La questione dei nuovi diritti della persona

Vi sono richieste di gruppi di persone che sollecitano il riconoscimento giuridico di aspirazioni soggettivistiche che non sono “diritti”. “I diritti dell’uomo sono ultimamente fondati in Dio creatore” ha affermato Benedetto XVI. Parlare di “vecchi” e “nuovi” diritti è solo un pretesto per provare ad aprire un compromesso su qualcosa che invece è assolutamente non negoziabile.

27 Gennaio 2009
Invasioni di campo La polemica che da tempo si è creata nell’opinione pubblica nei confronti della magistratura riguarda principalmente lo strapotere che la stessa manifesta, o meglio l’onnipotenza non solo verso gli utenti della giustizia, ma anche verso gli altri poteri dello Stato. Di certo la giustizia non ha vita facile in un mondo in cui tutto è lecito se serve alla propria soddisfazione, ma ciò non può condurre all’esasperazione! Si parla spesso di invasioni di campo nel momento in cui la magistratura si trova a decidere su questioni non regolate dalla legge nazionale ed internazionale, ed in particolare tale discorso ha preso piede in materia dei cosiddetti nuovi diritti della persona, come per esempio l’eutanasia, il testamento biologico... Lo stesso presi­dente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, con esplicita allusione a come la Cassa­zione ha invaso  il cam­po della politica, sentenziando in merito alla drammatica situazione di Eluana Englaro, ha spiegato che bisogna ritenere che sia necessario che il Parlamento intervenga, prendendo sul se­rio la questione dei “nuovi diritti” della persona. Altrimenti le “invasioni di cam­po” continueranno e inevitabilmente. Durante la cerimonia tenutasi alla Luiss di Roma in occasione del sessantesimo anniversario della Costituzione ha infatti sollecitato il potere legislativo a fornire risposte in tema di “nuovi diritti”, affinché sia evitato il rischio che l’affermazione di tali “nuovi diritti” avvenga “solo per via giurisprudenziale”. Ha auspicato, pertanto, che sia evitato “il rischio di uno squilibrato rapporto tra legislazione e giurisprudenza, una sorta di paralisi del legislatore contrapposta ad un attivismo creativo dei giudici”. Autorevolmente il prof. D’Agostino ha risposto sulle pagine di Avvenire del 14 gennaio scorso a tali provocazioni dicendo che è vero che bisogna una volta per tutte porre rigorosi sbarramenti alle invasioni di campo, ma è altrettanto vero che ci sono diversi modi per impedirli. Ha scritto infatti: “Il modo peg­giore è quello posto in essere da chi, per evitarle, si affretta a consegnare il campo minacciato d’invasione a coloro che vor­rebbero invaderlo e ai loro alleati. Se, per impedire che la Cassazione si inven­ti un testamento biologico aperto all’eu­tanasia (e per di più orale), si auspica che il Parlamento faccia una legge obiettiva­mente eutanasica, cadiamo dalla padel­la nella brace. Se accettiamo l’idea (ca­rissima a tanti magistrati alternativi) che la dinamica sociale faccia emergere nuovi diritti, che il Parlamento avrebbe il dovere di formalizzare in forma legale, arriveremo prima o poi a qualificare co­me vecchi i diritti tradizionali e alla lunga apparirebbe ragionevole, per favo­rire il nuovo, allentare la tensione, tra­scurare o addirittura cancellare diritti in­vecchiati… i diritti vanno presi sul serio; ma se i di­ritti esistono, esistono perché non sono né nuovi né vecchi: i diritti della persona so­no diritti fondamentali e basta”. “Quanto, poi, alla denunciata «paralisi» del legislatore, - ha affermato invece il prof. Mauro Ronco in una lettera inviata a il Sussidiario.netnon mi sento di condividere il giudizio del presidente Flick. I campi su cui egli sollecita l’intervento sono di altissimo rilievo etico e costituzionale. È quindi ben giustificata la prudenza finora mantenuta dal legislatore. Peraltro, se è vero, come dice Flick, che non vi sono lacune nella Costituzione, non è affatto detto che vi siano lacune nella legge ordinaria, che va interpretata, come la Corte costituzionale insegna, alla luce della Costituzione. Il diritto alla vita è il primo e più fondamentale dei diritti umani. La Costituzione, allo stesso modo della legge ordinaria, tutela in modo pieno la vita, sì che, al riguardo, non sono necessarie, a stretto rigore, nuove leggi. Quanto, poi, alla necessità di «nuovi diritti», sarebbe auspicabile dire le cose con chiarezza. Vi sono richieste di gruppi di persone che sollecitano il riconoscimento giuridico di aspirazioni soggettivistiche