Pakistan: una ferita aperta nel cuore del popolo cristiano

"Il popolo di Peshawar e tutta la comunità cristiana in Pakistan sono in un periodo di profondo smarrimento e lutto. Il Signore benedica le anime dei defunti innocenti che hanno perso la vita! Vi esortiamo a pregare perché non si ripetano più questi terribili incidenti e affinché il Signore ci protegga. Ci auguriamo la pace ed il conforto per tutti coloro che sono stati colpiti nelle esplosioni".

16 Novembre 2013
“Vi scrivo per conto del dottor Paul Bhatti per condividervi una tragica notizia ed orribile violenza avvenuta contro una innocente comunità minoritaria nella Chiesa Anglicana di San Giovanni a Peshawar. Ci sono stati più di un centinaio di morti e molti altri feriti, e migliaia in lutto. Il popolo di Peshawar e tutta la comunità cristiana in Pakistan sono in un periodo di profondo smarrimento e lutto. Il Signore benedica le anime dei defunti innocenti che hanno perso la vita! Vi esortiamo a pregare perché non si ripetano più questi terribili incidenti e affinché il Signore ci protegga. Ci auguriamo la pace ed il conforto per tutti coloro che sono stati colpiti nelle esplosioni. Sinceri saluti, Aneela Nelson”. Questa è  il testo della mail che il 6 ottobre scorso la segretaria di Paul Bhatti, ministro in Pakistan che l’anno scorso abbiamo avuto il dono di poter ospitare al Convegno, ha desiderato inviarci per chiedere di pregare in comunione con loro per il sofferente popolo pakistano. Un invito che abbiamo accolto immediatamente e che ci ha spinti ad andare più a fondo a questo vero e proprio attacco alla cristianità nel mondo. I CRISTIANI IN PAKISTAN Case devastate e saccheggiate, suppellettili bruciate per vendetta, chiese abbattute, uomini, donne e bambini spogliati dei loro beni, in fuga e molte volte uccisi…con la scusa della blasfemia. Questa è la tragica situazione che sta vivendo da anni il Pakistan, o meglio i cristiani del Pakistan, per opera dell’ala radicale musulmana. Il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l’Indonesia. Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale; in particolare i cristiani in Pakistan, che sono il 4% della popolazione, sono stati spesso al centro degli attacchi dei fondamentalisti islamici, che sono la maggior parte dei 180 milioni di pakistani, circa il 97% . Essere cristiani, così come seguire altre religioni minoritarie nel Paese, è considerato un peccato di blasfemia; si è arrivati ad accusare di blasfemia persino una ragazza invalida, Rimsha Masih. reato punibile con la pena di morte. Ormai è di dominio pubblico che i cristiani pakistani siano presi di mira dalle organizzazioni militanti islamiche che regolarmente commettono violenze contro di loro, diffondendo sempre più una cultura dell’intolleranza che fa sentire i cristiani sempre meno parte di questo Paese. Tale cultura ha attecchito nel tessuto sociale e anche per mezzo della legge contro la blasfemia: molti cristiani sono sotto attacco, accusati ingiustamente, privati della libertà e dei loro averi o di accesso al mondo del lavoro e alle strutture sanitarie. Il resto del mondo sembra purtroppo impotente al grido di dolore che nasce da queste vere e proprie persecuzioni dei cristiani in questo Paese. Addirittura negli ultimi mesi si è assistito a un graduale deterioramento del rispetto della libertà religiosa. A soffrirne sono state soprattutto le minoranze – in primis i cristiani, ma anche musulmani sciiti, indù e sikh. Secondo il rapporto della Commissione USA sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF), nella sezione dal titolo “Pakistan: una storia di violenza”, negli ultimi mesi si registrano “centinaia d’incidenti di violenza settaria che hanno causato diverse