I 49 martiri di Abitene

Sine Dominico non possumus

L'avvenimento splendente di un assoluto e irrinunciabile amore

15 Giugno 2020

Nella solennità del Corpus Domini, in questo anno in cui la circostanza della pandemia ci ha “costretto” anche al digiuno eucaristico, siamo tornati ad incontrare particolarmente la testimonianza dei 49 martiri di Abitene, l’odierna Tunisia. Si trattava di una piccola ma variegata comunità cristiana (vi era un senatore, Dativo, un presbitero, Saturnino, una vergine, Vittoria, un lettore, Emerito…), che nell'anno 303 d.C., sotto l'imperatore Diocleziano, contravvenendo agli ordini dell'imperatore stesso, si riuniva settimanalmente nella casa di uno di loro per celebrare l'Eucaristia domenicale. Sorpresi durante una celebrazione in casa di Ottavio Felice, vennero arrestati e condotti a Cartagine per essere interrogati. Negli Atti dei martiri, ovvero i resoconti ufficiali dei processi dei primi martiri cristiani redatti dai notai della corte, non è riportato come morirono, ma sembra che siano stati alcuni giustiziati, altri morti di fame e torture nel carcere, comunque in tempi diversi. Il loro stesso martirio si è trasformato in una liturgia “eucaristica”; tra i tormenti, infatti, si possono ascoltare dalle labbra dei martiri espressioni come queste: “Ti prego, Cristo, esaudiscimi. Ti rendo grazie, o Dio… Ti prego, Cristo, abbi misericordia”. La loro preghiera fu accompagnata dall’offerta della propria vita e unita alla richiesta di perdono per i loro carnefici. Tra le diverse testimonianze, struggente è quella emersa da un certo Emerito, che conferma, senza alcun timore, di aver ospitato in casa sua i suoi fratelli cristiani per la celebrazione dell'Eucaristia.

“Il proconsole gli chiese: «Nella tua casa si sono tenute le assemblee contro l'editto degli Imperatori?».
E Emerito, inondato di Spirito Santo gli rispose: «Nella mia casa abbiamo celebrato la Pasqua domenicale».
Quello replicò: «Perché davi il permesso di entrare da te?».
Rispose: «Poiché sono miei fratelli e non potevo proibirglielo».
Replicò: «Ma proibirglielo sarebbe stato tuo dovere».
E lui: «Non potevo, perché senza la Pasqua domenicale non possiamo essere».
Subito ordina che anche lui sia disteso sul cavalletto e, una volta disteso, sia torturato. Mentre pativa tremendi colpi da parte di nuovi carnefici, che intanto si erano dati il cambio, disse: «Ti prego, Cristo, soccorrimi (…).
Il proconsole lo interruppe: «Non avresti dovuto accoglierli in casa».
Rispose: «Non potevo far altro se non accoglierli, perché sono miei fratelli». «Ma prima veniva l'editto degli Imperatori e dei Cesari».
E di contro, il piissimo martire: «Prima viene Dio che è più grande, poi gli Imperatori. Ti prego, Cristo. Ti rendo lode, Cristo Signore. Dammi la forza di patire».
Mentre così pregava, intervenne il proconsole: «Hai qualche libro delle Scritture nella tua casa?».
Gli rispose: «Le ho, ma nel mio cuore».
E il proconsole: «Ma nella tua casa le hai, o no?».
Il martire Emerito rispose: «Nel mio cuore le ho. Ti prego, Cristo. A te la lode. Liberami, Cristo: patisco per il tuo nome. Per poco patisco; con gioia patisco, Cristo Signore. Che io non sia confuso»”.
(dagli Atti dei martiri)

Alla domanda del proconsole che interroga Emerito sul perché abbia accolto in casa i cristiani contravvenendo alle disposizioni imperiali egli risponde dunque: “sine Dominico non possumus”.

“«Sine Dominico non possumus» - noi non possiamo essere, noi non possiamo vivere senza la Domenica. Il termine “Dominicum” (…) non indica solamente il giorno del Signore, ma rinvia immediatamente a Colui che ne costituisce il contenuto, la realtà: Cristo risorto e la sua reale presenza nell'evento eucaristico. È ciò che hanno di più caro e senza il quale non possono vivere. Per cui sono disposti anche a morire (…).
Di che cosa stiamo parlando? Sembra quasi che stia esaltando un atroce spettacolo di dolore e di morte. Ma non è così. Dalla loro testimonianza fino al martirio si attesta - pur dentro una inaudita atrocità e bagno di sangue - uno spettacolo di amore e di bellezza ancor più inaudito, splendente, folgorante e vincente sulle tenebre di quella ferocia che si abbatte su di loro. L'esperienza splendente e folgorante di un inaudito amore, così assoluto e radicale, per cui si è disposti a tutto. L'avvenimento splendente di un assoluto e irrinunciabile amore che non può non investire il nostro cuore così solo assetato di questo amore, e colpire di attrattiva la nostra vita”.
(Nicolino Pompei, Quello che abbiamo di più caro…)

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