QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

L'imprescindibile specificità del Cristianesimo

da Nel Frammento anno X numero 3

“Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso, Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui giacché sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità”. Prima di concludere desidero proporvi un ultimo momento di riflessione e di lavoro. Quando mi sono inoltrato nella lettura del racconto di Solov’ev, è stato immediato sentire vicinissima la presenza e la compagnia di quel grandissimo uomo e amico che è Charles Péguy. Soprattutto la struggente pregnanza di alcuni passaggi della sua opera Veronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale. Decido di proporveli perché ritengo che siano anch’essi di aiuto, proprio nella medesima direzione di tutto quello che ho potuto dirvi fino ad ora. Quello che Péguy innanzitutto ha esigenza di porre alla consapevolezza di tutti è ciò che lui stesso definisce come una novità imparagonabile con altri fenomeni accaduti nella storia: “Un mondo prospero, senza Gesù, tutta una società prospera, senza Gesù; un mondo, una società prosperi, incristiani - (senza Gesù) - dopo Gesù. Ecco, mio povero piccolo, cosa bisogna guardare. Ecco cosa bisogna riconoscere…”. Un mondo senza Gesù, dopo Gesù. Questo non era mai accaduto. Un mondo che, senza averlo censurato nominalmente, di fatto nega Gesù come avvenimento, nella sua vera natura di presenza nella storia. “Ecco che cosa bisogna riconoscere. Ecco cosa basta leggere, ciò che solo bisogna leggere sul libro dei fatti. Ecco allora cosa non vedranno i preti, quello che si rifiuteranno di vedere; ecco cosa non diranno i preti; ecco cosa negheranno, che i chierici negheranno ostinatamente; ecco cosa disconosceranno tanti cattolici con loro, quel che tutti i cattolici, con loro, dopo di loro, negheranno e disconosceranno. Ostinatamente, non meno ostinatamente di loro”. Ma com ‘è stato possibile questo mondo dopo Gesù, senza Gesù? “Per un errore di mistica. Infinitamente grave. Vicinissimo al cuore, il più vicino possibile al cuore del Cristianesimo”. Questo errore di mistica è l’aver svuotato fino a negare “il meccanismo stesso del Cristianesimo”. Come per san Giovanni l’anticristo è colui che nega che Gesù è venuto nella carne - lo abbiamo visto anche nella reazione dell’imperatore alle parole dello starets Giovanni, nel racconto di Solov’ev - così anche per Péguy la più grande eresia è aver negato “proprio quello che è davvero al cuore, quello che è proprio del Cristianesimo… Quell’incontro meraviglioso, unico, del temporale nell’eterno, e reciprocamente dell’eterno nel temporale, del divino nell’umano e mutuamente dell’umano nel divino… Ciò che sta al cuore stesso del Cristianesimo, quell’incastro tutto speciale di un pezzo nell’altro, così incredibile, se non si sapesse, quel singolare, quell’inverosimile incastro, quell’incastro rigoroso, esatto, straordinario di un pezzo nell’altro. Disfatto l’incastro, o dato per presupposto (dato per scontato, acquisito, già saputo) tutto cade”. Se neghiamo la possibilità dell’eterno di raggiungere il cuore di ogni uomo nel tempo e se viene meno il continuo stupore per l’agire della Grazia nel tempo, nell’umano e nella carne, chi può mettere in rapporto e far incontrare l’esigenza del cuore con l’inaudito avvenimento del Cristianesimo? Negando o svuotando la presenza dell’eterno e l’operare della Grazia nel tempo, si snatura e pian piano viene meno proprio il dinamismo dell’avvenimento cristiano e la sua incidenza nel tempo, nell’umano e nella carne di ogni uomo. Tutto cade. “Tutto ciò che sta al centro è questo. Il coinvolgimento del temporale nell’eterno e dell’eterno nel temporale. Tolto questo coinvolgimento non c’è più niente. Non c’è più un mondo da salvare. Non ci sono più anime da salvare. Non c’è più alcun Cristianesimo. Resta spostato anche lui, smontato della sua stessa tecnica, da tutto quello che costituisce la sua tecnica propria: non c’è più né tentazione, né salvezza, né prova, né passaggio, né tempo, né niente. Non c’è più né redenzione, né incarnazione, e neanche creazione. Non ci sono più né ebrei né cristiani. Non ci sono più le promesse, né