migliaia di vittime”, fino ad andare a colpire i fedeli durante le proprie celebrazioni religiose. C’è anche un gioco politico in Pakistan che cerca di strumentalizzare gli attacchi subìti dai cristiani: lo denunciano i missionari contattati dall’Agenzia Fides, all’indomani della strage nella chiesa anglicana di Tutti i santi a Peshawear. L’episodio ha riacceso il dibattito pubblico sulla condizione delle minoranze in Pakistan. P. Gulshan Barkat, sacerdote pakistano dei missionari Oblati di Maria Immacolata, residente a Multan (in Punjab) riferisce a Fides: “Il governo si sta impegnando a dare protezione a luoghi di culto e istituzioni cristiane. Il ministro dell’Interno, Chaudary Nisar, ha dichiarato che sarà presto messo a punto un piano di sicurezza per i luoghi di culto. In diverse città siamo stati inviatati, come leader religiosi, a incontri di emergenza e programmazione, organizzati dalle forze dell’ordine o dalle autorità civili”. LAHORE  (Marzo 2013) Un terribile attacco di una folla di musulmani nel tentativo di scacciare i cristiani dall’area di Joseph Colony, nel centro di Lahore (in Punjab). Motivo degli scontri l’attacco per blasfemia del 26enne cristiano Sawan Masih, che avrebbe replicato alle accuse di un barbiere, che a sua volta avrebbe usato parole offensive nei confronti del cristianesimo. Un diverbio che monta e sfocia nella protesta e spinge oltre 3mila persone verso il quartiere, a maggioranza cristiana, nel capoluogo della provincia del Punjab. Si arriva all’incendio e alla parziale distruzione della casa di  Masih, il quale era assente, ed al malmenato del padre, Chaman Masih. Il giovane Masih è stato poi arrestato e la polizia pakistana, che sarebbe intervenuta in ritardo – a detta della minoranza cristiani – ha  arrestato un centinaio di persone. Sarebbero state più di 300 le famiglie cristiane danneggiate negli scontri, che hanno perso beni e case. I movimenti cristiani hanno replicato a questi scontri, organizzando una protesta in numerose città del Pakistan. Tra le più importanti, quella della stessa Lahore, capeggiata dal noto leader cristiano ed ex ministro per le Minoranze, J.Salick, in cui sono stati intonati canti ed è stato denunciato con slogan l’inazione del governo provinciale, il quale non garantisce la sicurezza dei cristiani. PESHAWAR (Settembre 2013) Una strage cercata e voluta, attuata attraverso l’azione suicida di due kamikaze che si sono fatti esplodere simultaneamente tra i fedeli che stavano uscendo, essendo finita la funzione religiosa, davanti alla chiesa anglicana di Tutti i Santi a Khoati Bazaar a Peshawar, in Pakistan. Purtroppo è stata un’altra giornata di orrore e di sangue che vede vittime decine di fedeli cristiani colpiti nel luogo e nel momento della manifestazione della loro fede, la messa domenicale. Mescolati tra i fedeli usciti dalla chiesa, i kamikaze hanno compiuto la loro missione suicida facendosi esplodere, con quasi otto chili di esplosivo. Il bilancio della strage è stato drammatico: 82 morti, tra cui donne e bambini, e circa 150 feriti. A rivendicare l’attacco sono stati i membri del Jandullah ("Soldati di Dio"), che fa parte del gruppo Tehreek-e-Taliban Pakistan, strettamente collegato ad Al-Qaeda. Veglie di preghiera nelle chiese, proteste per le strade, chiusura delle scuole e dei negozi in segno di lutto. Così i cristiani del Pakistan hanno espresso il proprio dolore dopo questo ennesimo attacco al loro popolo, chiedendo al governo, come cittadini del Pakistan, azioni concrete a tutela della minoranza cristiana. Cordoglio è stato espresso dal presidente del Consiglio degli ulema, Maulana Tahir Ashrafi, che ha sottolineato la sua vicinanza “ai nostri fratelli e sorelle cristiani”. “E' vergognoso - ha