Pubblichiamo in anteprima l’articolo che uscirà con il prossimo numero di Nel Frammento (di Maria Elena Capriotti e Paolo Vallorani) insieme ad alcuni articoli significativi che continuano a fare luce sulla situazione attuale.
Raja Katib di Tamra, in Galilea il 14 giugno ha perso la moglie Mana, due delle tre figlie e la cognata, uccise da un missile balistico iraniano. Nel tratto di un’intervista ha detto: “Non voglio che altri vivano la mia sofferenza. Solo mi chiedo: perché questa guerra? Non potevano parlare prima davanti ad un tavolo? Che necessità c’era che la mia famiglia venisse massacrata?”.

La gente non può morire a causa di fake news
Il 26 giugno scorso, rivolgendosi ai partecipanti della Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali (ROACO) Papa Leone XIV ha denunciato che “la violenza bellica sembra abbattersi sui territori dell’Oriente cristiano con una veemenza diabolica mai vista prima. […] Siamo chiamati noi tutti, umanità, a valutare le cause di questi conflitti, a verificare quelle vere e cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione. La gente non può morire a causa di fake news”. Le motivazioni “costruite ad arte” e le successive tragiche iniziative di guerra, prima da parte della Russia verso l’Ucraina, poi il recentissimo attacco di Israele e di Stati Uniti all’Iran dimostrano come si usi e si abusi di “cause”, “valori” ma soprattutto si strumentalizzi la condizione dei popoli - i primi su cui si ripercuotono gli effetti della guerra - per “armare” false e ideologiche prese di posizioni, e agire di conseguenza. A monte delle operazioni di guerra delle settimane di giugno, che hanno allargato l’abisso di dolore e paura che funesta il Medio Oriente, c’è stato l’aggiungersi di un ulteriore “sospetto” a quelli che da decenni animano e condizionano i rapporti fra i governatori di Israele ed Iran.
A partire dal sospetto
Dalla fondazione dello Stato di Israele ad oggi, i fragili equilibri fra una parte, variabile, dei Paesi del Medioriente e lo Stato di Israele sono stati condizionati da reciproche minacce di aggressione, da conseguenti reazioni declinate in corsa ad armamenti, atti terroristici, sostegno ad organizzazioni paramilitari attraverso cui attaccare per procura lo stato nemico, alleanze internazionali per garantirsi la sopravvivenza e l’appoggio in caso di guerra.
Papa Francesco nella Fratelli tutti ha sempre affermato la necessità di tornare all’origine, alla verità rispetto alle cause scatenanti i conflitti, ha esortato ad una ricerca di verità che si completasse con il giudizio in merito ai fatti, invece, “il nostro mondo avanza in una dicotomia senza senso, con la pretesa di garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia”. Quella mentalità per cui, a partire da un “sospetto”, lo scontro latente, che procede da decenni tra Israele e Iran, è diventato aperto conflitto, integrato a partire dal 22 giugno dall’iniziativa degli Stati Uniti d’America.

Da decenni, in Iran (come in altri Paesi del mondo) vi sono centrali nucleari per produrre energia elettrica; come in ogni nazione che ha aderito al “Trattato di non proliferazione nucleare”, queste sono monitorate da anni dall’“Agenzia internazionale per l'energia atomica” (AIEA). Il regime iraniano, purtroppo, non ha mai messo in discussione la volontà di arrivare ad arricchire l’uranio ed eventualmente utilizzarlo contro lo Stato di Israele e gli Stati Uniti d’America, che considera come suoi principali nemici. Dopo lo scorso 31 maggio l’AIEA ha inviato all’Onu il rapporto periodico sul nucleare iraniano. Rafael Grossi, l’attuale responsabile, in un primo momento ha parlato di “omessa collaborazione” dell’Iran, “dell’impossibilità di verificare se il programma nucleare civile sia esclusivamente civile” e di “considerevole aumento della produzione e dell’accumulo di uranio altamente arricchito”.
A partire dall’eventualità che l’Iran potesse giungere ad avere armi nucleari da lanciare contro lo Stato di Israele, Netanyahu, con l’appoggio dell’ultradestra nazionalista, ha avviato l’operazione “Rising Lion” contro le centrali nucleari iraniane. Quattro giorni dopo l’attacco del 13 giugno, Rafael Grossi ha riferito alla CNN che l’Iran disponeva di una quantità di uranio “arricchito” che ulteriormente incrementato poteva essere impiegato per realizzare un’arma nucleare, tuttavia, il termine entro cui si sarebbe raggiunto questo funesto risultato rimaneva indefinito. Questa verosimile stima ha giustificato gli attacchi del 13 e del 20 giugno scorsi. Dopo dodici giorni di guerra, secondo “dati di massima”, le operazioni militari hanno ucciso seicento persone in Iran e trenta nello Stato di Israele oltre ad aver procurato feriti e devastazioni di abitazioni, strade, ospedali.
La legge del più forte
“È veramente triste – come dice Papa Leone XIV nell’incontro a cui già prima abbiamo fatto riferimento - assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza. Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni”.
“Una pace disarmata e disarmante” è ciò che implorava Papa Francesco e che oggi continua ad essere chiesta dal suo successore. Una pace possibile nei luoghi che soffrono da anni il dramma della guerra. Durante il suo ultimo ricovero al Gemelli, Papa Francesco aveva scritto: “In questo momento di malattia la guerra appare ancora più assurda. La fragilità umana, infatti, ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide […]. Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra. Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità”. In questo passaggio della Lettera indirizzata al direttore del Corriere della Sera, Papa Francesco ribadiva una posizione imprescindibile per percorrere vie e soluzioni umane e ragionevoli: la pace non può essere raggiunta con le armi, la pace è una posizione del cuore che disarma, contagia, conquista il cuore di chi ne gode e di chi ne è raggiunto.

