QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Avete sperimentato invano tanti prodigi?

Dall’approfondimento “Quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo..."

Papa Benedetto XVI in occasione della chiusura dell’Anno dedicato a san Paolo ha affermato: “L’Anno Paolino si conclude, ma essere in cammino insieme con Paolo, con lui e grazie a lui venire a conoscenza di Gesù e, come lui, essere illuminati e trasformati dal Vangelo - questo farà sempre parte dell’esistenza cristiana”. Seguendo l’invito di Papa Benedetto XVI, ritengo necessario introdurre - non solo per la vita di ciascuno di noi ma anche per quella tensione a proporre ad ogni uomo l’avvenimento di questa conoscenza di Cristo come esperienza reale e possibile a ciascuno - un ulteriore momento di riflessione attorno ad una questione significativa che - in questo anno dedicato a san Paolo - ha trovato la mia attenzione approfondendo la sua vita e le sue lettere. Mi riferisco a ciò che emerge nella Lettera ai Galati. La comunità della Galizia è stata fondata grazie a quella immensa e struggente attività missionaria di san Paolo. L’entusiasta accoglienza da parte dei Galati del Vangelo annunciato da Paolo ha permesso loro l’esperienza di quella sconvolgente novità che è la presenza di Cristo nella storia e nella vita, così come possiamo ritrovare e riconoscere in queste sue parole: “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Gesù Cristo, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù… Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio” (Gal 3, 26-28; 4, 4-7). Evidentemente questa esperienza di novità deve essere così presente in loro, da essere usata da san Paolo come richiamo e aiuto per discernere e affrontare una situazione grave in cui la comunità si viene a trovare. Qual è questa situazione grave? L’intrusione e l’inserimento dentro la comunità di individui che annunciano “un altro Vangelo” e che affermano una salvezza che, oltre alla fede in Cristo, impone la circoncisione e le opere della Legge. Una situazione che fa ritrovare la comunità nella confusione e nell’alternativa di due versioni del Vangelo. San Paolo, sorpreso dalla notizia di questo fatto, con grande sofferenza e altrettanta chiarezza, scrive la sua Lettera ai Galati, proprio per dimostrare che non c’è nessun altro Vangelo se non quello che è stato annunciato loro da lui stesso. Il resto è solo menzogna. “… Anche se noi o un angelo del cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi annunciammo, sia maledetto!” (Gal 1, 8). San Paolo inizia questa Lettera soffermandosi ancora una volta sulla testimonianza della sua storia personale: “Il Vangelo da me annunziato non è a misura d’uomo: infatti non lo ricevetti né l’appresi da un uomo, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Udiste certamente il mio modo di comportarmi un tempo nel giudaismo: perseguitavo oltre ogni limite la Chiesa di Dio e la devastavo, e superavo nel giudaismo molti coetanei del mio popolo, essendo più di loro difensore fanatico delle tradizioni dei padri. Quando poi piacque a Colui, che mi aveva separato fin dal seno di mia madre e mi aveva chiamato con la sua Grazia, di rivelare il Figlio suo in me, affinché lo annunziassi ai pagani…” (Gal 1, 11-16). In tutta questa prima parte della Lettera, Paolo sente l’esigenza di sottolineare che il Vangelo da lui predicato corrisponde a quello degli altri Apostoli. E ciò è testimoniato dal fatto che, durante la sua predicazione tra i Gentili, a Gerusalemme Pietro, Giovanni e Giacomo, non solo non lo fermarono né aggiunsero altro alla sua predicazione, ma gli tesero la mano in segno di comunione, riconoscendo la Grazia da cui era stato investito e chiamato. Ma san Paolo non si ferma a questo. Infatti, nella seconda parte della sua Lettera offre ai Galati - che giudica stolti, ammaliati e traviati - la possibilità di verificare e giudicare loro stessi, in tutta libertà e massima razionalità, attraverso un preciso richiamo dell’esperienza che è davanti ai loro occhi. Se sto facendo questo ulteriore passaggio è per aiutare a sentire questo richiamo come rivolto a noi, come aiuto a verificare l’esperienza di ciascuno e al giudizio di questa esperienza in noi. Scrive san Paolo: “O stolti Galati, chi mai vi ha incantato, vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Questo solo vorrei sapere da voi: avete ricevuto lo Spirito dalle opere della Legge o per aver ascoltato la parola della fede? Siete così privi di intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito ora volete finire con la carne? Tante esperienze, tante così grandi cose avete sperimentato invano? Colui che dunque vi dona lo Spirito e opera portenti e prodigi in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato e creduto alla parola della fede?... Un tempo, non conoscendo Dio serviste come schiavi dèi che in realtà non lo sono. Ora invece avendo conosciuto Dio, o meglio essendo stati conosciuti da Dio, come potete rivolgervi di nuovo agli elementi deboli e meschini, mettendovi di nuovo al loro servizio?... Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi sottomettere di nuovo al giogo della schiavitù. Ecco io, Paolo, vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. Attesto di nuovo a chiunque si fa circoncidere: è obbligato a osservare tutta la Legge (sei costretto ad andare fino in fondo a quello in cui hai deciso di confidare o di ritornare a confidare). Non avete più niente a che fare con Cristo, voi che cercate la giustificazione nella Legge (chi cerca ancora la giustificazione della propria vita nella legge - per noi nella legge della propria misura, delle proprie opinioni ed immagini, nella mentalità e nei “valori” del mondo). Siete decaduti dalla Grazia. Noi infatti, per virtù dello Spirito, aspettiamo dalla fede la giustificazione sperata…” (cfr Gal 3, 1-5; 4, 8-9; 5, 1-5).

