Aveva lo sguardo di un santo

Marcel Callo

Un ragazzo francese morto martire nel campo di concentramento di Mauthausen con l’accusa di essere “troppo cattolico” e proclamato beato nel 1987

29 Giugno 2018

Dal 3 al 28 ottobre prossimi, si svolgerà a Roma il Sinodo dei Vescovi sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Tra le testimonianze dei giovani proposti in questa occasione come amici santi da guardare e seguire, c’è quella di Marcel Callo, un ragazzo francese morto martire nel campo di concentramento di Mauthausen con l’accusa di essere “troppo cattolico” e proclamato beato nel 1987 dal Santo Padre Giovanni Paolo II. Il compagno di prigionia che lo ha assistito nelle ultime ore di agonia si è convertito al Cristianesimo testimoniando di essere rimasto impressionato e attratto dal sorriso e dallo sguardo di Marcel.

Marcel Callo nasce a Rennes il 6 dicembre 1921. Secondo di nove figli, appartiene ad un’umile famiglia di operai radicalmente fondata sulla fede. Consegue la licenza elementare a tredici anni e subito inizia a lavorare come apprendista in una tipografia. Marcel aveva sempre incontrato difficoltà nello studio,nonostante la sua serietà nell’impegno. Si sente maggiormente portato per il lavoro, che sceglie come luogo principale della sua testimonianza anche quando molti gli suggeriscono di diventare sacerdote, vista la sua vivace spiritualità e il suo profondo amore per Gesù. Sin dall’età di otto anni, Marcel aveva iniziato a vivere la Santa Messa quotidiana, offrendo la sua giornata al Cuore di Gesù e confessandosi fedelmente ogni quindici giorni. Nel 1933 entra nel gruppo scout Rennes V, tre anni dopo assume la direzione di una squadriglia, mostrandosi sempre responsabile del proprio cammino e dei compagni affidatigli. In tipografia Marcel diventa ben presto un operaio competente, apprezzato dal suo caposquadra e dai nuovi apprendisti, che cerca di sottrarre all’influenza perversa degli anziani, che li vessavano con scherzi pesanti e volgari e che si vantavano di attirarli nei loro stessi malsani vizi come l’alcool, la prostituzione e il gioco. Nel 1936 Marcel entra a far parte della Gioventù Operaia Cattolica, un’associazione nata con lo scopo di educare gli operai alla dignità e alla sacralità del lavoro. A soli diciassette anni Marcel diviene presidente della sezione e si adopera in ogni modo per coinvolgere giovani infelici e sfaccendati. Oltre alla Messa quotidiana, vive un quarto d’ora di meditazione ogni giorno e dedica un’ora a settimana alla lettura spirituale. Marcel esortava i suoi amici a “vivere in Dio ventiquattro ore al giorno” e ad “imparare a pensare come Cristo, ad avere la mentalità di Cristo”. L’occupazione tedesca, iniziata nell’estate 1940, non scoraggia lo zelo del giovane apostolo. Durante la Quaresima del 1941 organizza un ritiro di tre giorni nella chiesa di Saint-Aubin, al quale parteciparono tantissimi giovani, molti dei quali da tempo non frequentavano più la parrocchia. Tutti si stupivano di fronte a così tanti partecipanti, ma Marcel ripeteva: “Dio è tutto, noi niente. Senza l’aiuto di Cristo, da soli, i nostri sforzi sarebbero vani”. Pochi mesi dopo i tedeschi proibiscono le attività della Gioventù Operaia Cattolica, perché la giudicavano pericolosa in quanto considerata antinazista. Marcel nasconde con cura i documenti importanti e la sezione lascia i suoi locali per diventare ufficialmente un’associazione sportiva, ma clandestinamente le attività restano le stesse. La clandestinità accresce l’entusiasmo e lo spirito di questi giovani ricorda quello delle prime comunità cristiane perseguitate. In questo periodo Marcel conosce Marguerite, di cui si innamora profondamente. Sognano