile, Domenica delle Palme, avvenuto nella cattedrale di Alessandria durante la celebrazione della S. Messa. Eppure pochissimi hanno poi riferito questo fatto successo in seguito, durante la trasmissione di un’ emittente araba in cui è stata intervistata la moglie vedova di Naseem Faheem, il custode della cattedrale  che aveva bloccato prima dell’entrata in Chiesa il kamikaze, che si era fatto quindi esplodere vicino a lui riducendo così il numero delle vittime. È possibile vedere in questo VIDEO  quello che è accaduto in studio in cui c’era il presentatore Amr Adeeb, uno dei giornalisti musulmani più noti in Egitto, che ascoltava una sua collega inviata ad Alessandria mentre intervistava la moglie vedova di Naseem Faheem. Dopo la sublime testimonianza di perdono della donna che si conclude con queste parole “Credetemi, vi perdono. Avete portato mio marito in un posto che non avrei mai potuto nemmeno sognare. Credetemi, sono orgogliosa di lui. E avrei voluto essere lì al suo fianco, credetemi, e ringrazio” … il giornalista rimane in silenzio e commosso per oltre 12 secondi, che per una trasmissione televisiva è un silenzio interminabile. Dopo di che emerge come sconvolto dalla fede della donna che ha di fronte  fino a pronunciare  questa affermazione: “Questa gente è fatta di una sostanza diversa! Possa Dio avere compassione di Naseem che è un eroe, un martire e un grande esempio per tutti noi, per tutti coloro che stanno seduti e criticano questo paese per come stanno andando le cose” (Il perdono della vedova copta sconvolge i musulmani ). Chi ha raccontato di questa testimonianza lo ha fatto sottolineando come la potenza del martirio è esattamente identica a quella della crocifissione di Cristo e dei primi martiri morti con il sorriso sulla bocca e che 2000 anni fa convertì migliaia di persone. Insieme al dolore, al richiamo  e allo sgomento la testimonianza di questa vedova, di suo marito e dei suoi figli ci viene trasmessa, da chi l’ha raccontata,  anche con la letizia per la speranza che la Chiesa sarà salvata dal sacrificio di questi nostri fratelli. E questa storia, suggellata addirittura da un video che ne mostra la realtà e la portata, non sarebbe una notizia? Perché non lo è stata?  Si abbiamo assolutamente necessità di chi anche a livello di comunicazione ci aiuta a stare dalla parte del Papa che scrive a conclusione del suo Messaggio: “Chi, con fede, si lascia guidare dallo Spirito Santo diventa capace di discernere in ogni avvenimento ciò che accade tra Dio e l’umanità, riconoscendo come Egli stesso, nello scenario drammatico di questo mondo, stia componendo la trama di una storia di salvezza. Il filo con cui si tesse questa storia sacra è la speranza e il suo tessitore non è altri che lo Spirito Consolatore. La speranza è la più umile delle virtù, perché rimane nascosta nelle pieghe della vita, ma è simile al lievito che fa fermentare tutta la pasta. Noi la alimentiamo leggendo sempre di nuovo la Buona Notizia, quel Vangelo che è stato «ristampato» in tantissime edizioni nelle vite dei santi, uomini e donne diventati icone dell’amore di Dio. Anche oggi è lo Spirito a seminare in noi il desiderio del Regno, attraverso tanti «canali» viventi, attraverso le persone che si lasciano condurre dalla Buona Notizia in mezzo al dramma della storia, e sono come dei fari nel buio di questo mondo, che illuminano la rotta e aprono sentieri nuovi di fiducia e speranza”.
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