mantenere le promesse, compiere le promesse, le promesse mantenute. Non c’è più Cristianesimo, non c’è più niente… Non c’è più l’operare della Grazia…”. Non c’è più l’avvenimento di quella continua iniziativa della Grazia che ha la sua visibilità, la sua testimonianza visibile e incontrabile proprio nel suo accadere nel tempo e nel suo investire l’umano che vive nel tempo. “Cade tutto, non c’è più né Cristianesimo né niente. Non c’è più quella storia meravigliosa, unica, straordinaria, inverosimile eterna temporale eterna, divina umana divina, quel punto di intersezione, quell’incontro meraviglioso, unico, del temporale nell’eterno e reciprocamente dell’eterno nel temporale, del divino nell’umano e mutuamente dell’umano nel divino. Non c’è più il Cristianesimo, non c’è più quella meravigliosa concatenazione, unica. Non c’è più la caduta e la redenzione, quei due pezzi speciali incastrati così perfettamente l’uno all’altro in tutto l’incastro totale. Ecco, amico mio, ecco il Cristianesimo, di quello vero. Il resto, amico mio, tutto il resto, diciamo che tutto il resto è ottimo per la storia delle religioni… Tutto il resto rimane una eccellente materia di insegnamento”. Che cosa rimane allora? Anche qui Péguy risulta geniale: rimane una mistica, una mistica contro la mistica cristiana. Come alternativa non rimane l’ateismo o un edonismo. Per Péguy non sono cose particolarmente pericolose. Ciò che è pericoloso è una mistica contro la mistica cristiana. “… Noi ci muoviamo continuamente tra due bande di preti: i preti laici e i preti ecclesiastici, i preti clericali anticlericali e i preti clericali clericali. I preti laici che negano l’eterno del temporale, che vogliono disfare, smontare l’eterno del temporale, quello che sta dentro il temporale; e i preti ecclesiastici che negano il temporale dell’eterno, che vogliono disfare, smontare il temporale dell’eterno, quello che sta dentro l’eterno, e gli uni e gli altri non sono affatto cristiani, perché la tecnica del Cristianesimo, la tecnica e il meccanismo della sua mistica, della mistica cristiana è questa…”. L’imprescindibile specificità del Cristianesimo è l’eterno che rimanendo eterno nasce nel tempo e nella storia. Insiste Péguy: “… Perché la mistica stessa del Cristianesimo è questa: è il coinvolgimento di un pezzo di meccanismo nell’altro, è un incastro di due pezzi, quel coinvolgimento speciale, unico, reciproco, impercettibile, non smontabile; dell’uno nell’altro e dell’altro nell’uno; del temporale nell’eterno, e (ma soprattutto, cosa più spesso negata), (ciò che è in effetti la cosa più meravigliosa) dell’eterno nel temporale, nel tempo”. In un successivo passaggio così continua a spiegarlo: “Chi nega l’eterno può solo cadere in una specie di materialismo. Non è un grandissimo pericolo. È inoffensivo per la sua rozzezza… Completamente diversa è invece la mistica contraria. La mistica, quella che nega, quella che nega il temporale dell’eterno, quella che vuole disfare, togliere, smontare il temporale dall’eterno, è come più specificatamente anticristiana…”. In quanto è proprio “ciò che sta al cuore del Cristianesimo… ciò che è solo del Cristianesimo, quel tipo particolare di coinvolgimento, di incardinamento, quell’inserimento, quell’incastro, quell’incardinamento incredibile, incredibilmente profondo del temporale nell’eterno… Diversamente si cade dentro mistiche particolarmente pericolose… Si arriva a mistiche particolarmente pericolose… Diversamente si giunge a quei vaghi spiritualismi, idealismi, immaterialismi, religiosismi, panteismi, filosofismi, così pericolosi, perché non sono rozzi, si cade dentro quelle vaghe mistiche spiritualiste, idealiste, immaterialiste, religiosiste, panteiste, filosofiste, così seducenti. Là, allora, c’è concorrenza. E c’è peccato e dispersione”. Sono “mistiche” che non negano apparentemente nulla del fatto cristiano, dell’avvenimento dell’incarnazione. Ma lo snaturano, lo svuotano, lo riducono, e di fatto non rimane nulla del Cristianesimo. Se si nega questo inaudito legame, questo sorprendente rapporto tra la Grazia e l’umano, tra l’eterno e la carne, tra l’eterno e il temporale, “non c’è più niente”. Anzi, dice Péguy, si corre il rischio di cadere e di trovarsi posseduti dalla deleteria morsa della menzogna di vaghi e seducenti spiritualismi. Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso, Lui e tutto ciò che deriva da Lui. Quello che abbiamo di più caro, non solo nel Cristianesimo, ma per la vita di ogni uomo, a partire dalla nostra, è Gesù, “il coinvolgimento dell’eterno nel temporale e del temporale nell’eterno… Quell’incontro meraviglioso, unico del temporale nell’eterno e reciprocamente dell’eterno nel temporale, del divino nell’umano e mutuamente dell’umano nel divino”. Quello che abbiamo di più caro è questo operare della Grazia nel tempo, nell’umano, nella carne degli uomini, la cui presenza è proprio visibile nell’esperienza di un umano che vive. Come non riconoscere anche in questi passaggi dell’opera di Péguy - come nel racconto di Solov’ev - un drammatico realismo. Come non riconoscere l’assoluta attualità di questo feroce e drammatico richiamo per tutta la Chiesa, e quindi anche per noi. Guai a non sentirci interpellati in prima persona, come se “la cosa” non ci riguardasse. Perché possiamo essere noi i primi a ridurre il Cristianesimo ad un discorso buono solo per un insegnamento della religione. Ad una realtà spiritualistica e sentimentale che non tocca la nostra carne, il nostro umano, il nostro tempo, il nostro cuore. In cui, nominando Cristo, affermiamo qualcosa di aleatorio, di estraneo alla nostra vita reale, al nostro tempo quotidiano, all’esperienza del nostro umano. Estraneo al nostro vero bisogno, alle esigenze del nostro cuore. Ma anche estraneo all’esperienza drammatica di un umano segnato da paure, angosce, miserie, tradimenti e peccati. Un umano così chi sarebbe capace di incontrarlo, abbracciarlo, perdonarlo, liberarlo, riaffermarlo e salvarlo? Tutto il lavoro che ho desiderato vivere con voi dentro questo incontro, è solo per la possibilità che Cristo sia realmente riconosciuto come avvenimento reale e decisivo della vita, da cui lasciar incontrare e investire tutto il nostro umano. Perché sia realmente Colui che abbiamo di più caro, e vissuto come Colui che abbiamo di più caro. Ma è un lavoro che ci riguarda sempre, che attende ciascuno di noi sempre. Che attende il coinvolgimento dell’umano leale, umile e povero di chi tende sempre alla verità di sé, di chi è disposto a lasciarsi spogliare di tutto ciò che continua a rivestire indebitamente la propria vita. Lasciarsi strappare da interpretazioni, pensieri, criteri e valutazioni menzognere, disumane e meschine, che spesso si fa di tutto per continuare a nascondere e a difendere dentro di sé. Che non solo non si è disposti ad affrontare e a giudicare, ma in cui non si lascia entrare nessuno. Un lavoro che interpella la responsabilità di ciascuno verso l’esperienza reale della nostra amicizia, perché la fede sia sempre l’avvenimento che investendo la vita la fa emergere in quella fulgida esperienza di novità e di pienezza, di gioiosa, intelligente e caritatevole fecondità umana. Che solo ci costituisce uomini e protagonisti nella realtà del mondo. Uomini mobilitati e commossi proprio dall’esperienza di un’assoluta sublimità ritrovata nel proprio umano. Mendico per ciascuno di voi un atteggiamento del cuore che sia così povero e affamato da poter trovare in questa ulteriore iniziativa di Grazia una reale possibilità di conversione, di rinnovamento e radicamento autentico della vita in Gesù Cristo. A questa fame non mancherà mai l’iniziativa della Grazia. Stiamo attenti a non mancare noi. A non mancare io e te, con tutto il nostro umano coinvolto e sempre in gioco. A non mancare io e te, nella continua esperienza di una incessante preghiera, di una sequela umile, di un lavoro serrato e di una vera amicizia, che non possono mai venire meno. Che solo ci potrà far identificare e immedesimare con il cuore dello starets Giovanni, con il cuore di uomini come Péguy, come san Paolo, sant’Agostino, san Tommaso e di tutti quei santi e quei martiri che abbiamo incontrato in tutti questi anni. Per affermare con loro: “Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso, Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui”. Nicolino Pompei

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