che non sono «diritti». Allora: se il presidente Flick non può, in relazione al suo alto incarico, pronunciarsi nel merito su quali aspirazioni siano «diritti», e quali «diritti» non siano, sarebbe meglio che non creasse nemmeno l’attesa pubblica circa il riconoscimento futuro di una serie indeterminata e vaga di «nuovi diritti», tra i quali alcuni gruppi annoverano, per esempio il «diritto» al suicidio, o il «diritto» all’assistenza al suicidio”. Insomma emerge da alcuni quale difesa dell’uomo la dilatazione arbitraria dei sui diritti da riconoscere e tutelare; e si vuole quasi tornare alla visione illuministica dell’uomo, che è il solo padrone del mondo in grado di decidere sulla vita e sulla morte, utilizzando criteri di valore assolutamente discutibili. Tale dilatazione viene in qualche modo paventata anche nelle sentenze dei nostri tribunali, che a volte dimenticano di avere come unico vincolo la legge, unitamente di certo al buon senso e alle regole esperienziali. Ecco perché se da una parte la legge dovrebbe attentamente e precisamente disciplinare i diversi fenomeni sociali, così come detta il principio costituzionale di legalità, dall’altra però la magistratura dovrebbe operare ricordando di essere un potere distinto da quello legislativo, di amministrare in nome del popolo, di essere soggetta solo alla legge (art. 101 Cost.) e di svolgere il compito di interprete applicativo della legge stessa e non di legislatore. In tema di diritti umani, inoltre, continua a ricordarci il prof. D’Agostino: “La Costituzio­ne non riconosce come diritto fonda­mentale né la richiesta di eutanasia, né il rifiuto delle cure. Essa semplicemente ne­ga che una persona possa essere obbli­gata a un determinato trattamento sani­tario, se non per disposizione di legge (art. 32). La Costituzione non dà nessun appi­glio per il riconoscimento legale delle coppie di fatto o delle coppie omosessuali come formazioni sociali meritevoli di tutela (ed etichettabili con gli appellativi più fantasiosi e stravaganti: Pacs, Dico, Cus, Didore...!). Essa si limita ad afferma­re che i diritti inviolabili valgono non so­lo per l’individuo singolo, ma anche per l’individuo integrato in una qualsiasi for­mazione sociale ( art. 2)”. Ecco che la difesa dei nuovi diritti rischia di stravolgere e distorcere il testo della nostra legge fondamentale, aprendo inutili contrasti tra i poteri dello Stato, che invece dovrebbero dialogare per il bene comune del Paese. Di seguito alcuni casi che hanno fatto parlare in merito alla discutibile interferenza sempre più frequente tra i due poteri dello Stato, legislativo e giudiziario. Eluana Englaro Tutti ormai  sappiamo che sezioni unite civili della Cassazione hanno confermato il 12 novembre scorso il decreto della Corte d’appello di Milano che nel mese di luglio aveva dato il via libera alla sospensione dei trattamenti (alimentazione artificiale) che tengono in vita Eluana Englaro. L’articolo 575 del codice penale punisce chiunque cagiona la morte di un uomo; l’articolo 579 sanziona l’omicidio del consenziente; l’articolo 580 punisce severamente chi “determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione”.. Eppure Eluana Englaro può essere lasciata legittimamente morire di fame e di sete, per decisione dei giudici. Nella nota e drammatica vicenda di Eluana Englaro  si è giunti addirittura fino in Corte Costituzionale proprio per “conflitto di attribuzione”. Il  “conflitto di attribuzione” è una controversia tra due autorità o soggetti, comunque dotati di poteri pubblici, che appartengono a diversi poteri dello Stato e che si dichiarano entrambi competenti o incompetenti rispetto al compimento di uno stesso atto. L’oggetto del conflitto è la competenza, cioè la quantità di potere spettante a ciascun organo costituzionale. Sui conflitti di attribuzione decide, appunto, la Corte Costituzionale, garante della legittimità. In merito al caso della giovane Eluana il Parlamento, prima la Camera poi il Senato, ha approvato la mozione proprio per sollevare davanti alla Corte Costituzionale il conflitto d'attribuzione tra i poteri dello Stato. In attesa del riscontro costituzionale, poi, la Procura Generale di Milano ha deciso di ricorrere in Cassazione contro la sentenza della Corte di Appello che accertava l'irreversibilità del coma vegetativo e autorizzava il padre della Englaro a effettuare la sospensione dell’alimentazione e idratazione artificiale. La motivazione del ricorso era che secondo la Procura non è