Dio onnipotente non può respingere un peccatore

Van Gogh di fronte al Mistero

...paradigma, a distanza di oltre un secolo, di ogni esistenza umana che domanda salvezza

10 Maggio 2023

Prorogata fino al 7 maggio, si è conclusa da qualche giorno a Roma la mostra dal titolo "Van Gogh". Una grande retrospettiva dell’artista olandese con l’esposizione di circa 50 opere provenienti dal museo che custodisce uno dei patrimoni più corposi del pittore: il Museo Kröller Müller di Otterlo. La sua arte è stata capace di tradurre con la forza del colore la propria vicenda umana, paradigma, a distanza di oltre un secolo, di ogni esistenza umana che domanda salvezza.


di Simona Cursale
da Nel Frammento numero 1/2023

Non potrei apprezzare la vita se non ci fosse in essa qualcosa d’infinito, di profondo, di reale”.

Vincent Van Gogh è uno di quegli artisti continuamente da scoprire. La sua breve vita è stata caratterizzata da una produzione artistica piena di energia nel senso della forza vitale che le sue opere sprigionano, come della quantità di lavori prodotti: in appena dieci anni di attività ha realizzato oltre mille lavori tra dipinti, acquerelli, opere grafiche e litografie.

La retrospettiva dell’artista a Roma, dal titolo Van Gogh, con circa cinquanta opere provenienti dal Museo dei Paesi Bassi Kröller Müller di Otterlo, è stata una grande occasione per continuare a scoprire l’artista olandese e andare oltre le convenzioni spicciole di un pittore un po’ naïf, oltre l’immaginario romantico del genio folle e tutto istinto. Questa considerazione di lui nell’immaginario collettivo è dovuta alla sottolineatura di alcuni degli aspetti della vita di Vincent che, pur presenti, non rendono giustizia alla portata di quest’uomo che uno studio più attento e meno superficialepuò rivelare.

Solo a guardare attentamente il suo percorso artistico è facile notare l’evolversi di una pittura che non può essere solo istinto, ma che è frutto di una formazione svolta, più che nelle Accademie,attraverso l’osservazione dei grandi maestri del passato, come Delacroix, Rembrandt e soprattutto Millet che diventerà per lui un riferimento assoluto, tanto che Vincent arriverà a chiamarlo padre. Un percorso che mostra il fascino del colore della rivoluzione impressionista, che non poteva non catturare l’attenzione di un qualsiasi giovane artista del tempo, e poi l’incontro e il forte impatto con il simbolismo di Gauguin, fino alla ricerca di un linguaggio pittorico autonomo,dove protagonista è il colore nella sua purezza e corposità materica, capace di esprimere le tonalità dell’anima per “afferrarne l’essenza” lavorando “a lungo e duramente”. In una lettera al fratello Theo Van Gogh scrive “Voglio fare dei quadri che mirino al cuore della gente. Sia nella figura che nel paesaggio vorrei esprimere non una malinconia sentimentale ma il dolore vero. In breve, voglio fare tali progressi che la gente possa dire delle mie opere: «Sente profondamente, sente con tenerezza»”. Le lettere che scrive al fratello sono un preziosissimo aiuto per scoprire l’uomo Vincent. Egli traduce su carta e inchiostro i progressi come le sconfitte, le passioni come le sue richieste per essere sostenuto economicamente a portare avanti la sua missione. Theo, silenziosamente, gli è stato costantemente accanto, lo ha sempre sostenuto insieme alla moglie, intuendo forse che quello che stava facendo il fratello, come lo stesso Vincent scriverà, valeva più del prezzo delle tele, dei pennelli, e della stessa vita che ci stava impiegando; e che un giorno tutto il sacrificio sarebbe stato riconosciuto.

È vero che Van Gogh aveva una grande fragilità psichica, beveva molto e frequentava spesso locali notturni poco raccomandabili, come è vero che arriva a tagliarsi l’orecchio in seguito all’abbandono da parte di Gauguin del progetto dell’Atelier du Midi ad Arles; in un eccesso di follia,mangia addirittura il colore giallo sperando che, ingerendolo, potesse donargli felicità. Chissà perché, però,difficilmente si parla dell’altro aspetto di Vincent che vorrei qui approfittare di far emergere perché possa essere conosciuto interamente.

