Non possiamo non dirci Cristiani

Da Strasburgo arriva una sentenza a dir poco aberrante ed irrispettosa del nostro Paese: la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituirebbe “una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni” e una violazione alla “libertà di religione degli alunni”. Ma nessuno può e deve dimenticare quella che è semplicemente una realtà:“non possiamo non dirci cristiani”.

05 Novembre 2009
Da Strasburgo arriva una sentenza a dir poco aberrante ed irrispettosa del nostro Paese: la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituirebbe “una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni” e una violazione alla “libertà di religione degli alunni”. A parere della la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo l’Italia ha violato l’articolo 2, protocollo 1 (diritto all’istruzione) e l’articolo 9 (libertà di pensiero, di coscienza, di religione) della Convenzione per i diritti dell’uomo. Tale decisione è sorta per accogliere il ricorso presentato da Soile Lautsi Albertin, cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva chiesto all'istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre di Abano Terme (Padova), frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi dalle aule in nome del principio di laicità dello Stato. Dalla direzione della scuola era arrivata un fermo “no” e a nulla erano valsi i successivi ricorsi della Lautsi. A dicembre 2004 c’è stato il verdetto della Corte Costituzionale, che ha bocciato il ricorso presentato dal Tar del Veneto. Il fascicolo è quindi tornato al Tribunale amministrativo regionale, che nel 2005 ha a sua volta respinto il ricorso, sostenendo che il crocifisso è simbolo della storia e della cultura italiana e di conseguenza dell'identità del Paese, ed è il simbolo dei principi di eguaglianza, libertà e tolleranza e del secolarismo dello Stato. Nel 2006, il Consiglio di Stato ha confermato questa posizione. Ma ora la storia si ribalta inspiegabilmente: i giudici di Strasburgo, interpellati dalla Lautsi nel 2007, le hanno dato ragione, stabilendo inoltre che il governo italiano dovrà versarle un risarcimento di cinquemila euro per danni morali. Si tratta della prima sentenza della Corte di Strasburgo in materia di simboli religiosi nelle aule scolastiche, la quale spiega che “la presenza del crocefisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso. Avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione”. Tutto questo, proseguono i giudici, “potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose o sono atei”. Ancora, la Corte “non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana”. Una sentenza che - ha affermato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede padre Federico Lombardi - “è stata accolta in Vaticano con stupore e rammarico”. Ecco le sue parole: “Il Crocifisso è stato sempre un segno di offerta di amore di Dio e di unione e accoglienza per tutta l’umanità. Dispiace che venga considerato come un segno di divisione, di esclusione o di limitazione della libertà. Non è questo, e non lo è nel sentire comune della nostra gente. In particolare, è grave voler emarginare dal mondo educativo un segno fondamentale dell’importanza dei valori religiosi nella storia e nella cultura italiana. La religione dà un contributo prezioso per la formazione e la crescita morale delle persone, ed è una componente essenziale della nostra civiltà. E’ sbagliato e miope volerla escludere dalla realtà educativa. Stupisce poi che una Corte europea intervenga pesantemente in una materia molto profondamente legata alla identità storica, culturale, spirituale del popolo italiano. Non è per questa via che si viene attratti ad amare e condividere di più l’idea europea, che come cattolici italiani abbiamo fortemente sostenuto fin dalle sue origini. Sembra che si voglia disconoscere il ruolo del cristianesimo nella formazione dell’identità europea, che invece è stato e rimane essenziale”. La Conferenza episcopale italiana aveva immediatamente espresso attraverso un comunicato il fatto che la decisione della Corte di Strasburgo avesse suscitato “amarezza e non poche perplessità” e che  “fatto salvo il necessario approfondimento delle motivazioni, in base a una prima lettura, sembra possibile rilevare il sopravvento di una visione parziale e ideologica”. Ma il Card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha successivamente rilasciato un’intervista ad Avvenire in cui manifesta tutto il suo sconcerto. La sentenza, ha infatti spiegato ieri, “appare come o­rientata ideologicamente”, una decisione “che non si cura di rispet­tare la verità delle cose”. “Non tiene in alcun conto, ad esempio della verità storica dell’Europa e dell’Italia. Anche a un occhio distratto, l’Europa e l’Italia da un semplice un punto di vista culturale, traggono la loro ispirazione dal Vangelo. Basta guardarsi in­torno per capire che senza il cristianesimo e la Chiesa non si com­prenderebbe la Divina Commedia, ma anche la maggior parte del­l’architettura e dell’arte”. “Riconoscere il valore culturale del crocifisso, peraltro, non vuol dire – ha aggiunto il Cardinale – svilirne il significato religioso perché la fede con i suoi segni genera civiltà e cultura che diventano patrimo­nio a disposizione di tutti, come dimostra la ricchezza della nostra storia nazionale e continentale. Il segno del crocifisso poi parla a tut­ti, sia ai credenti per i quali è certamente il segno della