stata accertata con sufficiente oggettività l'irreversibilità dello stato vegetativo permanente della ragazza. Le risposte, però, sono state entrambe negative! La Corte Costituzionale non ha accolto i ricorsi di Camera e Senato contro le sentenze di Cassazione e Corte d’Appello di Milano volti a segnalare un possibile conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. I giudici costituzionali non sono entrati nel merito del conflitto di attribuzione sollevato dal Parlamento, limitandosi a valutare i presupposti di una possibile discussione da parte della Corte Costituzionale. È stato comunque chiaro che per la Corte Costituzionale i tribunali non hanno invaso le competenze del legislativo, come invece presupponevano i ricorsi. Ed inoltre, per continuare sella stessa linea, la Cassazione l’11 novembre ha respinto in via definitiva il ricorso della Procura Generale, confermando quanto già deciso dai precedenti giudici. Anche in questa triste vicenda il potere dei giudici, di vita o di morte, ha lasciato tutti senza fiato. Alcuni forti, potenti, forse anche credendo erroneamente di esprimere la volontà (ma la volontà soggettiva può evidentemente non coincidere con il bene, la legittimità, la giustizia) di una maggioranza (e chi ha detto che questa si chiama democrazia?) decidono della vita e quindi della morte dei più deboli! Quale differenza sostanziale con il genocidio degli ebrei da parte dei nazisti? Tutto questo senza più la faccia cattiva di Hitler (almeno crediamo, visto che le facce dei giudici che hanno preso questa decisione non le abbiamo viste) ma ben difesi dallo scudo legittimante delle toghe nere. Con l’effetto tremendo non solo di legittimare (che è più di favorire e collaborare) l’uccisione di una ragazza di 38 anni ma soprattutto di aprire la via alla piaga, dagli imprecisabili confini, dell’eutanasia. Tribunale di Genova Recentemente il tribunale di Genova ha assolto un concittadino trentacinquenne, che al concerto dei Subsonica era stato fermato con in possesso un sacchettino con tre dosi, equivalenti a venti grammi di hashish. Si parla di questioni di contesto, cioè, spiega il legale del giovane, la prova che nelle intenzioni non ci fosse lo spaccio ma l’uso personale è data dalla “situazione particolare” in cui si trovava. “Un concerto è notoriamente un luogo dove si fa uso di droghe”, continua l’avv. Piero Franzosa, “quindi è più probabile che venti grammi di hashish, una quantità che non è proprio modica, fossero effettivamente destinati a uso personale”. Così il tribunale di Genova ha assolto l’imputato e respinto l’accusa di spaccio, per cui il Pm aveva chiesto un anno e due mesi di detenzione. E anche se “le motivazioni della sentenza non sono state precisate”, dice Franzosa, “è evidente che il giudice ha sostanzialmente accolto la mia tesi difensiva, non considerandola affatto campata per aria”. Vero che le quantità stabilite per legge hanno unicamente valore di indizio, e che il reato di spaccio deve essere provato; vero pure che è prevista e resta ferma la discrezionalità del giudice sul contesto. Ma altra cosa è considerare un concerto rock un’attenuante. Un corretto criterio di giudizio, che può essere preso in considerazione da parte dei giudici oltre a quello dell’uso personale, è quello che riguarda il principio attivo, che nella normativa vigente ha più valenza del peso della dose. Di certo venti grammi di hashish, dati il principio attivo della sostanza e quindi la reazione deleteria sul consumatore, fanno più credere che siano serviti per una cessione a terzi, piuttosto che utilizzati da un medesimo individuo in poche ore. Questo tribunale, forse, partiva anche dallo stesso ragionamento proposto da uno dei più autorevoli giuristi già citato in premessa, Giovanni Maria Flick, che in un suo libro di diversi anni fa scriveva in merito alla depenalizzazione delle droghe: “Una prima alternativa e ipotesi di lavoro è rappresentata dalla possibile liberalizzazione totale del fenomeno droga in senso ampio… L’ipotesi non è forse così paradossale e aberrante come potrebbe sembrare a prima vista, per la possibilità di prospettare una serie di argomentazioni non trascurabile a favore di essa. In effetti ove si abbiano presenti le motivazioni poc’anzi accennate del ricorso alla droga in chiave, in ultima analisi, di ricerca di una propria identità ed autenticità, si affaccia quanto meno il dubbio sull’accettabilità di una repressione delle manifestazioni di tale ricerca… Da un lato il