Cosa fa san Paolo? Non fa altro che mettere davanti agli occhi dei Galati una esperienza reale che hanno certamente presente e un giudizio razionale e consequenziale alla libertà di ciascuno. L’esperienza reale alla quale san Paolo si riferisce è il dono dello Spirito Santo, testimoniato nell’evidenza di prodigi e di miracoli che lo stesso Spirito ha realizzato tra loro. Qualcosa che per i Galati è evidentemente un’esperienza riconosciuta, tanto da poter essere rimessa davanti a loro come criterio di giudizio per arrivare con certezza alla verità di ciò che ora li sta dividendo.

A questo proposito desidero far emergere brevemente l’interessante dibattito che si è svolto - tra studiosi ed esegeti delle Lettere di san Paolo - intorno alla traduzione della parola greca ἐπάϑετε (“epathete”), che troviamo nel capitolo 3 versetto 4, derivante dal verbo greco πάσχειν (“paschein”), che solitamente viene tradotto nel suo significato più comune di “patire”, “soffrire”. Quindi, anche in questo versetto della Lettera, il verbo πάσχειν (“paschein”) dovrebbe essere interpretato con il significato di soffrire, patire. Portando a pensare così che san Paolo, quando usa questa parola, vuole riferirsi ai patimenti, alle sofferenze che i Galati hanno vissuto in conseguenza della loro adesione a Cristo e che se ora abbandonassero risulterebbero vane. Ma, guardando bene tutto il contesto della Lettera, si evince che non è a questo che san Paolo si riferisce. Infatti, non c’è alcun riferimento a queste sofferenze, a questi patimenti in nessun altro momento della sua Lettera. Mentre invece è riferita - seppur in maniera essenziale - l’esperienza di prodigi e di eventi portentosi, conseguenza certa del dono accolto dello Spirito Santo e di quel Vangelo predicato e testimoniato da san Paolo. Ora - grazie ad uno studio più attento che ha riscontrato come nella letteratura greca questo verbo venga anche utilizzato nel significato di esperienza positiva, buona, favorevole - c’è stato un pacifico e recente consenso nell’interpretare in questo caso il verbo πάσχειν (“paschein”), da cui deriva la parola ἐπάϑετε (“epathete”) usata da san Paolo nel versetto 4 del capitolo 3, nel significato di esperienza positiva, buona, favorevole. Quindi il senso di τοσαῦτα ἐπάϑετε (“tosauta epathete”) è quello di un’esperienza segnata “da tante e così grandi cose”, di un’esperienza prodigiosa. Ed è proprio questo che ricaviamo nelle intenzioni di Paolo, che desidera portare i Galati, dentro questa circostanza di confusione e menzogna, a trovare il giudizio sulla verità del Vangelo proprio attraverso la memoria viva di ciò che hanno sperimentato e sperimentano. San Paolo di questa esperienza non parla in maniera particolareggiata. È certo però, in maniera chiarissima, che la fa dipendere dall’azione dello Spirito Santo. Ed è altrettanto certo che questa esperienza di prodigi dovesse risultare evidente, perché altrimenti non l’avrebbe rinnovata con questa chiarezza alla comunità dei Galati. E comunque, in un passo successivo di questa Lettera, al capitolo 5 versetto 22, non manca di elencare i frutti certi che lo Spirito Santo, e solo lo Spirito Santo, produce in coloro che si lasciano investire dalla Sua presenza e dalla Sua iniziativa: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé...”.

