Eugenio Pacelli, antisemita o santo?

"Quando ci si accosta senza pregiudizi ideologici alla nobile e venerabile figura di questo Papa, oltre ad essere colpiti dal suo alto profilo umano e spirituale, si rimane conquistati dall’esemplarità della sua vita e dalla straordinaria ricchezza del suo insegnamento. Si apprezza la saggezza umana e la tensione pastorale che lo hanno guidato nel suo lungo ministero e in modo particolare nell’organizzazione degli aiuti al popolo ebraico…" (Benedetto XVI).

11 Ottobre 2008
Da tempo oggetto di aspre polemiche circa i suoi presunti “silenzi”, la nobile e venerabile figura di Pio XII è stata di recente al centro di diversi interventi del nostro Santo Padre. Prima occasione propizia, l’udienza concessa lo scorso 18 settembre ai partecipanti al congresso, organizzato a Roma dalla Pave the Way Foundation. Tema del convegno: Papa Pacelli ed il suo impegno a favore degli ebrei. «Tanto – ha osservato Benedetto XVI – si è scritto e detto di lui in questi cinque decenni e non sempre sono stati posti nella giusta luce i veri aspetti della sua multiforme azione pastorale. Scopo del vostro simposio è proprio quello di colmare alcune di tali lacune, conducendo una attenta e documentata analisi su molti suoi interventi, soprattutto su quelli a favore degli ebrei che in quegli anni venivano colpiti ovunque in Europa, in ossequio al disegno criminoso di chi voleva eliminarli dalla faccia della terra». Intento del congresso romano è stato quello di porre l’accento sugli sforzi «compiuti in modo segreto e silenzioso» da Pio XII, al fine di salvare più ebrei possibili, «tenendo conto delle concrete situazioni di quel complesso momento storico»; non ultimi i moltissimi messaggi ed istruzioni, verbali o in codice. È in quest’ottica che andrebbero giudicati, lealmente, Papa Pacelli ed il suo operato. Considerati i delicatissimi anni in cui svolse il suo ministero petrino, nonché coloro nelle cui mani, a quei tempi, era concentrato il destino non solo dell’Italia e della Germania, ma dell’intero pianeta, non fu possibile, per l’allora capo della Chiesa cattolica, esporsi più di quanto non fece e la segretezza si rivelò essere l’unica modalità d’azione concreta. «Quando ci si accosta – ha continuato Ratzinger – senza pregiudizi ideologici alla nobile e venerabile figura di questo Papa (Pacelli, ndr), oltre ad essere colpiti dal suo alto profilo umano e spirituale, si rimane conquistati dall’esemplarità della sua vita e dalla straordinaria ricchezza del suo insegnamento. Si apprezza la saggezza umana e la tensione pastorale che lo hanno guidato nel suo lungo ministero e in modo particolare nell’organizzazione degli aiuti al popolo ebraico… Si apprende allora che non risparmiò sforzi, ovunque fosse possibile, per intervenire direttamente oppure attraverso istruzioni impartite a singoli o ad istituzioni della Chiesa cattolica in loro favore… Questa sua coraggiosa e paterna dedizione è stata del resto riconosciuta ed apprezzata durante e dopo il tremendo conflitto mondiale da comunità e personalità ebraiche che non mancarono di manifestare la loro gratitudine per quanto il Papa aveva fatto per loro». Una testimonianza, fra le tante, della «coraggiosa e paterna dedizione» del Pontefice, quella che riportiamo di seguito: «Pio XII va nominato “Giusto fra le Nazioni” perché fu il leader mondiale che più si diede da fare, durante la Seconda guerra mondiale, nel salvare gli ebrei perseguitati da Hitler, quindi hanno torto quanti bollano Papa Pacelli come filo-nazista». Laddove provenisse da ambienti ecclesiastici, in una simile considerazione non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che non scaturisce dalla bocca di un chierico, bensì di un ebreo americano. Trattasi di Gary L. Krupp, presidente della Pave the Way Foundation. In un’interessante intervista, pubblicata lo scorso 27 agosto da Avvenire, il capo dell’organizzazione newyorchese, a proposito del ruolo ricoperto dal pontefice nel sottrarre gruppi di semiti dallo sterminio nazista, ha affermato: «Monsignor Giovanni Ferrofino, segretario del nunzio monsignor Maurizio Silvani (rappresentante vaticano in Haiti dal 1939 al 1946), ricevette ad Haiti due telegrammi criptati due volte all’anno da parte di Pio XII e in seguito a quei dispacci andava con il nunzio dal generale Trujillo (al tempo, presidente della Repubblica Domenicana, ndr) per chiedergli, a nome del Papa, ogni volta 800 visti per gli ebrei che dal Portogallo stavano scappando dall’Europa a bordo di una nave. Questo accadde due volte all’anno, dal 1939 al 1945: vuol dire che ameno 11 mila ebrei potrebbero essere stati salvati, solo in riferimento a questo Paese». Parole, queste ultime, che contribuiscono indubbiamente a sfatare la leggenda del “Papa antisemita”, “amico di Hitler”, che non avrebbe fatto niente per gli israeliti durante la tragedia della Shoah. Ad essa, possiamo aggiungerne un’altra, proveniente nientemeno che da un rappresentante del regime nazista, il generale del ramo militare delle SS Karl Friedrich Otto Woff, dallo stesso resa durante il processo di Norimberga e riportata sul quotidiano dei vescovi italiani nel gennaio 2005. Nel documento l’ex ufficiale parla di un piano del Führer «meditato per anni e messo a punto nei dettagli», avente ad oggetto il rapimento, che avrebbe dovuto aver luogo nel 1944, di Pio XII, perché «antinazionalsocialista e amico degli ebrei», con l’obiettivo di cancellare