di sposarsi e di formare una famiglia che affidano già alla Madonna, promettendosi eterno amore. Il fidanzamento ufficiale era fissato per l’estate del 1943, ma l’8 marzo tutto cambia. La città di Rennes viene bombardata dagli alleati. Marcel lascia il lavoro per andare a soccorrere le vittime. Con spavento scopre che l’edificio dove lavorava la sorella Madeleine è stato abbattuto. È lui stesso a trovare sotto le macerie il corpo senza vita della sorella. Tocca a lui il compito di annunciare la sua morte ai genitori a cui dice: “Se Dio ci ha preso Madeleine, vuol dire che la considerava pronta per il Cielo. In seguito, sarebbe stata nelle stesse disposizioni? Non avrebbe potuto perdersi? La Provvidenza sa meglio di noi quello di cui abbiamo bisogno”. Dicendo queste parole, Marcel aveva già in tasca la convocazione per il Servizio del Lavoro Obbligatorio. I giovani francesi venivano costretti ad andare in Germania per sostituire gli operai e i contadini tedeschi mobilitati nell’esercito. Marcel è combattuto: restare significava vivere alla macchia fino alla fine della guerra ed esporre la sua famiglia alle ritorsioni dei tedeschi, in particolare il fratello maggiore Jean, che a giugno doveva essere ordinato sacerdote. Partire voleva dire lasciare tutto e tutti, nell’incertezza del ritorno. Dirà ai genitori: “Non è come lavoratore che vado laggiù. Parto come missionario: c’è così tanto da fare per far conoscere Cristo”. Il 19 marzo 1943 (solo undici giorni dopo la morte della sorella Madeleine), Marcel viene inviato a Turingia, a Zella-Mehlis, dove i francesi lavorano in fabbrica al montaggio di pistole lanciarazzi. Le prime settimane sono per lui un Calvario: deve restare in piedi ininterrottamente per dieci ore, i compagni cercano solo di condurre una vita dissoluta, nessuna celebrazione liturgica è consentita. Un bel giorno però scopre una saletta dove un sacerdote tedesco celebra la Messa la domenica a cui riesce a partecipare. Pian piano il suo entusiasmo si riaccende e riesce a coinvolgere tutta la sua camerata alle liturgie festive. Così scrive in una lettera a Marguerite: “Qui ci sono molte ferite morali da curare… I due mesi che hanno seguito il mio arrivo sono stati estremamente difficili e penosi. Non avevo più gusto per nulla, ero insensibile, sentivo che me ne stavo progressivamente andando… Improvvisamente Cristo mi ha fatto reagire… Mi ha detto di occuparmi dei miei compagni, poi mi è tornata la gioia di vivere”. Una volta al mese, su richiesta di Marcel, il prete tedesco celebra una Messa per i francofoni con canti francesi. “Quasi un centinaio di francesi vi partecipavano. - Scrive a Marguerite - E quale entusiasmo! Cantavamo tutti a una sola voce. Ma quello che mi ha fatto maggiormente piacere è constatare che siamo riusciti a portare degli amici che non partecipavano alla Messa da anni”. Per sostenere il morale dei compagni, Marcel organizza nche attività sportive e artistiche (canto, musica e teatro). La sua influenza si estende sempre più. Nei campi di lavoro, si diffonde clandestinamente la Gioventù Operaia Cattolica. La Gestapo però li spia e vede nell’organizzazione un partito politico antinazista. Il 19 aprile 1944 Marcel viene arrestato perché troppo cattolico, come dirà il poliziotto all’amico di camerata che chiedeva spiegazioni. Con lui sono arrestati altri undici amici, tra cui due seminaristi e due sacerdoti. La domenica successiva all’arresto, dalle loro celle si innalzano le voci dei dodici prigionieri che cantano la Messa degli Angeli. Hanno paura, fame e freddo, ma sono profondamente uniti e lieti. Alla fine di aprile vengono condotti nella prigione di Gotha, in attesa del loro giudizio definitivo. Durante