"Tu sei il più bello dei figli dell'uomo"

La Santa Sindone è un affascinante mistero la cui storia rimanda alla morte e resurrezione di Gesù, un segno della Sua morte atroce per la salvezza dei nostri peccati e quindi anche del Suo immenso amore per tutti noi. Dopo 10 anni dall’Ostensione del Giubileo, la Sindone è esposta nel Duomo di Torino dal 10 aprile al 23 maggio di questo anno. Come ha sostenuto il Cardinale Severino Poletto, Arcivescovo metropolita di Torino e custode pontificio della Sindone, sarà questa una grande occasione per contemplare, nell’immagine, il dolore di ogni uomo, le sofferenze a cui spesso non sappiamo neppure dare un nome: per questo il motto dell'Ostensione 2010 è «Passio Christi passio hominis».

20 Aprile 2010
Secondo la tradizione, la Sindone è il lenzuolo funerario con cui, riferiscono i vangeli, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea avvolsero il corpo di Cristo, dopo la deposizione dalla croce. Oltre al racconto evangelico, la prima notizia attestante l’esistenza del “lenzuolo”, è del 544. All’epoca ad Edessa (l’attuale Urfa, in Turchia), si venerava il Mandylion, un telo sul quale, si riteneva, fosse impressa un’immagine di Cristo non dipinta da mani d’uomo cioè Acheropita. Probabilmente la Sindone era ripiegata in modo che mostrasse soltanto il volto dell’immagine umana impressa su di essa. Settecento anni dopo, nel 1204, il cavaliere Robert de Clari scrive che la “Sindone del Signore” in cui si vedeva l’immagine intera, era conservata nella chiesa di Santa Maria delle Blancherme di Costantinopoli. Dal medio oriente, nel 1353 il telo giunse in Francia a Lirey. Nei due anni successivi diverse volte la Sindone fu esposta alla pubblica adorazione. Nel 1453 Marguerite de Chamy consegnò la Sindone ad Anna di Lusignano, moglie del Duca Ludovico di Savoia. La reliquia dal 1502 venne conservata nella Sainte Chapelle a Chambery, sempre in Francia. Nel 1532, vi fu un incendio che danneggiò in alcuni punti il lenzuolo, la riparazione dei danni provocati dall’incendio fu affidata a delle suore clarisse che la rattopparono. Nel 1578 i Savoia portarono il telo a Torino da qui esso subì qualche momentaneo spostamento. Ancora oggi, Torino accoglie e custodisce la Sindone. Per volere testamentario di Umberto di Savoia, la Sindone dal 1983 è di proprietà del Papa; custode pontificio ne è l’arcivescovo di Torino. A partire dalla fine del 1800 la Sindone comincia ad essere sottoposta al vaglio della scienza. Le indagini ebbero inizio quando l’avvocato Secondo Pia fotografò la Sindone nel corso dell’ostensione pubblica, avvenuta fra il 25 maggio e il 2 giugno 1898. L’immagine impressa si vedeva meglio attraverso la foto (all’epoca in bianco e nero) che con la sola vista umana! Il fatto suscitò l’attenzione e l’interesse di alcuni specialisti in anatomia del corpo umano e medicina legale, pionieri delle indagini che si protrassero per tutto il Novecento fino ai giorni nostri. Interpellando e chiedendo ai membri più autorevoli della comunità scientifica di pronunciarsi, la Chiesa ha dimostrato ancora una volta la stima per la scienza e soprattutto che non si tira indietro, che non ha paura della verità, anzi la reclama sempre e comunque. Tutto ciò, inoltre, fa cogliere come la Chiesa stessa non cerca di difendere proprio nulla a priori, perciò è disposta a lasciare che ognuno si esprima, dia il proprio contribuito affinché si giunga il più possibile a documentare, a provare l’effettiva veridicità di quanto affermato dalla tradizione. “La Chiesa – affermava Giovanni Paolo II durante il Discorso tenuto a Torino il 24 maggio del 1998 in occasione dell’ostensione del telo – esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono; li invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti”. La Sindone e il racconto evangelico La lettura del Telo La datazione col metodo del radiocarbonio e l’ipotesi del contraffattore medievale Il segno della resurrezione Torino 2010 Quel volto oggi: un segno della passione e dell’amore del Signore Ma cosa ci provoca la Sindone? Perché sono milioni i visitatori  che stanno in questi giorni raggiungendo Torino per vedere quel lenzuolo? Ci commuove avere tra noi questo eccezionale segno della passione di Cristo. Occorre capire che il telo ci rimanda direttamente all’iniziativa di Dio. Il Signore si è fatto veramente uomo tra gli uomini, ha assunto la nostra condizione in tutto e per tutto, fino a patire sofferenze inimmaginabili e morire in croce. Questo ci richiama la Sindone: lo strazio patito da Gesù per la nostra salvezza, lo strazio patito dal Figlio di Dio in completa obbedienza, abbandono fiducioso e continua preghiera al Padre. Un dolore che ci scandalizza, ma che è un misterioso strumento di Grazia e di riscatto per ciascun uomo. La Sindone – riprendendo le parole di Giovanni Paolo II – “invita a riscoprire la causa ultima della morte redentrice di Gesù. Dinanzi ad essa i credenti non possono non esclamare in tutta verità: «Signore, non mi potevi amare di più!» […]. Essa ci presenta Gesù al momento della sua massima impotenza e ci ricorda che nell'annullamento di quella morte sta la salvezza del mondo intero”. È dunque segno dell’amore di Dio per noi, di Colui che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”(Gv. 3,16), un amore che va oltre il nostro peccato, la nostra miseria, e che indiscutibilmente vince sempre; è il segno dell’Amore che si è fatto carne, che ha sofferto, è morto… ed è risorto!. La Sindone diventa così un invito a vivere ogni momento, anche quello più doloroso e insopportabile, nella posizione di chi crede fermamente che la misericordia di Dio vince ogni povertà, ogni condizionamento, ogni disperazione. Sta a noi avere la mente e il cuore aperti ad accogliere il suo messaggio. Essa è quindi certamente un grandissimo segno di Gesù, sì, lo ripetiamo, un segno, ma non è Gesù. Se per assurdo un giorno la scienza dimostrasse che il telo è un clamoroso falso e la Chiesa confermasse questo pronunciamento, cambierebbe qualcosa? Certamente no! La nostra fede non verrebbe meno, semplicemente perché essa non è legata all’autenticità del lenzuolo, ma è scaturita dall’incontro con dei volti che sono la fisionomia del nostro cammino. “Il nostro cammino – ci insegna Nicolino – è una modalità e un’esperienza della vita e della comunione della Chiesa in cui Cristo vive e salva. E la nostra comunione è la modalità e il segno attraverso cui «la vita che ha distrutto la morte, l’Amore che ha lavato il peccato, Cristo risorto dai morti» si rende presente per assumere ed assimilare anche noi dentro questa inaudita esperienza. Ed è solo per questa esperienza che il cuore è fatto. Solo in questa esperienza il cuore trova continua soddisfazione alla sua incessante esigenza” (Atti del 2007). Solo nella forza e nella sequela a questo cammino, che per noi è Fides Vita quale segno della Chiesa, sperimentiamo la presenza di Gesù Cristo che risorgendo ha oltrepassato il telo sindonico, allo stesso modo ha attraversato i secoli ed è giunto e continua a raggiungere ciascuno di noi. Approfondimenti
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