aggiunto Ashrafi - che il governo non riesca a proteggere le minoranze in Pakistan”, i cui diritti “sono tutelati dalla Costituzione”. Intanto, nel timore di altri attacchi ai cristiani, il ministro degli Interni pachistano, Chaudhry Nisar Ali-Khan, ha annunciato un piano di sicurezza per le chiese di tutto il Paese e altri luoghi di culto delle minoranze religiose, considerati “facili bersagli”. L’ex ministro per l’Armonia religiosa, Paul Bhatti, ha definito questo attentato il più grave contro i cristiani pakistani e ha parlato di una “mano straniera” nella strage di Peshawar, oltre che dirsi “incredulo” per la possibilità data ai due attentatori di entrare nella zona di sicurezza “senza che nessuno li fermasse”. “Veramente, questo è l’attacco ai cristiani più doloroso e più brutale della storia del Pakistan. Io sono andato a Peshawar, ho visto i feriti e le vittime dell’attacco: una situazione, lo dico sinceramente, non spiegabile. (…) Queste bande terroristiche comunque non sono pakistane, non sono persone che appartengono alla religione, perché nessuna religione insegna l’odio e istiga all’omicidio. Perciò, in qualche modo questa banda è una banda esterna; esterna nel senso che non fa parte della religione, non fa parte del Paese, nemmeno parte dell’umanità. Loro vogliono distruggere il Pakistan, la pace nel Pakistan, l’integrità del Pakistan, e i pakistani devono capire questo! (…) Penso che questi siano gruppi estremisti che vogliono imporre la loro filosofia radicale nel Paese e di conseguenza vogliono imporsi loro stessi.” Non poteva mancare la vicinanza di Papa Francesco, che qualche giorno dopo l’attentato, a Cagliari, durante la visita pastorale in Sardegna, ha definito la strage il risultato di “una scelta sbagliata di odio e di guerra” e ha pregato per le vittime. In particolare il Santo Padre ha affermato: “Oggi in Pakistan, per una scelta sbagliata, di odio, di guerra, è stato fatto un attentato e sono morte 70 persone. Questa strada non va, non serve. Soltanto la strada della pace, che costruisce un mondo migliore. Ma se non lo fate voi, se non lo fate voi, non lo farà un altro, eh? Questo è il problema, e questa è la domanda che io vi lascio: ‘Sono disposto, sono disposto a prendere una strada per costruire un mondo migliore?’. Soltanto quello. E preghiamo il Padre nostro per tutte queste persone che sono morte in questo attentato in Pakistan ...”. E ha concluso: “Che la Madonna ci aiuti sempre a lavorare per un mondo migliore, a prendere la strada della costruzione, la strada della pace e mai la strada della distruzione e la strada della guerra”. In una nota della Conferenza episcopale firmata dal suo presidente, monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, si esprime una ferma condanna per quello che viene definito un attacco “vergognoso e codardo”. Monsignor Rufin Anthony vescovo di Islamabad/Rawalpindi, nella cui circoscrizione si trova Peshawar, parla di un Paese “piagato dal terrorismo”. Monsignor Anthony ha invitato i cristiani “a protestare in modo pacifico e a non provocare incidenti” in un momento in cui è “necessaria la massima unità”. “E’ un momento davvero molto triste per la Chiesa pakistana. La situazione è molto critica. I fedeli cristiani morti nell’attentato alla chiesa di Peshawar sono martiri innocenti della fede, in quanto sono stati uccisi mentre erano in chiesa a pregare. Nelle nostre Chiese stiamo organizzando veglie di preghiera per loro. Chiediamo a tutti i fedeli del mondo di pregare per noi”: lo dice all’agenzia Fides padre Waseem Walter, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in Pakistan, in occasione dell’attacco kamikaze alla chiesa anglicana di tutti i Santi a Peshawar. UN SEGNO DI FRATELLANZA: “Siamo pakistani, abbiamo lo stesso sangue” Nel paese dilaniato dagli attacchi contro le minoranze religiose, a seguito dell’ennesima strage a Peshawar, un’associazione musulmana ha protetto una chiesa di Lahore contro possibili attacchi terroristici; per l’esattezza domenica 6 ottobre a Lahore una catena di “scudi umani” formata da circa 300 musulmani ha protetto una chiesa cristiana in cui era in corso la Messa per evitare possibili attacchi terroristici. “Siamo pakistani, abbiamo lo stesso sangue”, dicono i promotori. L’iniziativa, portata avanti dal gruppo Pakistan For All, favorevole al dialogo interreligioso, ha visto la partecipazione di un Mufti che ha letto alcuni brani del Corano sulla tolleranza e la pace, ed è stata applaudita dal sacerdote che stava celebrando la funzione, padre Nasir Gulfam. I due religiosi si sono stretti la mano mentre i partecipanti al raduno innalzavano cartelli con scritto "One Nation, One Blood" (una sola nazione, un solo sangue). La catena umana di Lahore ha voluto inviare un segnale forte contro questi attacchi, ed è la seconda organizzata da Pakistan for All; una simile iniziativa si era svolta infatti anche la settimana precedente a Karachi, all’esterno della chiesa di S. Patrick, e un’altra è stata domenica 13 ottobre a Islamabad, davanti alla chiesa Our Lady Fatima. A ciò è seguito un corteo per le vie della città tra canti e danze. “I terroristi ci hanno fatto vedere cosa fanno la domenica”, ha detto in piazza il coordinatore dell'associazione, il musulmano Mohammad Jibran Nasir, “e noi gli abbiamo mostrato cos’è per noi la domenica. Un giorno di unità”. Sicuramente è stato un segno importante di comunione tra fratelli pakistani, di sostegno alla minoranza cristiana, che in questo momento vive nella paura di perdere tutto, nell’insicurezza di non essere protetta dalle istituzioni, nell’impossibilità di manifestare liberamente la propria fede e quindi di viverla nella realtà, senza temere di offendere la religione di stato. Sicuramente dietro a questi attentati ci sono interessi politici, economici di chi vorrebbe un regime totalitaristico dove tutti pensano e agiscono allo stesso modo, senza ragione, dietro l’ideale folle del potere a tutti i costi, anche a costo della violenza su donne e bambini. Ma senz’altro l’attacco è principalmente a Cristo, ai suoi uomini, a quella fede che accoglie il diverso, il malato, che porge l’altra guancia al nemico, che parla di un Dio fatto uomo, che addirittura si fa mettere in croce per la salvezza di tutti i suoi figli, quelli buoni e quelli cattivi, solo per amore. Anche perché altrimenti non avrebbe senso considerare così pericolosa una piccola ed insignificante minoranza rispetto alla quasi totalità musulmana. È proprio scomodo un Dio così, che ci lascia liberi di seguire il bene o il male, e non ci impone nulla, neanche il Suo amore, totalmente gratuito. Allora è più facile distruggere i cristiani, eliminare “il problema”, che confrontarsi con questa realtà di amore, accoglienza, di Via, Verità e Vita. Non è una guerra tra popoli, ma è il martirio a cui Cristo per primo si è offerto, promettendoci il centuplo quaggiù ed in eredità la vita eterna, quando ci ha insegnato che: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. Insieme al Santo Padre condanniamo questa scelta sbagliata, di odio e di guerra, preghiamo, come ci ha chiesto l’amico Bhatti, “perché non si ripetano più questi terribili incidenti e affinché il Signore ci protegga”, chiedendo alla Madonna che “ci aiuti sempre a lavorare per un mondo migliore, a prendere la strada della costruzione, la strada della pace e mai la strada della distruzione e la strada della guerra”.
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