QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Dio è l’inizio sempre

Dall’approfondimento “Ma di' soltanto una parola ed io sarò salvato”

In tutto questo percorso che abbiamo vissuto finora, mi auguro che sia emersa in maniera evidente e soprattutto commovente per il nostro cuore, l’indomabile e incessante iniziativa del Signore verso ciascuno di noi. Tutto il Suo essere mobilitato nel Suo amore verso la vita di ciascuno, il Suo essere acceso di amore verso ciascuno di noi, sempre pronto a perdonarci, a riprenderci, a rialzarci e a recuperarci alla vita e alla verità. Mi auguro che vi sia risultato altrettanto evidente che è sempre e solo Sua l’iniziativa di venirci incontro, mosso solo dal Suo infinito Amore, dal Suo essere Amore e basta, dal Suo essere solo Misericordia. Anche l’origine e la vita della Santa Chiesa scaturiscono solo dalla Sua Misericordia. Benedetto XVI, nella sua altissima meditazione tenuta all’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, così si pronunciava parlando della Chiesa: “Noi non possiamo fare la Chiesa, possiamo solo far conoscere quanto ha fatto Lui. La Chiesa non comincia con il fare nostro, ma con il fare e il parlare di Dio. Così gli apostoli non hanno detto, dopo alcune assemblee: adesso vogliamo creare una Chiesa, e con la forma di una costituente avrebbero elaborato una costituzione. No, hanno pregato e in preghiera hanno aspettato, perché sapevano che solo Dio stesso può creare la Sua Chiesa, che Dio è il primo agente: se Dio non agisce, le nostre cose sono solo le nostre e sono insufficienti; solo Dio può testimoniare che è Lui che parla e ha parlato. La Pentecoste è la condizione della nascita della Chiesa: solo perché Dio prima ha agito, gli apostoli possono agire con Lui e con la Sua presenza e far presente quanto fa Lui. Dio ha parlato e questo «ha parlato» è il perfetto della fede, ma è sempre anche un presente: il perfetto di Dio non è solo un passato, perché è un passato vero che porta sempre in sé il presente e il futuro. Dio ha parlato vuol dire: «parla». E come in quel tempo solo con l’iniziativa di Dio poteva nascere la Chiesa, poteva essere conosciuto il Vangelo, il fatto che Dio ha parlato e parla, così anche oggi solo Dio può cominciare, noi possiamo solo cooperare, ma l’inizio deve venire da Dio. Perciò non è una mera formalità se cominciamo ogni giorno la nostra assise con la preghiera: questo risponde alla realtà stessa. Solo il precedere di Dio rende possibile il camminare nostro, il cooperare nostro, che è sempre un cooperare, non una nostra pura decisione. Perciò è importante sempre sapere che la prima parola, l’iniziativa vera, la vita vera viene da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando questa iniziativa divina, possiamo anche noi divenire - con Lui e in Lui -evangelizzatori. Dio è l’inizio sempre” (Benedetto XVI, 8 ottobre 2012).

