“La Chiesa annuncia ovunque il Vangelo di Cristo nonostante le persecuzioni, le discriminazioni, gli attacchi e l’indifferenza, talvolta ostile, che – anzi – le consentono di condividere la sorte del suo Maestro e Signore” (Benedetto XVI, Messaggio natalizio, 25 dicembre 2009).
Come ha detto il Santo Padre Benedetto XVI nel giorno della festa del protomartire Santo Stefano, “la testimonianza di Stefano, come quella dei martiri cristiani, indica ai nostri contemporanei spesso distratti e disorientati, su chi debbano porre la propria fiducia per dar senso alla vita. Il martire, infatti, è colui che muore con la certezza di sapersi amato da Dio e, nulla anteponendo all’amore di Cristo, sa di aver scelto la parte migliore. Configurandosi pienamente alla morte di Cristo, è consapevole di essere germe fecondo di vita e di aprire nel mondo sentieri di pace e di speranza. Oggi, presentandoci il diacono Santo Stefano come modello, la Chiesa ci indica, altresì, nell’accoglienza e nell’amore verso i poveri, una delle vie privilegiate per vivere il Vangelo e testimoniare agli uomini in modo credibile il Regno di Dio che viene” (Angelus del 26 dicembre 2009).
Dalle poche note biografiche di questi fratelli e sorelle uccisi, possiamo leggere l’offerta generosa e senza condizioni alla grande causa del Vangelo, senza tacere la limitatezza della fragilità umana: è questo ciò che li ha uniti nella vita e anche nella morte violenta, pur trovandosi in situazioni e contesti profondamente diversi. Per annunciare l’amore di Cristo, morto e risorto per la salvezza dell’uomo, testimoniandolo in opere concrete di amore ai fratelli, non hanno esitato a mettere quotidianamente a rischio la propria vita in contesti di sofferenza, di povertà estrema, di tensione, di violenza generalizzata, per offrire la speranza di un domani migliore e cercare di strappare tante vite, soprattutto giovani, al degrado e alla spirale della malvivenza, accogliendo quanti la società rifiuta e mette ai margini.
Alcuni sono stati vittime proprio di quella violenza che stavano combattendo o della disponibilità ad andare in soccorso degli altri mettendo in secondo piano la propria sicurezza. Molti sono stati uccisi in tentativi di rapina o di sequestro, sorpresi nelle loro abitazioni da banditi alla ricerca di fantomatici tesori che il più delle volte si sono dovuti accontentare di una vecchia automobile o del telefono cellulare delle vittime, portandosi via però il tesoro più prezioso, una vita donata per Amore. Altri sono stati eliminati solo perché nel nome di Cristo opponevano l’amore all’odio, la speranza alla disperazione, il dialogo alla contrapposizione violenta, il diritto al sopruso.
Ricordare i tanti operatori pastorali uccisi nel mondo e pregare in loro suffragio “è un dovere di gratitudine per tutta la Chiesa e uno stimolo per ciascuno di noi a testimoniare in modo sempre più coraggioso la nostra fede e la nostra speranza in Colui che sulla Croce ha vinto per sempre il potere dell’odio e della violenza con l’onnipotenza del suo amore” (Benedetto XVI, Regina Coeli, 24 marzo 2008).
A questo elenco provvisorio stilato annualmente dall’Agenzia Fides, deve comunque essere sempre aggiunta la lunga lista dei tanti di cui forse non si avrà mai notizia, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano anche con la vita la loro fede in Cristo. Si tratta di quella “nube di militi ignoti della grande causa di Dio” - secondo l’espressione di Papa Giovanni Paolo II - a cui guardiamo con gratitudine e venerazione, pur senza conoscerne i volti, senza i quali la Chiesa e il mondo sarebbero enormemente impoveriti.
DOSSIER Missionari Uccisi 2009