Non chiamarmi straniero

“Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto […]. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto” (Mt 2, 13-15). “In questo dramma”, dice Benedetto XVI, “intravediamo la dolorosa condizione di tutti i migranti, specialmente dei rifugiati, degli esuli, degli sfollati, dei profughi, dei perseguitati. Intravediamo le difficoltà di ogni famiglia migrante, i disagi, le umiliazioni, le strettezze e la fragilità. La Famiglia di Nazaret riflette l’immagine di Dio custodita nel cuore di ogni umana famiglia, anche se sfigurata e debilitata dall’emigrazione”.

01 Gennaio 2008
Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio»”. (Mt 2, 13-15). “In questo dramma”, dice Benedetto XVI, “intravediamo la dolorosa condizione di tutti i migranti, specialmente dei rifugiati, degli esuli, degli sfollati, dei profughi, dei perseguitati. Intravediamo le difficoltà di ogni famiglia migrante, i disagi, le umiliazioni, le strettezze e la fragilità di milioni e milioni di migranti, profughi e rifugiati. La Famiglia di Nazaret riflette l’immagine di Dio custodita nel cuore di ogni umana famiglia, anche se sfigurata e debilitata dall’emigrazione”. Quella dell’immigrazione è una questione divenuta così scottante tanto da poter ormai parlare di vera e propria emergenza. Se fino a qualche anno fa ci sembrava un fenomeno lontano dal nostro quotidiano, oggi ci riguarda proprio da vicino visto che ci imbattiamo costantemente e in diversi modi con i bisogni che ne scaturiscono. E pensiamo non solo ai fatti dolorosi che hanno segnato la cronaca dell’ultimo periodo nel nostro Paese, ma anche alla presenza sempre più visibile di “stranieri” più o meno integrati e accettati nella nostra società: la badante straniera che assiste i nostri cari anziani è un conforto, l’impatto con un mendicante lavavetri al semaforo ci infastidisce; la manodopera a basso costo, operai, camerieri… sembra utile se consideriamo il punto di vista del datore di lavoro, offensiva se ci mettiamo nei panni dei nostri giovani disoccupati che fanno fatica a trovare lavoro. Questi stati d’animo contrastanti che sorprendiamo in noi, questo senso di smarrimento e a volte proprio di paura che ci ritroviamo di fronte al “diverso”, devono lasciar posto ad una posizione chiara e ragionevole, ad un giudizio che si incarni fedelmente nelle circostanze con cui direttamene e indirettamente ci imbattiamo. Ma chi è questo “straniero”?

Il fenomeno dell’immigrazione in Italia e in Europa

“Il fenomeno dell’immigrazione in Italia ha assunto dimensioni via via crescenti in un arco di tempo relativamente breve. Da paese «tradizionalmente» di emigrazione l’Italia si è trasformata negli ultimi 15 anni in una delle mete privilegiate di flussi migratori provenienti – nell’ordine – dall’ex Europa dell’Est (“Paesi in transizione”), dall’Africa (Maghreb e paesi del Golfo di Guinea), dall’Asia (Cina, Filippine, India e Sri Lanka), dall’America Latina (Perù ed Ecuador in particolare). La quota di stranieri comunitari, nordamericani e argentini, pur permanendo, si è fatta marginale” (dati riferiti dalla “Indagine conoscitiva sulla immigrazione e l’integrazione”, presentata in occasione dell’Audizione dell’Istituto Nazionale di Statistica presso il “Comitato Parlamentare italiano di Controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Eurogol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione”, Roma, 21 febbraio 2007). Analizzando i dati statistici forniti nel 2006 dalla Caritas e dall’Istat, si comprende che su 6 miliardi e mezzo di abitanti del pianeta solo 960 milioni risiedono nei Paesi a sviluppo avanzato; infatti un miliardo e 400 milioni di persone vivono con meno di due dollari al giorno e 192 milioni sono disoccupati. Questi dati aiutano a capire perché nel mondo ci sono 191 milioni di immigrati, di cui 20 milioni richiedenti asilo o rifugiati, 30-40 milioni in situazione irregolare e 600-800 mila persone vittime della tratta. Tra le aree europee di massima immigrazione troviamo la Germania, la Spagna, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia (Immigrazione nei Paesi europei). Ogni 10 stranieri, 5 sono europei, 2 africani, 2 asiatici e 1 americano. I soggiornanti dei Paesi dell’Est Europa sono circa un milione: i principali gruppi sono, tra gli extracomunitari, quello albanese e ucraino; tra i comunitari quello polacco e quello romeno. Tra i continenti, per l’Africa il primo gruppo è quello marocchino, per l’Asia il cinese e il filippino, per l’America il peruviano e lo statunitense. Dall’America latina, in particolare dall’Uruguay e dall’Argentina, vi sono flussi di oriundi italiani che vengono come turisti in Italia per poi spostarsi in Spagna.

