Salvo Rosario Antonio D'Acquisto

Di lui è in corso la causa di beatificazione

Cosa si cela dietro a un’umanità - e una santità – di una simile portata?

06 Gennaio 2021

Nato nel lontano 1920, a ventitré anni non ancora compiuti, il 23 settembre 1943 dona la propria vita per salvare quella di ventidue inermi. Di lui è in corso la causa di beatificazione. Chi è Salvo d’Acquisto e cosa, o meglio Chi, lo porta a compiere un gesto del genere? Cosa si cela dietro a un’umanità - e una santità – di una simile portata?

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Venuto alla luce a Napoli, nel quartiere del Vomero, il 15 ottobre di cento anni fa, è il primogenito di otto figli, dei quali solo cinque sopravvivono all’infanzia. Il padre, Salvatore, è un operaio, la madre, Ines, casalinga. La famiglia, molto numerosa, vive con onestà e dignità la propria umile condizione. L’8 gennaio 1921, nella parrocchia di san Gennaro al Vomero, il futuro carabiniere riceve il Battesimo con i nomi di Salvo Pompeo Rosario. Grande sarà per tutta la vita la devozione alla Madonna del Rosario e la recita della corona rimarrà un tratto distintivo sia suo sia dei suoi genitori, che organizzano sovente cenacoli di preghiera. Frequenta il catechismo presso la chiesa dei Gesuiti, dove spesso serve Messa. Per la Prima Comunione la nonna Erminia, che nel frattempo lo aveva iscritto all’Apostolato della Preghiera, gli regala una corona con un Crocifisso in argento, avvolto nel velluto. La pone con amorevole cura fra le mani del nipote, il quale terrà quel dono sempre con sé fino alla morte. Dal carattere mite e riservato, ma, grazie anche all’esempio della figura materna, molto altruista, il nostro Salvo si distingue sin dalla fanciullezza per la generosità e l’amore verso il prossimo. Si ricordano a tal riguardo le visite, insieme allo zio Peppino, uomo assai caritatevole, in ospedale, agli ammalati, per recare loro sollievo, portando con sé dei doni che possano allietare i pazienti e strappare loro un sorriso.
A dieci anni, un giorno, tornando da scuola, incontra una vecchietta carica di sacchetti della spesa; si affretta a toglierli dalle mani della donna e glieli porta lui stesso sino a casa. Frequenta il ginnasio dai Salesiani, dai quali apprende l’amore per il lavoro, la preghiera e il dominio di sé. Risalgono a questo periodo alcuni episodi, fra quelli noti, che mostrano come si senta naturalmente incline a difendere gli altri, specie gli emarginati. Tornando da scuola, vuole deliberatamente stare vicino a un ragazzo che i compagni prendono in giro perché gobbo. Costui tuttavia non è l’unica loro vittima. C’è infatti una giovinetta che ha un occhio di vetro e per questo viene maltrattata. Salvo si mette tra lei e quanti la deridono, dando un bacio all’organo artificiale. E ancora, un giorno d’inverno, vedendo un ragazzino povero e infreddolito, scalzo e smunto, senza pensarci due volte, si toglie le scarpe e gliele regala. Per venire incontro alla famiglia, che versa in una grave precarietà economica, inizia a lavorare presso la piccola ditta dello zio produttrice di bambole. È insieme con lui, quando un dì vede un tale che sta rischiando di essere investito da un tram. Senza pensarci due volte, sentitosi interiormente spinto ad agire così, corre da lui per evitare l’incidente e fa appena in tempo a salvargli la vita. Talmente la fede sta diventando un tutt’uno con la sua vita che, oltre alla preghiera mariana, la santa Messa e l’Eucarestia iniziano a divenire dei gesti quotidiani imprescindibili. Oramai tredicenne, preferendole agli svaghi e ai giochi tipici della sua età, continua ad accompagnare lo zio nelle frequenti visite nei nosocomi agli infermi, specie tubercolotici e incurabili, carico di dolci e frutta da donare loro. Con gioia e un bellissimo sorriso, passa di corsia