il cristianesimo e sostituirgli la «nuova religione nazista». Da qui a bollare il Pontefice come “antisemita” ce ne corre! In tutto ciò, di certo, hanno fatto la loro parte i mezzi di comunicazione, responsabili dell’enfatizzazione di quelle che, pochi giorni fa, in seguito al riesplodere del caso, padre Paolo Molinari (postulatore della causa di beatificazione di Pio XII) ha definito «falsità», aggiungendo che «ora è chiaramente provato come egli abbia agito: con saggezza e responsabile prudenza, avvalendosi delle nunziature, dei vescovi, sacerdoti, laici, conventi, monasteri, per dare asilo e mantenere in vita migliaia e migliaia di persone». L’intervento di Molinari voleva essere una secca replica alle parole del rabbino capo di Haifa Shear-Yashuv Cohen, che, lo scorso lunedì 6 ottobre, partecipando al Sinodo dei vescovi, imbarazzando l’uditorio e lo stesso Benedetto XVI, si è detto contrario alla beatificazione di Papa Pacelli. «Crediamo – ha dichiarato, riferendosi alla comunità ebraica - che non dovrebbe essere beatificato, o preso come modello, per non aver levato la sua voce, anche se ha cercato segretamente di aiutarci; resta il fatto che non ha parlato, forse perché aveva paura o per altri suoi motivi, e questo noi non possiamo dimenticarlo». A questo punto, però, potremmo chiederci: «Una parola in più, pronunciata in quelle circostanze così difficili, avrebbe aiutato o, piuttosto, danneggiato gli stessi ebrei?» Diametralmente opposta a quella del rabbino, la posizione del sopraccitato Gary L. Krupp, che, al termine dell’intervista rilasciata ad Avvenire concludeva: «Come ebreo posso anche dire che, nell’opera di salvataggio di ebrei durante la Seconda guerra mondiale, Pio XII fece concretamente molto di più di tutti i leader politici e religiosi messi insieme: questo dovrebbe essere riconosciuto in tutto il mondo. Credo che per un ebreo sia un obbligo il riconoscimento che durante il periodo più oscuro della nostra storia furono proprio i gesti della Chiesa cattolica, sotto la diretta indicazione di Pio XII, a risultare lo sforzo più grande per ridurre al minimo le sofferenze del popolo ebraico». Perché tutte queste cose non si vogliono sapere o vengono messe a tacere? Perché è più facile fomentare i pregiudizi piuttosto che riconoscere la verità? Perché quest’ultima è così scomoda ? Benedetto XVI, il quale, forse più di ogni altro, è amante della Verità, nel corso dell’omelia in occasione della Santa Messa nel 50° anniversario della morte del Servo di Dio Pio XII, ci ha fornito di Quest’ultimo un commovente ritratto: «La guerra – ha osservato – mise in evidenza l’amore che nutriva per la sua “diletta Roma”, amore testimoniato dall’intensa opera di carità che promosse in difesa dei perseguitati, senza alcuna distinzione di religione, etnia, nazionalità, appartenenza politica. Quando, occupata la città, gli fu ripetutamente consigliato di lasciare il Vaticano per mettersi in salvo, identica e decisa fu la sua risposta: “Non lascerò Roma e il mio posto, anche se dovessi morire”. I familiari ed altri testimoni riferirono inoltre delle privazioni quanto a cibo, riscaldamento, abiti, comodità, a cui si sottopose volontariamente per condividere la condizione della gente duramente provata dai bombardamenti e dalle conseguenze della guerra. E come dimenticare il radiomessaggio natalizio del dicembre 1942? Con voce rotta dalla commozione deplorò la situazione delle “centinaia di migliaia di persone, le quali senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento”, con un chiaro riferimento alla deportazione e allo sterminio perpetrato contro gli ebrei». Era la seconda volta , nel giro di venti giorni, che il Pontefice si esprimeva sulla vexata questio dei “silenzi” di Pio XII. «Per questi suoi interventi – ha proseguito Ratzinger – numerosi e unanimi attestati di gratitudine furono a lui rivolti alla fine della guerra, come pure al momento della morte, dalle più alte autorità del mondo ebraico, come ad esempio, dal Ministro degli Esteri d’Israele Golda Meir, che così scrisse: “Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime”, concludendo con commozione, “Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace”». Al di là di ogni consenso o dissenso, grazie a Dio, procede comunque, nonostante le polemiche, la causa di canonizzazione di Eugenio Pacelli. Raccogliamo, a tal riguardo, l’invito di Benedetto XVI, che, nel concludere l’omelia, così esortato i fedeli: «Cari fratelli e sorelle, mentre preghiamo perché prosegua felicemente la causa di beatificazione del Servo di Dio Pio XII, è bello ricordare che la santità fu il suo ideale che non mancò di proporre a tutti». Per finire, solo ricerche obiettive e non faziose potranno far finalmente chiarezza sul Pontefice, chiamato a guidare la Chiesa negli anni del secondo conflitto mondiale. A tal proposito così Papa Ratzinger terminava l’udienza concessa ai partecipanti al congresso della Pave the Way Foundation : «È mio vivo auspicio che quest’anno, che ci ricorda il 50° anniversario della morte di questo mio venerato Predecessore (avvenuta a Castel Gandolfo il 9 ottobre 1958, ndr), offra l’opportunità di promuovere studi più approfonditi sui vari aspetti della sua persona e della sua attività, per giungere insieme a conoscere la verità storica, superando così ogni restante pregiudizio». E questo è proprio quello che ci auguriamo!
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