“Stiamo bene”
Il 10 giugno scorso, ad Ascoli Piceno, si è tenuto l’XI Meeting Nazionale dei giornalisti proprio sul tema “Una pace disarmata e disarmante”. Davvero disarmante è stato incontrare l’intervento di Padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza, che ha esordito dicendo: “Salve cari, stiamo bene. La situazione continua ad essere grave: continuano i bombardamenti e questo significa più morti, più feriti, più distruzione… due milioni e trecentomila persone che hanno bisogno di tutto per vivere, cibo, acqua, medicinali. […] Noi continuiamo ad avere la nostra vita spirituale forte, pregando: ogni giorno un’ora di adorazione davanti al Santissimo Sacramento, viviamo l’oratorio con il rosario, la messa, di notte la compieta insieme ai giovani, tutto in arabo e poi ci sono i giochi, si gioca. Qui le persone hanno perso tutto: casa, familiari, luogo di lavoro, noi vi chiediamo di pregare per la pace, convincere che la pace è possibile”. Cosa rende possibile esordire dentro una situazione per noi inimmaginabile di sofferenza, paura, sacrificio, dolore affermando: “Stiamo bene!”? Cosa permette di parlare con un volto evidentemente provato ma “in pace”? Abbiamo incontrato la testimonianza di un uomo che, dal di dentro la tempesta della guerra, continua “ogni giorno” a lasciar prevalere lo sguardo di Gesù nel suo quotidiano.
Tornando all’incontro dello scorso 26 giugno, papa Leone XIV in modo accorato richiamava la condizione di uomini, donne, bambini che patiscono il fallimento del ricorso alle armi, la deflagrazione del diritto alla vita, la contraddizione di chi pretestuosamente vuol liberare un popolo da un pericoloso regime teocratico e compie contemporaneamente un genocidio nell’altro: “Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta?”. Sulla Striscia di Gaza ha scritto Luca Geronico su Avvenire, a proposito degli episodi di uccisioni che quotidianamente accadono presso le postazioni gestite dalle organizzazioni umanitarie e dove avvengono distribuzioni di viveri: “I disperati e affamati abitanti di Gaza continuano a trovarsi di fronte all’orribile alternativa tra morire di fame o rischiare di essere uccisi cercando di procurarsi cibo: a Gaza il cibo è un’arma contro i civili”.
Che cosa possiamo fare?
Papa Francesco, Papa Leone XIV, padre Gabriel testimoniano ed affermano che la pace “disarmante” è possibile perché è l’esperienza che abita il loro cuore e il cuore degli uomini la cui vita è investita dalla pace di Cristo, uomini che disarmano perché mostrano e provocano con il loro vivere quotidiano un rinizio continuo laddove tutto soccomberebbe alla resa, un perdono possibile perché “anche dentro una minima fessura di apertura del nostro umano, un solo raggio della luce di Cristo, una sola goccia della sua sorgente, ci farà ritrovare nell’esperienza di una sorprendente rigenerazione e fecondità, di una ineguagliabile radiosità e beatitudine” (Nicolino Pompei, Mai un uomo ha parlato così…).
Uniti al Santo Padre Leone XIV, ci preme rimanere nella domanda che lui stesso rivolge a noi cristiani: “Oltre a sdegnarci, ad alzare la voce e a rimboccarci le maniche per essere costruttori di pace e favorire il dialogo, che cosa possiamo fare? Credo che anzitutto occorra pregare. Sta a noi fare di ogni tragica notizia e immagine che ci colpisce un grido di intercessione a Dio”.