in corsia a confortare i più sofferenti, i più tristi e abbandonati. Diciottenne, Salvo Pompeo Rosario riceve la cartolina per la visita di leva. A causa della chiusura della ditta dello zio, perde il lavoro e con esso la possibilità di sostenere economicamente la famiglia. Per essere aiutato nel discernimento, si reca insieme alla sorella Francesca presso la chiesa della Madonna del Rosario di Pompei, da non confondersi con il più celebre santuario, a mendicarne l’intercessione. Dopo aver al lungo pregato, con il volto sereno, disteso e felice, prende la decisione di arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri, nella quale avevano militato il nonno e due zii materni, oltre a un fratello del padre. È il 15 giugno 1939; il 15 agosto dello stesso anno si arruola. Dopo il corso preliminare, diviene effettivo il 5 gennaio 1940; viene assegnato alla Compagnia Comando della Legione di Roma.
Dopo l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, su esplicita richiesta viene mandato in Africa settentrionale. Sbarca a Tripoli il 23 novembre 1940; rimane al fronte per alcuni mesi ma nel 1941 viene ricoverato prima a Derna poi nel campo militare di Bengasi per enterocolite, sopraggiunta in seguito ad un’infezione causata da una ferita alla gamba. Anche sotto la tenda prega pubblicamente e invita i compagni a unirsi a lui, specie durante gli attacchi aerei. Per questo motivo, gli ufficiali e i commilitoni hanno una grande stima di lui, sia per i suoi principi morali sia per la fervente fede. Dotato di una bellissima voce baritonale, canta, su richiesta dei compagni d’armi, nei momenti di relativa calma, quando ci si ferma per recuperare le forze, celebri motivi napoletani. Fino in fondo uomo, tutto identificato e teso all’Origine e alla Causa della sua umanità impareggiabile, non disdegna nulla, compreso il divertimento: partecipa infatti, senza problemi, al gioco della morra, allora molto in voga anche tra carabinieri. D’antichissima tradizione popolare, consiste in una sfida nel corso della quale due giocatori, posti l’uno di fronte all’altro, protendono simultaneamente uno o più dita della mano, o anche nessuno, gridando un numero inferiore a undici e tentando d’indovinare la quantità complessiva delle dita distese. Rientrato in Italia, il 13 settembre 1942 è ammesso alla Scuola Sottufficiali di Firenze, distinguendosi per il senso di responsabilità e l’impegno nello studio. Ne esce tre mesi dopo con il grado di vicebrigadiere e viene assegnato alla Legione di Roma che, dietro sua richiesta per essere ancora più vicino ai poveri del paese, lo destina alla stazione periferica di Torrimpietra, sulla via Aurelia, nell’Agro romano. Gli abitanti del posto conoscono ben presto i suoi numerosi pregi, fra cui la dedizione e l’atteggiamento cordiale con cui si rapporta con ciascuno. Anche lì non manca di testimoniare splendidamente, fino alla fine, la sua tenace fede: quotidianamente vive la santa Messa e si accosta all’Eucarestia. In seguito all’armistizio dell’8 settembre del 1943, con l’Italia divisa tra l’occupazione tedesca, osteggiata dai partigiani, e l’avanzata degli americani, anche a Torrimpietra si patisce la fame. Il vicebrigadiere si adopera per placare i contrasti e distribuisce tra le famiglie, specie quelle più in difficoltà, quel che ricevono i carabinieri. A causa degli scontri tra i nazifascisti e gli alleati, un reparto delle SS occupa una caserma abbandonata della Regia Guardia di Finanza, sita nella Torre di Palidoro, borgata limitrofa a Torrimpietra. Qui, la sera del 22 settembre 1943, alcuni soldati tedeschi, rovistando in una cassa metallica, provocano accidentalmente lo scoppio di una bomba a mano. Un militare rimane ucciso e altri due gravemente feriti. Dell’episodio, del tutto fortuito, vengono incolpati i partigiani. Il mattino