È viva la scuola!

Negli ultimi mesi accese polemiche hanno agitato il mondo della scuola per i cambiamenti apportati dall’ultima riforma e molto si continua a discutere sui reali bisogni di studenti e insegnanti che vorrebbero una scuola effettivamente buona. In questo contesto anche io mi sono ritrovata a riflettere e a confrontarmi con amici, colleghi e famiglie su cosa può rendere migliore la scuola. Da questo lavoro, tuttora e sempre in atto, è nata l’idea di una mostra che lo potesse raccogliere e al tempo stesso favorire che si mantenga vivo.

11 Novembre 2015
di Barbara Braconi da Nel Frammento anno XIII numero 3/2015 Negli ultimi mesi accese polemiche hanno agitato il mondo della scuola per i cambiamenti apportati dall’ultima riforma e molto si continua a discutere sui reali bisogni di studenti e insegnanti che vorrebbero una scuola effettivamente buona. In questo contesto anche io mi sono ritrovata a riflettere e a confrontarmi con amici, colleghi e famiglie su cosa può rendere migliore la scuola. Da questo lavoro, tuttora e sempre in atto, è nata l’idea di una mostra che lo potesse raccogliere e al tempo stesso favorire che si mantenga vivo. Perché andare a scuola? Questa domanda, elementare tanto quanto efficacissima, è stata posta da Papa Francesco a un gruppo di studenti delle scuole gesuite, incontrati al termine dell’anno scolastico 2013. Mi trovo a riconsiderarla spesso nel mio lavoro sia personalmente che con i miei alunni e insegnanti. È sempre un grande aiuto a tornare al cuore delle ragioni per cui viviamo e facciamo ogni cosa, compreso studiare o insegnare. “Da sempre ci affascina domandarci il ‹‹perché›› delle cose, il motivo delle nostre scelte, e non possiamo, per questo, accettare di tornare a scuola solo perché qualcuno ha riaperto i cancelli” – dicevamo in un volantino del settembre 1992, scritto per l’inizio dell’anno scolastico, quando eravamo ancora studenti. Dopo oltre vent’anni, con condizioni di vita completamente cambiate e la ricchezza di un cammino di fede e di vita vissuto, mi ritrovo comunque la stessa esigenza del cuore che non si accontenta di vivere automaticamente nulla. Nella festa di inizio anno scolastico, vissuta il 19 settembre scorso, ho posto questa domanda ai bambini presenti. Mi ha colpito che il denominatore comune di ogni loro risposta è stata la parola “imparare” con varie declinazioni (“imparare a leggere”, “imparare a stare insieme con gli amici”, “imparare tante cose belle”, “imparare a rispettare le regole”…). In quell’incontro di cui dicevo prima, Papa Francesco così raccoglieva i vari interventi dei ragazzi ascoltati: “Penso che si potrebbe riassumere il tutto dicendo che la scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita. Come vi aiuta a crescere la scuola? Vi aiuta non solo nello sviluppare la vostra intelligenza, ma per una formazione integrale di tutte le componenti della vostra personalità” (Papa Francesco, Discorso del 7 giugno 2013). La scuola è un luogo per imparare a vivere Troppo spesso si commette l’errore di pensare alla scuola come un luogo di mera istruzione, dove comunicare agli alunni delle nozioni e delle informazioni, guardandoli come se fossero dei recipienti vuoti da riempire. Ultimamente, grazie al suggerimento di una carissima amica, mi è capitato di riflettere su questo riprendendo la testimonianza di un grande autore francese, Albert Camus, che raccontando della propria infanzia e particolarmente del suo maestro, nell’opera autobiografica “Il primo uomo”, così scriveva: “Col signor Bernard, le lezioni erano sempre interessanti, per la semplice ragione che lui amava appassionatamente il proprio mestiere […] appagava una sete ancor più essenziale per il ragazzo che per l’adulto, la sete della scoperta. Certo, anche nelle altre classi insegnavano molte cose, ma un po’ come s’ingozzavano le oche. Si presentava un cibo preconfezionato e si invitavano i ragazzi ad inghiottirlo. Nella classe del signore Bernard, per la prima volta in vita loro, sentivano invece di esistere e di essere oggetto della più alta considerazione, li si giudicava degni di scoprire il mondo”. Nel procedere dell’anno scolastico accade a tutti di cedere alla preoccupazione di finire il programma, di fare tante cose e spesso ci lasciamo prendere dalla foga di comunicare tanti contenuti, effettivamente rimpinzando gli alunni come quando si dà il mangime alle oche. La scuola, invece, deve essere innanzitutto un luogo educativo, dove si impara ad imparare, a guardare, a pensare… La scuola deve essere un luogo che introduce alla realtà, alla verità della realtà. Noi insegnanti non dovremmo mai smettere di giudicare i nostri alunni “degni di scoprire il mondo”. Papa Francesco, nell’incontro vissuto il 10 maggio 2014 a piazza San Pietro