propria fede, sia ai non credenti, per i quali la croce rappresenta comunque il se­gno di quella esperienza umana integrale che ha la propria radice nel sacrificio di Gesù Cristo. (…) D’altra parte, non ricordo di aver mai sentito qualcuno sentirsi offeso da questo segno, anzi spesso ho percepito che molti, anche tra i non cre­denti, proprio guardando all’uomo della croce, traggono ispirazione e fiducia per andare avanti. Perché – ha concluso – impoverire ulte­riormente il nostro mondo già così disorientato? Perché privarsi di que­sto segno che non impone nulla ma si espone soltanto?” "È una sentenza per noi assolutamente inaccettabile", ha detto anche il premier Silvio Berlusconi." L'Italia è un Paese in cui il cristianesimo è la sua stessa storia, lo sappiamo da sempre", ha risposto sempre Berlusconi a un parroco che regalandogli un crocifisso aveva detto "Questo crocifisso viene da Gerusalemme, vorrei che lo portasse alla Corte europea". Parlando poi a La Vita in diretta su RaiUno, Berlusconi ha affermato: "Io mi ero battuto già in sede di formazione della nuova Costituzione europea per il riconoscimento delle radici giudaico-cristiande europee. I Paesi laici o estremamente laici come la Francia, nella persona dell'allora presidente [Jacques] Chirac, si erano opposti non si riuscì a convincerli. Ora c'è un ulteriore passo avanti negando che l'Europa abbia queste radici cristiane". “L’Italia, - ha continuato il premier - è un Paese dove tutti non possiamo non dirci cristiani [...], ovunque si incontra un segno della cristianità". Allo stesso modo il Ministro dell’Istruzione Gelmini ha così commentato: “La presenza del crocifisso in classe non significa adesione al Cattolicesimo ma è un simbolo della nostra tradizione. La storia d'Italia passa anche attraverso simboli, cancellando i quali si cancella una parte di noi stessi. Nel nostro Paese nessuno vuole imporre la religione cattolica, e tantomeno la si vuole imporre attraverso la presenza del crocifisso. È altrettanto vero che nessuno, nemmeno qualche corte europea ideologizzata, riuscirà a cancellare la nostra identità. Non è eliminando le tradizioni dei singoli paesi che si costruisce un'Europa unita, bisogna anzi valorizzare la storia delle nazioni che la compongono. Per questi motivi, secondo me il crocifisso rappresenta l'Italia e difenderne la presenza nelle scuole significa difendere la nostra tradizione". Dunque il governo non rimarrà inerte di fronte a tale pronuncia: difatti il giudice Nicola Lettieri, che difende l'Italia davanti alla Corte di Strasburgo, ha reso noto che il governo italiano ricorrerà contro la sentenza. Se la Corte accoglierà il ricorso, il caso verrà ridiscusso nella Grande Camera (organo della Corte chiamato a pronunciarsi su un caso che solleva una grave questione relativa all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione o dei Protocolli, oppure un’importante questione di carattere generale). Qualora invece il ricorso non dovesse essere accolto, la sentenza diverrà definitiva tra tre mesi, e allora spetterà al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa decidere, entro sei mesi, quali azioni il governo italiano deve prendere per non incorrere in ulteriori violazioni, considerato che la suddetta pronuncia è vincolante per ogni Stato firmatario della Convenzione di Strasburgo. L'ultima polemica sui crocifissi a scuola si era chiusa a febbraio, con una sentenza della Cassazione, che aveva annullato una condanna per interruzione di pubblico ufficio nei confronti del giudice Luigi Tosti, che aveva rifiutato di celebrare udienze in un'aula dove era affisso un crocifisso. Ma l’attacco continua. È evidente che tale sentenza rientra in una guerra ideologica, che vuole far fuori Dio dalla realtà. E la cosa più abietta è che ce la fanno passare per una difesa dell’educazione e della libertà personale! Nessuno può e deve dimenticare quella che è semplicemente una realtà: le radici cristiane dell’Europa, non solo perché fanno parte integrante e fondamentale della nostra storia, ma anche perché hanno formato l’Europa stessa ad essere un popolo accogliente, intelligente, democratico e libero di esprimere il proprio credo, religioso e politico, a differenza di altri continenti. Tanto che un grande laico pensatore italiano, Benedetto Croce, aveva con chiarezza affermato: “non possiamo non dirci cristiani”. Concludiamo proprio con questo breve tratto di un suo Saggio scritto nel 1942: “Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande [...] che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per non parlare delle più remote della scrittura, della matematica, della scienza astronomica, della medicina, e di quanto altro si deve all'oriente e all'Egitto... E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro, ma investirono tutto l'uomo, l'anima stessa dell'uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana... perché l'impulso originario fu e perdura il suo. La ragione di ciò è che la ri-voluzione cristiana operò nel centro dell'anima, nella coscienza morale, e conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all'umanità. Gli uomini, gli eroi, i geni, che furono innanzi al Cristianesimo, compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensiero, di esperienze; ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna e affastella, e che il Cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana”.
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