seguente, il comandante del reparto raggiunge la Stazione dei Carabinieri di Torrimpietra per denunciare il fatto. Vi trova D’Acquisto, al quale chiede senza mezzi termini d’individuare i responsabili dell’accaduto. Alle argomentazioni di Salvo, che cerca invano di convincerlo della casualità del tragico evento, l’ufficiale tedesco risponde annunciando una rappresaglia. Poco dopo Torrimpietra è accerchiata, ventidue innocenti, fra cui un diciassettenne, vengono rastrellati e caricati su un autocarro, per essere trasferiti ai piedi della Torre di Palidoro e messi dinanzi al plotone d’esecuzione. Il vicebrigadiere, comprendendo subito la drammaticità della situazione e il tragico destino che attende gli ostaggi, affronta il comandante delle SS per cercare di evitare la strage, tentando di condurlo a una giusta valutazione dei fatti. Questi di contro gli chiede nuovamente i nomi degli artefici del presunto attentato. La risposta negativa del carabiniere genera nel comandante tedesco una reazione spietata: gli ostaggi vengono obbligati a scavarsi una fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude. Davanti a questa scena, preludio della fucilazione degli innocenti, D’Acquisto alza il braccio, si dichiara colpevole dell’attentato e domanda la liberazione dei prigionieri. Tutti vengono fatti uscire dalla fossa, tranne Salvo, che è barbaramente ucciso da una scarica del plotone di esecuzione nazista, nonostante la sua estraneità al fatto sia ben nota ai suoi carnefici. I condannati, salvati, ascoltano increduli le sue ultime parole: “Una volte si nasce e una si muore”.
Dal 1986 le sue spoglie mortali riposano presso la basilica di santa Chiara a Napoli. Dopo gli onori civili - nel 1944 riceve la Medaglia d’Oro al Valor Militare - quelli religiosi: il 23 settembre 1983, quarantesimo anniversario della morte, l’allora ordinario militare Gaetano Bonicelli ne avvia il processo di beatificazione, fornendo tutte le testimonianze raccolte dalla Congregazione Vaticana per le Cause dei santi. Un gesto, quello di Salvo D’Acquisto, molto simile al sacrificio di San Massimiliano Maria Kolbe. È questa la linea seguita dai postulatori. In entrambi si può parlare di martirio avvenuto ad opera di regimi dittatoriali “per carità” (amore verso i fratelli) e in “odio alla fede”.
A dare un ulteriore stimolo al processo di beatificazione del nostro vicebrigadiere è intervenuto nel 2017 Papa Francesco con la Lettera Apostolica in forma di “Motu Proprio” Maiorem hac dilectionem. Nel documento il Santo Padre afferma che “sono degni di speciale considerazione e onore quei cristiani che, seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri e hanno perseverato fino alla morte in questo proposito. È certo che l’eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed esemplare imitazione di Cristo e, pertanto, è meritevole di quell’ammirazione che la comunità dei fedeli è solita riservare a coloro che volontariamente hanno accettato il martirio di sangue o hanno esercitato in grado eroico le virtù cristiane”. Il pontefice ha perciò stabilito che possa essere motivo di beatificazione e successiva canonizzazione anche ogni supremo atto di carità che sia stato direttamente causa di morte, mettendo così in pratica il comandamento dell’amore: “…. che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Così recita il salmo 15: “Io pongo sempre innanzi a me il Signore… non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima, anche il mio corpo riposa al sicuro… Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra”. Un’esperienza di gioia piena e di dolcezza senza fine: è questo quel che Salvo D’Acquisto ha sperimentato nell’al di qua e ha testimoniato sino al – e con il - martirio, e di cui di certo ora gode nella vita eterna.

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