È Lui quello che fa, è Lui quello che costituisce, è Lui che inizia e prende sempre l’iniziativa; è Lui che ci sceglie, è Lui che ci chiama, è Lui che ci riprende sempre, è Lui che detta il metodo. Noi possiamo essere solo la carne, la vita che si lascia investire da questa Sua continua iniziativa, da questo Suo operare continuo. E mostrare, nella realtà del nostro umano che vive, come la vita investita dalla Sua presenza e dal Suo operare si afferma in tutta la sua pienezza di senso e di compimento: nell’esperienza di una gioia piena, di una speranza certa, di una bellezza impareggiabile, di un recupero, di una ricostruzione e di una rinascita per noi assolutamente irrealizzabili, di una sorprendente capacità fuori dalla nostra portata, che solo ci rende “capaci” di vivere la vita dentro tutto il dramma del suo rapporto con la realtà. È proprio quello che abbiamo visto nei primi discepoli di Gesù, ed è quello che siamo chiamati a sperimentare sempre nella nostra vita perché possa diventare quella testimonianza per cui il Signore ci ha fatto Suoi e ci ha chiamato amici. È solo la presenza di Cristo risorto, la Sua paziente e permanente iniziativa di amore e di misericordia che rende quei poveri uomini - così fragili e pieni di paura e di incertezza, così ostinati nella loro incredulità e così lenti a comprendere - capaci, idonei e degni di essere Suoi testimoni. L’unica qualità di quelle donne e di quegli uomini è solo quella di aver visto il Risorto, di essere stati incontrati da Lui, di avergli parlato e di averlo toccato. E chi li renderà idonei e capaci di essere la prima carne, la prima umanità, la prima comunione attraverso cui si affermerà la Santa Chiesa? Sempre e solo la continua opera della Grazia di Cristo, che permanentemente li investirà attraverso l’azione dello Spirito Santo. Quindi nessuna capacità o forza particolare, nessuna coerenza o moralità indefettibili. Semplicemente l’essere stati scelti e chiamati da Gesù, l’essere stati testimoni di Cristo risorto, della forza travolgente della Sua resurrezione e l’azione dello Spirito Santo che, nella Pentecoste, li renderà definitivamente corpo mistico e comunione permanente della presenza di Cristo risorto. Non è una capacità che dobbiamo trovare in noi stessi ma, come ci ha detto Benedetto XVI, è quella che viene dall’esperienza del nostro lasciarci inserire nella Sua iniziativa divina. Solo questo avvenimento ci rende idonei e capaci di essere quella presenza e quella comunione permanente della presenza di Cristo risorto, di essere collaboratori e testimoni attuali e credibili della Sua continua opera redentiva verso ogni uomo. Questa è la modalità attraverso cui Cristo risorto permane nella storia e nel tempo degli uomini, facendosi incontrare come avvenimento presente. Infatti, nessun’altra manifestazione di Cristo potrà mai essere estranea o staccata dalla concretezza sacramentale della Santa Chiesa. È solo nella presenza, nella vita e nella comunione della Chiesa, e nella compagnia di chi vive questa vita e questa comunione, che Cristo risorto continua a lasciarsi incontrare, a mostrarsi e a riprendere “l’umanità sfinita da debolezza mortale”. È attraverso la vita della Chiesa - attraverso i suoi Sacramenti, la Parola di Dio sempre attualizzata e custodita dal Magistero, la comunione dei suoi pastori e di tutto il popolo credente con il Papa, attraverso la molteplicità dei carismi di cui lo Spirito Santo la fa sovrabbondare - che la presenza di Cristo continua e continuerà a manifestarsi, a farsi incontrare, a prendere l’iniziativa, a parlare, ad attirare, ad operare, a riprendere, perdonare, redimere, resuscitare e salvare la vita di ogni uomo. Fosse anche impantanata nella tragica condizione di errori, peccati e tradimenti, soggiogata da un’angosciante debolezza e fragilità, martoriata dall’esperienza di sofferenze e di dolori che lasciano senza fiato e spezzano le gambe. È solo dentro questa Vita lasciata partecipare, estendere e innestare alla nostra che Gesù ci fa partecipi e ci investe della Grazia della Sua resurrezione, aprendoci e accompagnandoci a vivere tutta la realtà, fin dentro la molteplicità di rapporti e circostanze drammatiche che altrimenti ci troverebbero perdenti e sconfitti in partenza. La presenza di Cristo risorto e vincitore non può che rimandare sempre alla vita intera della Chiesa. Senza di questa, l’avvenimento di Gesù rischierebbe di essere relegato ad un passato estraneo e lontano dalla vita presente, di non essere riconosciuto come avvenimento presente; rischierebbe di essere ridotto e sottomesso ad un’idea e interpretazione nostra o ad un vacuo e umorale sentimento, ad una mera legge morale, ad un messaggio valoriale e ideale, che non solo tradirebbe la sua vera natura ma soprattutto non risponderebbe all’assoluta dimensione del nostro umano e del nostro cuore.