con il mondo della scuola, così interveniva su questo punto: “Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a imparare, - è questo il segreto, imparare ad imparare! – questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà!” (Papa Francesco, 10 maggio 2014). Adulti che lasciano il segno È insita nell’etimologia stessa del temine “insegnante” la vocazione a segnare, ad imprimere un segno nella vita dei propri alunni. Un insegnante lascia sempre impresso un metodo di approccio alla realtà che va ben oltre lo studio. È grande la responsabilità dei docenti perché può essere positivo ma anche negativo il segno che lasciano. Non a caso, nell’incontro con l’Unione Cattolica di Insegnanti, Dirigenti, Educatori, Formatori di qualche mese fa, Papa Francesco ci diceva ancora che: “Insegnare è un lavoro bellissimo, perché consente di veder crescere giorno dopo giorno le persone che sono affidate alla nostra cura. È un po’ come essere genitori, almeno spiritualmente. È anche una grande responsabilità! Insegnare è un impegno serio, che solo una personalità matura ed equilibrata può prendere. Un impegno del genere può incutere timore, ma occorre ricordare che nessun insegnante è mai solo: condivide sempre il proprio lavoro con gli altri colleghi e con tutta la comunità educativa cui appartiene […] In una società che fatica a trovare punti di riferimento, è necessario che i giovani trovino nella scuola un riferimento positivo. Essa può esserlo o diventarlo se al suo interno ci sono insegnanti capaci di dare un senso alla scuola, allo studio e alla cultura, senza ridurre tutto alla sola trasmissione di conoscenze tecniche ma puntando a costruire una relazione educativa con ciascuno studente, che deve sentirsi accolto ed amato per quello che è, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità. In questa direzione il vostro compito è quanto mai necessario. E voi dovete insegnare non solo i contenuti di una materia, ma anche i valori della vita e le abitudini della vita. Le tre cose che voi dovete trasmettere. Per imparare i contenuti è sufficiente il computer, ma per capire come si ama, per capire quali sono i valori e quali abitudini sono quelle che creano armonia nella società ci vuole un buon insegnante”(Papa Francesco, Discorso del 14 marzo 2015). Per insegnare ci vuole passione Negli ultimi mesi, a causa della riforma del governo Renzi, che è intervenuta particolarmente sulla condizione degli insegnanti, si sono riaccese polemiche mai sopite tra chi da un lato ritiene che i docenti siano dei privilegiati, che hanno tre mesi di ferie all’anno e lavorano solo poche ore a settimana e i diretti interessati che invece lamentano stipendi inadeguati e scarso riconoscimento della propria professionalità. Certamente è necessario che i diritti di tutti siano riconosciuti e tutelati e senza dubbio non esiste una riforma perfetta, che tiene conto delle esigenze di tutti e assicura quanto ciascuno vorrebbe. Non dobbiamo però mai permettere che le questioni economiche e contrattuali, seppur serie e importanti, vadano ad intaccare l’amore per l’insegnamento che non può essere vissuto con l’unico scopo di percepire uno stipendio e garantirsi una posizione sociale ed economica sicura. In un altro suo intervento Papa Francesco così esortava gli insegnanti: “Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà che la sfida educativa presenta! Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di essere; per educare bisogna uscire da se stessi e stare in mezzo ai giovani, accompagnarli nelle tappe della loro crescita mettendosi al loro fianco. Donate loro speranza, ottimismo per il loro cammino nel mondo. Insegnate a vedere la bellezza e la bontà della creazione e dell’uomo, che conserva sempre l’impronta del Creatore. Ma soprattutto siate testimoni con la vostra vita di quello che comunicate. Un educatore trasmette conoscenze, valori con le sue parole, ma sarà incisivo sui ragazzi se accompagnerà le parole con la sua testimonianza, con la sua coerenza di vita. Senza coerenza non è possibile educare! Tutti siete educatori, non ci sono deleghe in questo campo” (Papa Francesco, Discorso del 13 giugno 2013). All’inizio di questo nuovo anno scolastico appena cominciato, in un momento in cui si parla molto di scuola e si riflette sui cambiamenti che possono realmente renderla buona, in un contesto socio culturale in cui la Chiesa coglie una grande emergenza educativa, la mostra che proponiamo al nostro 25° Convegno e che poi ci accompagnerà nel lavoro dentro le nostre scuole, vuole essere un aiuto a non lasciarsi rubare l’amore per la scuola, ritrovando il senso e il significato, l’origine e le finalità di un luogo che coinvolge studenti, docenti e famiglie.
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