Il contesto italiano

In Italia gli stranieri residenti nelle Anagrafi comunali sono tre milioni, in maggioranza popolazione giovane. Nel nostro Paese sono nati nel 2005 oltre 50 mila bambini stranieri su 500 mila bambini italiani: un nato di origine straniera ogni dieci. L’incidenza degli immigrati sulla popolazione italiana è del 5,2%, con 1 immigrato ogni 19 residenti (1 ogni 14 nel centro con la percentuale del 27%, 1 ogni 16 nel nord con percentuale del 59,5%, 1 ogni 15 nel sud con percentuale del 13,5%). Le due leggi Bossi-Fini hanno portato alla concessione di circa 650 mila permessi di soggiorno, pari quasi a quelli (680 mila) concessi a seguito dei tre precedenti provvedimenti del 1990, 1995 e 1998. La maggioranza dei permessi è a carattere stabile: il 62,6%, ossia 9 immigrati su 10, è presente per lavoro (solo nel 2006 ci sono state 485 mila domande a seguito del decreto flussi 2006), il 29,3% per questioni famigliari; la restante percentuale di immigrati, connessa ad una certa stabilità del soggiorno, è dovuta a motivi religiosi, residenza elettiva, corsi pluriennali di studio. Diverse sono le fedi professate dagli immigrati: cristiana (49,1%), musulmana (33,2%), religioni orientali (4,4%). Come già detto, gli immigrati in Italia sono una popolazione giovane, per il 70% nella fascia d’età 15-44 anni. In più prevalgono le persone sposate (52,7%); si rileva una sostanziale parità tra uomini e donne. I minori sono 586 mila, pari a circa un quinto della popolazione straniera. Gli studenti con cittadinanza straniera sono 424.683 (anni 2005/2006). Le assunzioni nel 2005 sono avvenute per il 9,2% in agricoltura, per il 27,4% nell’industria e per la restante quota nei servizi. I settori di impiego prevalenti sono l’informatica e i servizi alle imprese, le costruzioni, gli alberghi e i ristoranti, le attività domestiche e l’agricoltura. Gli imprenditori stranieri sono aumentati del 38% rispetto al 2005 e sono concentrati nei settori dell’edilizia e del commercio. Nel 2005 inoltre 116 mila stranieri hanno acquistato un alloggio, mentre il 72% vive in case in affitto.

La legge italiana

In questi mesi sia i quotidiani nazionali che i telegiornali di tutte le ore non fanno altro che parlare con vivo terrore di espulsioni di massa, del pacchetto sicurezza, della tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, dei decreti flussi-lavoro 2007, insomma degli accattoni, dei lavavetri, dei clandestini, dei nomadi o dei Rom in generale. Dunque la nostra politica è veramente preoccupata di risolvere il malumore generale, di cui ci si ricorda solo in presenza di gravi delitti, che i quotidiani amano mettere in prima pagina, “gridando al mostro”. Quindi, trascorso il momento della carota, ora è giunta l’ora del bastone indiscriminato! Ma è veramente possibile, nell’Europa che si fonda sul principio della libertà di circolazione, pensare di mettere in campo un provvedimento che fonda le sue radici su basi etniche, colpendo anche cittadini europei? Con l’evidente contraddizione che vede i nostri imprenditori spostarsi e stringere alleanze di ogni tipo, per esempio con la vicina Romania, per il minor costo della manodopera, mentre è poi la stessa Europa a voler introdurre norme restrittive per l’ingresso dei cittadini rumeni. È accettabile l’idea per cui, per far fronte ad una crescente emergenza sociale che ha prima a che vedere con la mancanza di diritti di ogni individuo che con la sicurezza, si debba ripercorrere la strada della chiusura, della costruzione di nuove frontiere? La legge che nel nostro Paese ha regolato in maniera uniforme le crescenti immigrazioni è il noto Testo Unico n. 286/98, a cui si è aggiunta nel tempo la nota legge Bossi-Fini, cioè la legge 30 luglio 2002, n. 189 e le sue successive modifiche. I punti principali della legge Bossi-Fini Regolazione dei flussi migratori Dalla Bossi-Fini alla Amato-Ferrero Il Pacchetto sicurezza “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni volte a consentire l’allontanamento dal territorio nazionale di soggetti la cui presenza contrasti con esigenze imperative di pubblica sicurezza” è stato emanato in data 01 novembre 2007 il Decreto Legge n.181.