L’infinito e il miracoloso ci sono necessari ed è giusto che l’uomo non si accontenti di qualcosa di meno e che non sia felice finché non li ha conquistati”. Queste parole scritte in una lettera a Theo nel 1878, all’età di venticinque anni, ci lasciano intuire quella profonda, inquieta e intensa ricerca di Vincent che, dopo aver cercato a lungo un suo posto nel mondo, approda alla pittura come missione. Vincent parlava bene l’inglese, il francese, il tedesco e l’olandese sua lingua madre, e aveva una discreta padronanza del latino e del greco. Appassionato lettore divorava classici e contemporanei avidamente, con un amore tutto particolare per Shakespeare e mostrando grande entusiasmo per il nuovo Faust di Goethe.Nato a Zundert, in Olanda, il 30 marzo 1853, lavora prima nella casa d’arte Goupil & Co., nelle sedi di Bruxelles e Londra, dove, oltre a poter approfondire i suoi studi teologici, svolge la professione d’insegnante di lingue in una scuola. Poi tenta di percorrere le orme del padre diventando predicatore protestante, ma viene fermato per eccesso di zelo. Infine, sostenuto economicamente dalla famiglia, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma presto lascia gli studi per intraprendere la carriera di pittore: una scelta non condivisa dalla famiglia,che non intravvedeva un futuro nella già tormentata esistenza del figlio. Così scriverà a Theo: “Be’, cosa vuoi, quello che uno ha dentro traspare anche al di fuori. Uno ha un grande fuoco nel cuore e nessuno viene mai a scaldarcisi vicino”.Aveva ormai ventisette anni e la sua strada era segnata.

Van Gogh_seminatore

Quest’anno nel centosettantesimo anniversario anni dalla nascita di Van Gogh, Palazzo Bonaparte ha ospitato l’importante retrospettiva dell’artista curata da Maria Teresa Benedetti,nota storica e critica dell’arte, che mi ha spinto a proporre un progetto, nel Liceo Artistico dove insegno, per approfondire il pittore olandese. Il progetto, dopo aver esposto e presentato una mostra allestita all’ingresso della scuola realizzata già nel 2018, si è quindi concluso con la visita all’esposizione di Roma. La cosa bella è stata la concomitanza di due opere scelte per il percorso del 2018 e presenti a Roma: Il seminatore e Vecchio che soffre. (Sulla soglia dell’eternità)”. Scrive Maria Teresa Benedetti: “I primi cinque anni di attività[di Vincent]sono riservati al rapporto con il mondo degli umili della terra olandese,«reinventati», come afferma Francis Bacon, con un realismo che lascia trasparire una vocazione umanissima. Si avverte nei suoi personaggi il senso di fatica, di impegno nel lavoro ma anche la desolazione di esistenze ricche soltanto della speranza di salvezza”.
È su questa speranza di salvezza che vorrei soffermarmi.

“Mi piace dipingere, mi piace vedere gente e cose, e mi piace tutto ciò che costituisce la nostra vita… Che cosa strana è il tocco, il colpo di pennello… All’aria aperta, si è esposti al vento, al sole, alla curiosità della gente, si lavora come si può, si riempie il quadro alla disperata. Ed è proprio facendo così che si coglie il vero e l’essenziale - questa è la cosa più difficile.”

Il seminatore era un soggetto molto caro a Vincent ma “difficile da trattare”. Ispirato alla parabola biblica, ne fa un emblema della condizione umana nell’immagine del terreno arido ma vangato e disponibile ad accogliere il seme che dovrà germinare, ma soprattutto dell’inaudita misericordia di Dio che, come un seminatore, prende gratuitamente l’iniziativa di spargere fiducioso la sua semente. Ne realizza molte versioni partendo proprio dal soggetto di padre Millet, di cui amava il lirismo, la capacità di cogliere la grandezza umana di soggetti umili come i contadini, che per proprio per questo amava tanto,nella loro dignità tutta radicata e generata nella e dalla fede. Nell’opera si vede quindi un uomo, decentrato nella scena, che sta seminando il terreno vangato e facilitato ad accogliere i semi: ci si aspetta che il grano maturi, come è evidente alle spalle del seminatore, sotto l’azione dell’acqua e del sole che qui giganteggia infuocato al centro della scena. La realtà non è resa in maniera naturalistica, ma come viene percepita dal pittore:il tutto assume le forme e i colori di una maggiore espressività e, rinunciando alla perfezione formale,Van Gogh rende l’immagine meno fredda e più viva. È straordinario notare lo scambio cromatico tra il cielo - che diventa di un giallo intenso - e la terra - che acquista le tonalità fredde del cielo con gli azzurri e cenni di arancio, indaco, come a voler trovare un punto di contatto, una commistione dell’Eterno con il finito, e del Divino con il carnale. C’è un’energia vitale che si sprigionadal sole su tutta la tela e che avvolge ogni cosa, quasi fosse il calore di un abbraccio, con una resa pastosa e materica quasi non riuscisse a contenere tanta energia e tanto calore.