Tutto quello che rende ragione dell’avvenimento della nostra compagnia è solo il suo essere segno e modalità attuale e operativa della vita e della comunione della Santa Chiesa, in cui lasciarsi incontrare, raggiungere e trasfigurare dalla potenza di Cristo risorto; in cui poter imparare a camminare nell’avvenimento della Sua resurrezione e della Sua vincente compagnia dentro la realtà del nostro vivere quotidiano. Un’esperienza che trova sempre il suo fondamento e il suo continuo rinnovamento nella vita sacramentale della Chiesa. Innanzitutto e originalmente nel battesimo, come afferma san Paolo nella sua Lettera ai Romani: “Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a Lui nella morte perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. Nel battesimo siamo irrevocabilmente afferrati da Cristo risorto, innestati nel Suo amore, liberati dal peccato, rigenerati come figli di Dio, incorporati nel Suo mistico corpo per poter camminare in una vita nuova in Lui. Una vita e un cammino che non possono non essere continuamente sostenuti e nutriti dalla comunione eucaristica, dalla comunione alla Carne e al Sangue di Cristo risorto che, come ci insegna il Catechismo della Chiesa, “conserva, accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel battesimo. La crescita della vita cristiana richiede di essere alimentata dalla comunione eucaristica, pane del nostro pellegrinaggio… La comunione accresce la nostra unione a Cristo. Ricevere l’Eucaristia nella comunione reca come frutto principale l’unione intima con Cristo Gesù. Il Signore infatti dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui». La vita in Cristo ha il suo fondamento nel banchetto eucaristico”. Una vita, un rapporto e una comunione con Gesù che non possono mai mancare dell’abbraccio della Sua misericordia. Perché solo nell’abbraccio della Sua misericordia, che riceviamo in tutta la sua realtà e pienezza nel sacramento della penitenza, la nostra vita è sempre perdonata, recuperata, rialzata e rimessa in cammino con Lui; è sempre riaffermata a immagine e somiglianza di Dio e nella comunione con tutti i fratelli che formano e segnano la comunione ecclesiale. Per poter vivere nell’avvenimento decisivo della presenza di Cristo risorto, nell’attualità del Suo amore, nell’incidenza trasfigurante e vincente della Sua resurrezione, occorre lasciarsi continuamente inserire dentro questa Vita, accogliendola e ricevendola come dei mendicanti e degli innamorati. Solo se siamo disponibili a partecipare alla vita della Chiesa in tutta la sua interezza, come sacramento della nostra salvezza, possiamo vedere e vivere in maniera sempre nuova e crescente quell’esperienza di pienezza e di compimento, quell’esperienza di gioia e di bellezza, quell’esperienza di amore impareggiabile, ritrovato come sguardo e passione verso tutto e tutti; insomma, quell’esperienza di redenzione e di vita nuova che Cristo ha acquistato per ogni uomo nella Sua passione, morte e resurrezione.

Papa Francesco lo ha confermato durante il Regina Coeli del Lunedì dell’Angelo di quest’anno: “Cristo ha vinto il male in modo pieno e definitivo, ma spetta a noi, agli uomini di ogni tempo, accogliere questa vittoria nella nostra vita e nelle realtà concrete della storia e della società. Per questo mi sembra importante sottolineare quello che oggi domandiamo a Dio nella Liturgia: «O Padre, che fai crescere la tua Chiesa donandole sempre nuovi figli, concedi ai tuoi fedeli di esprimere nella vita il sacramento che hanno ricevuto nella fede»… È vero, il battesimo che ci fa figli di Dio, l’eucaristia che ci unisce a Cristo, devono diventare vita, tradursi cioè in atteggiamenti, comportamenti, gesti, scelte. La Grazia contenuta nei sacramenti pasquali è un potenziale di rinnovamento enorme per l’esistenza personale, per la vita delle famiglie, per le relazioni sociali. Ma tutto passa attraverso il cuore umano: se io mi lascio raggiungere dalla Grazia di Cristo risorto, se le permetto di cambiarmi in quel mio aspetto che non è buono, che può far male a me e agli altri, io permetto alla vittoria di Cristo di affermarsi nella mia vita, di allargare la sua azione benefica. Questo è il potere della Grazia! Senza la Grazia non possiamo nulla!… E con la Grazia del battesimo e della comunione eucaristica possiamo diventare strumento della misericordia di Dio, di quella bella misericordia di Dio. Esprimere nella vita il sacramento che abbiamo ricevuto: ecco, cari fratelli e sorelle, il nostro impegno quotidiano, ma direi anche la nostra gioia quotidiana” (Papa Francesco, 1° aprile 2013).

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