il giorno vanno a lavorare con gli altri prigionieri in una fattoria vicina. Il 16 luglio, al ritorno dal lavoro, un membro della Gioventù Operaia Cattolica consegna loro di nascosto delle ostie consacrate: dopo averlo atteso ottantotto giorni, i prigionieri possono finalmente ricevere l’Amato per cui sono perseguitati. Durante la sua permanenza in Germania Marcel scrive centottanta lettere; l’ultima è datata 6 luglio 1944. Purtroppo a lui non venivano più consegnate le lettere dei suoi cari da cui teme di essere stato dimenticato. Così scrive in quel suo ultimo messaggio: “Fortunatamente c’è un Amico che non mi lascia un solo istante e che sa sostenermi nei momenti dolorosi e opprimenti. Con Lui si sopporta tutto. Quanto ringrazio Cristo di avermi indicato il cammino che ora percorro. Che belle giornate ho da offrirgli!... Tutte le mie sofferenze le offro per voi tutti, miei carissimi genitori, per la mia  piccola fidanzata, per Jean, affinché il suo ministero sia fecondo; per tutti i miei compagni. Sì, quanto è dolce e confortante soffrire per quelli che uno ama… Mi sforzo di diventare migliore avvicinandomi sempre più a Dio… Il mio pensiero va anche verso la Francia. Noi soffriamo al vederla nello stato in cui è ora; tutti noi che abbiamo sofferto la ricostruiremo e sapremo darle il suo vero volto. Dio, famiglia, patria, tre parole che si completano e che non si dovrebbero mai separare. Se ogni individuo volesse costruire e appoggiarsi su queste tre basi, tutto andrebbe bene”. Il 25 settembre arriva il verdetto: Marcel e i suoi undici compagni sono condannati alla deportazione in campo di concentramento. Ognuno deve firmare il suo mandato di internamento così formulato: “Con la sua azione cattolica presso i camerati francesi, durante il suo servizio di lavoro obbligatorio in Germania, si è reso nocivo al regime nazista e alla salvezza del popolo tedesco”. Dei dodici solo quattro torneranno vivi dal campo di concentramento. Il 6 ottobre Marcel viene condotto nel campo di Mauthausen, in Austria, dove viene assegnato al montaggio di aerei in una fabbrica sotterranea. Gli vengono rubati gli occhiali e i suoi occhi non sopportano più la luce abbagliante riflessa dalle lastre di alluminio. In certi giorni è quasi cieco. Il minimo errore, qualificato come sabotaggio, veniva punito con orribili colpi di manganello che Marcel dovrà sopportare più volte. Ammalatosi di tubercolosi e dissenteria, con un edema alla gamba, Marcel viene trasferito nell’infermeria del campo, dove manca tutto. Il 18 marzo cade nella latrina e non è più in grado di rialzarsi. Il colonnello Tibodo, un detenuto francese assegnato all’infermeria, lo solleva e lo accompagna al suo giaciglio. Gli resterà accanto nelle sue ultime ore. Ancora ventitreenne Marcel spira il 19 marzo 1945. “Aveva un sorriso che impressionava. - Testimonia il suo soccorritore - Se io, non credente, che ho visto morire migliaia di prigionieri, sono stato colpito dallo sguardo di Marcel è perché in lui c’era qualcosa di straordinario. Per me fu una rivelazione: il suo sguardo esprimeva una convinzione profonda che portava verso la felicità. Era un atto di fede e di speranza verso una vita migliore. Non ho mai visto in nessuna parte, accanto ad ogni moribondo (e ne ho visti migliaia), uno sguardo come il suo. Per la prima volta nel viso di un deportato vedevo un’impronta che non era unicamente quella della disperazione”. In occasione della sua beatificazione, il 4 ottobre 1987, San Giovanni Paolo II affermava: “Marcel mostra lo straordinario splendore di quelli che si lasciano abitare da Cristo e si dedicano alla liberazione totale dei fratelli”.

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