Insomma, l’intenzione di Paolo - chiamando in gioco la loro libertà e ragione nella memoria e nella verifica dell’esperienza vissuta - è quella di portare i Galati al giudizio, a giudicare loro stessi senza nessuna interferenza da parte di alcuno. “Colui che dunque vi concede lo Spirito Santo e opera portenti e prodigi in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete creduto, ascoltato la parola della fede?” (Gal 3, 5). È un fatto di lealtà con se stessi e con la realtà, di ragionevole e libero coinvolgimento e giudizio con la verità di ciò che hanno sperimentato grazie all’annuncio e alla conoscenza di Cristo come unico e vero Redentore e Salvatore. In queste parole emerge tutta la forza e la certezza dell’esperienza che Paolo stesso ha vissuto nella via di Damasco - certamente in maniera tutta particolare - incontrando la presenza di Cristo, ricavandone come razionale ed immediato giudizio tutta la menzogna che aveva ricevuto sulla figura di Gesù. Ed è ciò che vuole suscitare anche nei suoi “figli” della comunità dei Galati. Invitando anche loro a dare il giudizio sull’esperienza che - seppur diversa, per la sua particolarità - sola introduce e apre alla possibilità di verità e di certezza sull’avvenimento di Cristo e sul cammino attraverso cui conoscerlo e seguirlo. Quell’esperienza di segni evidenti e prodigiosi e anche di cambiamento umano, non può giustificarsi nella loro vita se non per l’incontro, il riconoscimento e l’adesione alla presenza di Cristo risorto, nell’iniziativa dello Spirito Santo, che san Paolo ha loro annunziato. Quello che trovo esaltante e confortante per me, per noi e per il nostro cammino, è constatare come san Paolo li accompagni a vivere questo giudizio, invitandoli ad usare pienamente la loro ragione nel coinvolgimento della loro libertà, per arrivare a questo riconoscimento dentro l’esperienza della realtà. Constatare come san Paolo non viva alcuna pretesa, ma stimi semplicemente il loro umano, invitandoli ad essere leali, ad usare fino in fondo la ragione rispetto all’esperienza vissuta, per arrivare liberamente e certamente ad un giudizio libero e certo.

Tutta questa esperienza pone e rinnova un parametro esemplare e ausiliare innanzitutto per ciascuno di noi, per la nostra vita e per il nostro cammino, vissuto e proposto. Un parametro esemplare ed ausiliare per tutto quello che possiamo ritrovare - in noi come nel nostro cammino - come inciampo ed obiezione, conseguenza di un cedimento a vecchie e meschine misurazioni con cui tentiamo di voler giustificare la nostra vita, le nostre scelte, il nostro tempo... facendoci ritrovare nella medesima situazione di stoltezza dei Galati. Ma è anche parametro esemplare ed ausiliare per ogni uomo. Perché proprio attraverso la vita della Chiesa, la vita della nostra Compagnia come segno della Chiesa, incontrata nell’esperienza viva e reale del nostro umano, ogni uomo possa arrivare ad incontrare la presenza di Cristo ora, raggiungere il medesimo giudizio di certezza sulla Sua presenza viva e risorta, e riconoscere la medesima esperienza di sublimità per la vita e di unica corrispondenza alle irriducibili esigenze del cuore. Tutto questo richiama un cammino che non può essere relegato solo all’incontro iniziale, ma che deve continuamente vivere ed emergere come esperienza nel seguito di ogni momento del nostro cammino. Diversamente è come un tradimento. Un tradimento verso il nostro umano, che chiede questa continua esperienza e che non può sopportare e accettare sospensioni da quel cammino, in cui solo è possibile ritrovare l’esperienza dell’avvenimento della presenza di Gesù sempre viva e con sempre maggiore certezza. Ma è anche un tradimento del metodo stabilito da Cristo stesso per l’incontro con la Sua presenza risorta che, come avvenimento e compagnia all’uomo, permane nel tempo di ogni uomo nella vita della santa Chiesa e di coloro che la testimoniano nella presenza di un umano che vive e opera nella storia. E che rende possibile quell’esperienza di contemporaneità con Lui vivo e risorto, che solo ci introduce alla continua certezza della Sua presenza reale. Sempre che la nostra libertà e la libertà di chi incontra l’avvenimento cristiano non si sottragga per arroganza, per chiusura, per indurimento o pregiudizio all’attrattiva sempre viva, vincente e irriducibile che la Sua presenza non manca mai di provocare nella vita degli uomini.

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