Problematiche

Diverse sono state fino ad oggi le problematiche legate alla presenza degli immigrati nel nostro Paese. Nel 2005 sono stati segnalati all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali 867 casi di discriminazione, concentrati specialmente nel centro nord; tali denunce sono venute per lo più da africani. D’altra parte, però, nello stesso anno su 549.775 denunce per reati, 117.118 (cioè il 21,3%) sono contro stranieri (specialmente nel nord). I reati più ricorrenti sono quelli contro il patrimonio e quelli contro la persona. Per alcune nazionalità le denunce sono in diminuzione (albanesi), mentre per altre in aumento (romeni). Dei 20 mila detenuti stranieri più di un terzo ha beneficiato del recente indulto. Centinaia di migliaia di persone straniere si trovano inoltre in condizione di disagio abitativo o, quanto meno, di precarietà anagrafica per motivi immobiliari. Sono infatti circa 860 mila gli stranieri legalmente soggiornanti ma non ancora in grado di iscriversi come residenti al comune per problemi di alloggio adeguato. Sono poi 7.583 i minori non accompagnati (Rom e Sinti), provenienti per lo più da Romania, Marocco e Tunisia, che rischiano di diventare clandestini al diciottesimo anno di età. È un dato di fatto che ad oggi coloro che riescono a mettere piede e a vivere con dignitosa modestia nel nostro Paese rappresentano la punta di un iceberg, una goccia di un mare immenso, che sta crescendo e che non riesce a trovare un ragionevole contenimento, né umano né socio-giuridico, sebbene a livello internazionale la tutela degli emigrati sia stata regolata dalla Convenzione Nazionale del 2003 per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori emigranti.

Le cause dell’emigrazione

Imbattendosi con questo fenomeno non ci si può non chiedere che cosa possa spingere un uomo, una donna, una famiglia a lasciare il proprio Paese d’origine, a volte i famigliari più stretti, sicuramente parenti e amici, la propria terra con le sue tradizioni, la sua cultura, la sua lingua. Cambiamo per un attimo il nostro punto di vista e mettiamoci nei panni di chi decide di lasciare la propria terra. Che cosa può muovere uomini di ogni tempo, di questo tempo, spesso anche attraverso tremendi viaggi con il rischio di perdere la vita (che è un’alta probabilità se pensiamo a tutti gli sbarchi che arrivano nel sud del nostro Paese), a cercare dimora in Paesi in cui se va bene verranno ignorati, dove tutto è diverso, tutto è nuovo, tutto in fondo è sconosciuto, tutto è… da capo! Non ci riferiamo in questo momento alle “emigrazioni forzate” cioè le “tratte”, allo sfruttamento, alla prostituzione… che se accadono è anche perché c’è chi ne fa richiesta! Né tanto meno a tutti coloro che disperatamene fuggono da catastrofi naturali, da guerre e persecuzioni di carattere politico e religioso. Ma a chi più o meno improvvisamene parte per seguire un’aspirazione umana a cercare condizioni di vita migliori, per trovare una occupazione più stabile, degli spazi adeguati per vivere, per seguire il desiderio di una realizzazione personale, di un maggior benessere, anche economico, per sé e per i propri cari. Certo è che la globalizzazione ha creato per i migranti un nuovo mercato del lavoro e di conseguenza costituisce la causa principale dell’emigrare. Ma va detto che grazie ad essa è aumentata anche la facilità con la quale si possono usare i mezzi di comunicazione di massa che hanno rafforzato l’idea di una vita all’estero più facile e di benessere, scatenando il desiderio di milioni di persone di lasciare i loro Paesi nativi. Non abbiamo nessuna presunzione di dare risposte, non è questo lo strumento, il modo e il tempo adeguato e adatto a farlo. Però vogliamo continuare a porci delle domande. L’emigrazione è una soluzione adeguata all’esigenza per cui scaturisce? Quale esigenza può spingere ad abbandonare tutto? “Ci hai fatti per te, ed il nostro cuore è inquieto, non ha pace finché non riposa in te” (S. Agostino). Se ci fermiamo con sguardo leale davanti all’atto estremo di lasciare tutto e partire verso una meta lontana, a volte non corrispondente alle aspettative, non possiamo non cogliere come sia espressione del desiderio di felicità, pienezza, soddisfazione, vita piena che forma il cuore di ciascun uomo e che ciascuno, nella diversità di circostanze, cerca di soddisfare come può e come riesce, spesso senza esserne nemmeno consapevole… L’abbandonare dell’emigrante è quindi un “abbandonare per”, un lasciare anche ciò che ti è caro per un guadagno più grande. Non di rado però accade che l’attesa viene delusa e che molti emigrati, magari fuggiti da un Paese a regime totalitario, quasi rimpiangono la precedente condizione poiché “almeno lì si mangiava”. Chissà se proprio questa delusione non sia all’origine di almeno parte della malvivenza che tanto ci affligge negli ultimi tempi…