ricorso alla sostanza stupefacente o psicotropa può, di per sé e in linea di principio considerarsi una espressione di autodeterminazione e quindi in ultima analisi una espressione di libertà morale…la droga è espressione di libertà morale…una scelta individuale di ricerca del piacere, o di rifiuto della sofferenza, di sottrazione alle convenzioni”. Una volta ribadito in termini laici e razionali il concetto di autodeterminazione ci chiediamo come può il gesto insano di drogarsi essere considerato una espressione della lecita ricerca del piacere e di rifiuto della sofferenza quando non c’è nell’esperienza di tutti noi storia di tossicodipendenza che non aggiunga una sofferenza maggiore? Oppure si vuol far finta di credere ingenuamente che un conto è la dipendenza e un conto il ricorso “libero” alle droghe leggere? Che tipo di piacere è quello associato all’assunzione di sostanze stupefacenti? Non è forse una fuga dalla realtà e il rifugio in una condizione psico-fisica con la quale evitare l’affronto della sofferenza appunto? La sofferenza c’è, è data insieme alla vita che è data; il mal di vivere è il dramma di una vita che anela al suo significato, alla pienezza, alla salvezza in ogni istante… e non lo si può evitare, per sempre rimandare…! È nel cuore di ciascun uomo il grido di senso, di pienezza di significato, e il tentativo di soffocarlo non basterà mai, non sarà mai sufficiente a farlo tacere, nemmeno quando certe sostanze arrivano a danneggiare permanentemente parti del nostro corpo, i nostri neuroni. Il cuore è lì, e chiede e continua a chiedere ed esigere una risposta di significato, un piacere profondo, continuo, eterno! Ma la cosa che in questa vicenda fa altrettanto specie è la decisione dei giudici in tale contesto che non per la prima volta si ergono al di sopra della legge. Certo accade a volte che la legge fatica ad essere applicata per alcune lacune o incertezze interpretative o vere e proprie zone d’ombra come in questo caso di Genova visto che la legge italiana permette il possesso di sostanze di cui contemporaneamente vieta la vendita. Tra queste pieghe si è infilata la linea difensiva dell’avvocato difensore trovando l’appoggio del giudice. La dignità dell’uomo e i diritti fondamentali Insomma i principi della legge naturale si vedono ancora spesso minacciati, anche nelle sedi ove questi dovrebbero invece essere difesi. Lo Stato  non deve reinventare l’umanità secondo i principi di una ideologia artificiale e mutevole. Esistono dei diritti fondamentali universali perché insiti nella stessa natura dell’uomo. Dunque intoccabili. Lo ha affermato nuovamente per l’ultima volta il Papa prendendo la parola dopo il concerto promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace per il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (lo scorso 10 dicembre): “Sessant’anni or sono, il 10 dicembre, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, riunita a Parigi, adottò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che costituisce ancora oggi un altissimo punto di riferimento del dialogo interculturale sulla libertà e sui diritti dell’uomo. La dignità di ogni uomo è garantita veramente soltanto quando tutti i suoi diritti fondamentali vengono riconosciuti, tutelati e promossi. Da sempre la Chiesa ribadisce che i diritti fondamentali, al di là della differente formulazione e del diverso peso che possono rivestire nell’ambito delle varie culture, sono un dato universale, perchè insito nella stessa natura dell’uomo. La legge naturale, scritta dal Creatore nella coscienza umana, è un denominatore comune a tutti gli uomini e a tutti i popoli; è una guida universale che tutti possono conoscere e sulla base della quale tutti possono intendersi. I diritti dell’uomo sono, pertanto, ultimamente fondati in Dio creatore, il quale ha dato ad ognuno l’intelligenza e la libertà. Se si prescinde da questa solida base etica, i diritti umani rimangono fragili perché privi di solido fondamento”. Se dunque, attraverso una evidente logica (almeno che non si voglia sostenere che l’uomo si è creato da sé) si può affermare che i diritti dell’uomo sono ultimamente fondati in Dio creatore, il quale ha dato ad ognuno l'intelligenza e la libertà è altrettanto evidente che tali diritti non possono invecchiare. Parlare di “vecchi” e “nuovi” diritti è solo un pretesto per provare ad aprire un compromesso su qualcosa che invece è assolutamente non negoziabile.
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