Questo bisogno di perdono e la ricerca di salvezza espressa attraverso questo innocuo contadino si mostrano in maniera più forte e drammatica in un’altra grandissima opera presente nella mostra romana: Vecchio che soffre (Sulla soglia dell’eternità). Originariamente ritratto di un veterano di guerra, diventa nel tempo emblema dell’umanità sofferente. Sui ritratti, Vincent scrive a Theo nel 1888: “È la sola cosa che mi emozioni fino in fondo, e che mi faccia sentire, più di tutto il resto, l’infinito… con un quadro vorrei poter esprimere qualcosa di commovente come una musica. Vorrei dipingere uomini e donne con un non so che di eterno, di cui un tempo era simbolo l’aureola, e che noi cerchiamo di rendere lo stesso raggiare, con la vibrazione dei colori”.

Un uomo anziano è piegato su se stesso, si copre il volto con un gesto disperato, i gomiti sulle ginocchia, i pugni a coprire il volto, la stanza sembra dilatarsi di fronte all’ineluttabilità della morte con cui il vecchio deve confrontarsi. Ma le tonalità pacate dell’azzurro, come dei marroni, dei gialli e l’accenno del colore rosso nel fuoco, amplificano il senso di smarrimento e, allo stesso tempo, insieme alle tonalità pastello delicatissime del blu che si ripetono sul pavimento, richiamano in qualche modo la ricerca del cielo. “Nell’espressione infinitamente commovente di questo vecchietto,- continua ancora Vincent nella lettera a Theo - seduto nell’angolo accanto al fuoco, c’è qualcosa di nobile, qualcosa di grande, che non può essere destinato a finire in pasto ai vermi”. Per il pittore questa immagine è una delle prove più chiare dell’esistenza di Dio e dell’eternità. Come a dire che proprio questo desiderare, il desiderare sempre un di più, anelare in ogni istante ad un per sempre, attesta che “qualcosa ha da esserci”. Non è il frutto di un’erudizione intellettuale, filosofica, teologica, per pochi esperti. È il desiderio del cuore così come Dio lo ha posto in essere in noi, che grida, anela, domanda salvezza. Il fatto che siano proprio uomini e donne di estrazione umile ad esprimere questa ricerca di senso, questo bisogno di salvezza, di qualcuno che dia risposta e consistenza alla propria vita, ne è la prova più schiacciante. Per dirla con Pirandello “cerco per me qualcosa che per forza ha da esserci, altrimenti non mi spiegherei quest’ansia arcana che mi tiene, e che mi fa sospirar le stelle”.

Nella sua breve vita Vincent van Gogh ha vissuto irriducibilmente questa ricerca di Verità e di Bellezza, non meno di Salvezza. Una ricerca energica, incontenibile, intensa, vitale, a volte disperata. Le sue opere sono capaci ancora oggi di esprimere una compassione per la condizione umana comune e lo struggimento di Dio di fronte al grido dell’uomo. Un’umanità misera e al contempo nobile;una nobiltà che è tutta nel suo bisogno, nel suo grido di salvezza da ciò che appare ineluttabile. Comprendendo profondamente e intensamente questo per sé e quindi per ogni uomo Vincent, attraverso la sua pittura, ha l’audacia e la pretesa di lenire questa sofferenza umana mostrando, per come può, l’infinita compassione di Dio che arriva a mandare suo Figlio in un momento di tempo. Sono rarissime le sue opere sacre, per la sproporzione che egli provava a confrontarsi con una simile rappresentazione. Usa la mediazione umana per parlare di questo atto d’Amore di Dio verso l’umanità, per parlare del Figlio di Dioche arriva a patire, morire e poi risorgere per rispondere all’uomo bisognoso di salvezza come quell’ultimo incredibile e spiazzante gesto verso il buon ladrone a cui dice: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Sono le parole che ogni uomo desidera sentirsi rivolgere: Amore assoluto!Proprio come scrive a Theo il 21 dicembre 1881: “Dio- Dio è onnipotente- creò il mare, creò la terra e il cielo e le stelle e il sole e la luna; Egli può fare qualunque cosa - qualunque cosa - no, Egli non è onnipotente, c’è una cosa che non può fare. Che è mai questa cosa che Dio non può fare? Dio onnipotente non può respingere un peccatore”.

Resta in contatto

Iscriviti alla Newsletter