Cosa fare…

Le leggi arginano una questione di emergenza ma non affrontano il problema dell’integrazione. Una integrazione che se da un lato favorisce il reciproco arricchimento conseguente all’incontro di culture diverse, dall’altro non può essere svilita attraverso l’appiattimento delle tradizioni e della cultura del popolo ospitante. In realtà cosa significa accoglienza? Cosa significa integrazione? Cosa significa multiculturalità? Certamente la multiculturalità è ben diversa da un relativismo culturale in cui tutto è opinabile, senza storia, origine e tradizioni. Cosa significa rispetto della diversità? Garantire all’altro la propria intoccabile libertà di cultura e religione o annullare la propria? Chiariti i diritti degli immigrati, quali sono invece i doveri? E poi, quali potrebbero essere le iniziative di sostegno ai popoli in difficoltà nei loro Paesi? Come poter migliorare le condizioni di vita nei Paesi maggiormente soggetti ad emigrazione? Tanti sono i progetti umanitari da tempo intrapresi da varie associazioni anche internazionali, ma si pensi soprattutto alle immense opere dei missionari. La realtà di tanti missionari ci aiuta ad andar ulteriormente al cuore dell’esigenza ultima che è all’origine dell’ “abbandonare”. Per cosa vale veramente la pena lasciare la propria casa, la propria famiglia? Se molti spesso per costrizione o disperazione abbandonano le loro terre povere, desolate, vittime della guerra o di ogni sorta di ingiustizia, perché altri uomini scelgono liberamente di recarsi proprio lì dove urge il bisogno, impera la fame, regna la disperazione, magari lasciando una vita fatta di agi, libera, un lavoro stabile ed assicurato? “Chiunque ha lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o moglie o figli o campi per il mio nome, riceverà il centuplo ed erediterà la vita eterna” (Mt 19, 29). Qual è quindi il guadagno per chi sceglie l’esperienza della Missione? “Chi abbandona e basta non trova il centuplo, non trova niente. Fugge, perde, e basta. Anche quegli uomini di buona volontà che lasciano tutto – ce ne sono in giro – magari per una vita consegnata al volontariato o a lenire le sofferenze del mondo, non rientrano in questa richiesta di Gesù. […] A tutti va il nostro ossequioso rispetto ma non la nostra attrazione. Dobbiamo porre chiarezza sull’abisso che c’è tra l’abbandonare e l’abbandonare “per me”. […] Quel “per me” non è una ragione a lato, una dedica, una iscrizione al termine di un discorso o di un’azione, un bollino da esporre ad un prodotto, un valore aggiunto, una mera ispirazione idealistica dell’azione. È proprio tutto, la ragione reale di tutto. È l’affermazione della Presenza in cui solo consiste la vita in ogni suo battito e respiro, perché riconosciuta rivelazione del Mistero nella storia, in cui tutto e tutti consistono e di cui tutto e tutti son fatti. Quel “per me” è l’affermazione di Dio fatto Uno tra noi, di Colui che forma il battito del cuore, il respiro della vita, che è il Proprietario creatore di me e della realtà. È l’affermazione di Colui che assicura la soddisfazione, la gioia senza fine, il destino di felicità eterna” (Nicolino Pompei, Atti del Convegno 2004, pp. 31-32). Per chi lascia non può esserci nessuna convenienza se non quella generata dalla sovrabbondanza del cuore: una sovrabbondanza tale da non permetterti di restare con le mani in mano, da desiderare di portarla fino agli estremi confini della terra. I missionari hanno come unico compito e desiderio quello di far incontrare al mondo Gesù, il vero e unico “vale la pena”! Ma non lo fanno dall’alto di prediche ed indottrinamenti, bensì coinvolgendosi e compromettendosi con i popoli che incontrano, con la loro cultura, imparando la loro lingua… e costruendo per loro e con loro case, strade, scuole, ponti, ospedali, bonificando terreni… facendosi accanto alle famiglie, ai bambini, ai malati, ai carcerati… fornendo acqua e cibo ma anche un’istruzione a chi la desidera. Come non citare la nostra cara amica S.Francesca Saverio Cabrini! Dal momento che, tra fine Ottocento ed inizio Novecento, tantissimi italiani emigrarono negli Stati Uniti, per obbedienza a Papa Leone XIII anche Francesca (nonostante desiderasse partire per l’Asia), si recò lì in missione allo scopo di assicurare agli emigrati italiani una vita più umana e la possibilità di continuare ad essere cristiani. Francesca, che era anche una mistica, si è compromessa nell’insegnamento, nel lavoro, nella costruzione di scuole e orfanotrofi: alle sue suore soleva dire “Noi dobbiamo saper fare tutto”. Un’altra iniziativa decisiva è quella relativa all’annullamento del debito pubblico per i Paesi poveri. Nel dicembre 2006 anche Papa Benedetto XVI si è pronunciato a favore di questa iniziativa inviando una lettera al cancelliere tedesco Angela Merkel, per ringraziarla, “a nome della Chiesa cattolica, per la decisione di conservare all’ordine del giorno del G-8 il tema della povertà nel mondo, con particolare attenzione all’Africa”. Benedetto XVI chiedeva per i Paesi poveri la cancellazione immediata e incondizionata del debito estero, l’accesso ampio e senza riserve ai mercati, la lotta alle pandemie, come l’AIDS, la tubercolosi e la malaria, la riduzione del commercio delle armi, la lotta alla corruzione e al riciclaggio del denaro sporco: traguardi legati indissolubilmente alla pace e alla sicurezza nel mondo. Come è noto, gli Stati più ricchi vantano nei confronti di quelli del Terzo e Quarto Mondo crediti monetari altissimi, che di fatto soffocano le economie delle nazioni più deboli. (Debito pubblico) Per tale ragione si sono prese diverse iniziative per cancellare o almeno diminuire sostanzialmente questi debiti (così distribuiti secondo una scheda a cura di Guido Bossa redatta il 01 marzo 1999). Questa proposta darebbe respiro ai Paesi disagiati, che avrebbero così disponibilità economica maggiore da poter investire per la crescita e il miglioramento di molti servizi. Questo è quanto chiese l’Episcopato francese in vista del Giubileo del 2000 sebbene a nessuno dei Paesi poveri è stato annullato il debito pubblico.

“NON CHIAMARMI STRANIERO”

A causa del grembo materno diverso, o perchè i racconti della tua infanzia ti hanno forgiato in un’altra lingua, non chiamarmi straniero. Il tuo grano è simile al mio grano, la tua mano, simile alla mia, il tuo fuoco, simile al mio fuoco, e tu mi chiami straniero! Perchè in un altro popolo sono nato, perchè altri mari conosco, perchè un altro porto, un giorno, ho lasciato, non chiamarmi straniero È lo stesso grido che noi portiamo è la stessa fatica che trasciniamo, quella che sfianca l’uomo dalla notte dei tempi, quando non esisteva nessuna frontiera, prima che arrivassero quelli che dividono e uccidono, quelli che rubano, quelli là, gli inventori di questa parola: straniero. Triste parola ghiacciata, tanfo d’oblio e d’esilio. Non chiamarmi straniero. Guardami bene negli occhi, ben al di là dell’odio, dell’egoismo e della paura e vedrai che sono un uomo. No, non posso essere straniero!

(Anonimo)

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