QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso

Dall’approfondimento “Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso”

Quando si è trattato di scegliere la provocazione tematica del nostro 20º Convegno, ho voluto lasciarmi investire profondamente dalla domanda su quale potesse adeguatamente affermare il cammino di questi vent’anni.

Riconoscere quello che non poteva essere assolutamente taciuto e non affermato. È stato in quel momento che mi sono ritrovato nel cuore le parole che abbiamo messo a tema. Riconosciute come le più adeguate ed essenziali per dire ciascuno di noi e per dire la nostra Compagnia. Niente di precostituito, niente di formale ma semplicemente quello che ho ritrovato più coincidente, più corrispondente al cuore. Al mio come al cuore di ciascuno di noi, e del cammino della nostra Compagnia. “Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso”. Come sapete, è un'affermazione presa da Il racconto dell'anticristo di Vladimir Solov'ev. Non è questa la sede per approfondire questa brevissima opera e per incontrare quel grandissimo uomo, un genio e un profeta, quale io ritengo Solov'ev. Desidero solamente introdurvi al contesto e al momento in cui emerge. La troviamo alla fine del racconto, pronunciata dallo starets Giovanni - uno dei personaggi decisivi - di fronte all'imperatore - figura rappresentativa del potere del mondo. Nel racconto, l'anticristo è un uomo che riesce a farsi eleggere prima presidente degli stati uniti d'Europa e successivamente imperatore degli stati del mondo. La sua intenzione è quella di portare un’apparente pace fra tutti i popoli, di costruire un regno di pace sulla terra, inglobando in un’apparente unità e uguaglianza tutte le forme di appartenenza religiosa, nell'unico e vero intento di esplicitare il suo assoluto dominio sul mondo. Per questo ha anche bisogno dell'asservimento della Chiesa. Di una Chiesa che in qualche modo deve essere ridotta nella sua vera essenza e costituzione, per risultare assistente spirituale, etico e morale del suo potere. L'imperatore indice e convoca un grande concilio, in cui ogni rappresentante delle diverse confessioni possa esplicitare esigenze e richieste alle quali - solo per il suo perverso disegno di assoluto dominio - desidera prontamente rispondere. Così, pur di dimostrare la sincerità e la bontà del suo intento, offre concessioni che appaiono altamente generose ai cristiani delle diverse confessioni. E man mano che queste richieste vengono soddisfatte, i loro rappresentanti sono chiamati ad avvicinarsi e ad unirsi gioiosi al loro imperatore, come segno di totale sottomissione alla sua signoria. Ma al termine di questo tentativo, portato avanti dall'imperatore con assoluta persuasività ed efficacia, rimane un piccolo gruppetto, imperturbabile alle sue concessioni e non disposto a cedere alle sue lusinghe. È un piccolo gruppo che si ritrova solo e spontaneamente stretto alle sue autorità. Autorità che Solov'ev rappresenta nelle figure dello starets Giovanni, del Papa Pietro e del professor Pauli. È l'unico passaggio che vi leggo di tutto il racconto. “Con accento di tristezza, l' imperatore si rivolse a loro dicendo: che cosa posso fare ancora per voi? Strani uomini! Che volete da me? Io non lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento popolare; che cosa avete di più caro nel Cristianesimo? Allora simile a un cero candido si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con dolcezza: grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel Cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità. Da te, o sovrano, noi siamo pronti a ricevere ogni bene, ma soltanto se nella tua mano generosa noi possiamo riconoscere la Santa mano di Cristo. E alla tua domanda che puoi tu fare per noi, eccoti la nostra precisa risposta: confessa, qui ora davanti a noi, Gesù Cristo figlio di Dio che si è incarnato, che è resuscitato e che verrà di nuovo; confessalo e noi ti accoglieremo con amore...”. L'imperatore è messo con le spalle al muro. Ed è il momento in cui la sua vera natura di anticristo e il suo diabolico disegno cominciano a mostrarsi in tutta la loro evidenza. Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso, Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui: è tutto quello che rende ragione della vita, della presenza e della missione della Santa Chiesa. È tutto il cuore dell'annuncio cristiano. È tutta la pretesa del Cristianesimo. Che mai deve risultare verità scontata o acquisita una volta per tutte. Che mai come oggi è urgente riaffermare, e che fa di questo racconto degli inizi del Novecento una profezia e un urgente richiamo per tutta la Chiesa. A partire da noi. Il riconoscimento della presenza di Gesù Cristo, di Lui stesso e di tutto ciò che viene da Lui è “quello che abbiamo di più caro” perché è tutta l'essenza stessa del Cristianesimo, l'essenza stessa della vita della Chiesa e della sua missione nel mondo. Gesù Cristo è Colui che non si può mai tacere. È Colui che, venendo meno, fa venire meno tutto. Non solo il Cristianesimo. Non solo la realtà della Chiesa - con la sua vita e il suo operare nella storia - in tutta la sua ragion d'essere. Fa venire meno tutta la verità di ogni uomo e il significato veramente esauriente della vita. La piena soddisfazione al desiderio di felicità di ogni uomo e l'avvenimento della sua speranza e della sua salvezza. In quel “piccolo resto”, un piccolo gregge di uomini e donne, non formato da alcuna eccellenza intellettuale o teologica - quelli sono già uniti all'imperatore! - né da una particolare avanguardia morale, c'è tutta la semplice testimonianza di fedeltà alla Verità, a Cristo e alla sua Chiesa, in un’assoluta indisponibilità ad accettare qualsiasi tipo di riduzionismo che li faccia trovare servi di altri signori e padroni al di fuori di Cristo, unico e vero Salvatore e Signore. Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui. Se sono qui non è certamente per una autocelebrazione. Se ho accolto ancora una volta l'invito ad essere tra voi e a vivere questo intervento, è solo per affermare quello che il mio cuore non può tacere della mia vita e di questi vent’anni di cammino della nostra Compagnia. Attenti bene. Non per affermare la mia vita, la nostra Compagnia, questo nostro Convegno, tutta quella umanità mobilitata e compromessa in attività di carità o nella costruzione di opere. Non per affermare quello che si è fatto o che non si è fatto in questi vent'anni. Quello che potevamo fare o quello che si doveva fare. Nessuna autocelebrazione personale o di ruoli, iniziative, attività e opere. Tutto quello che c'è e vive nella vita della Compagnia, la Compagnia stessa, il nostro Convegno e tutte quelle iniziative comunitarie o di responsabilità personale, o ci sono per affermare che quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso oppure sono uguali a niente. Tutto quello che c'è e vive in noi come nella nostra Compagnia, non può che esserci per testimoniare la Sua presenza come la presenza in cui consiste la salvezza di ogni uomo. Per testimoniare che in Lui - come dice lo starets Giovanni riprendendo san Paolo nella sua Lettera ai Colossesi - “dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità”, e quindi l'unica possibilità di pienezza e compimento di ogni uomo. Cosa possiamo avere di più caro se non Colui in cui consiste tutta la pienezza della divinità e quindi tutta la nostra pienezza? Eppure è proprio questa domanda che ora deve trovarci aperti e disponibili ad un serio, leale e profondo lavoro di verifica. La domanda stessa, prima ancora che la risposta che sicuramente daremmo. Possiamo anche trovarci pronti ad accoglierla. Ma quanto siamo disposti a lasciarci colpire e a lasciarla penetrare in noi per una verifica seria e leale di ciò che veramente abbiamo di più caro? È una domanda che non può che colpire tutto il nostro essere, che ci deve trovare disponibili ad una reale spoliazione perché possa toccare la profondità di noi stessi, dove poter sentire l'urgente e necessaria portata vitale che questa porta in sé. Domandarsi su quello che abbiamo di più caro è verificarsi su un avvenimento decisivo, necessario, irrinunciabile, indispensabile, imprescindibile, fondamentale, vitale. Da cui si dipende in tutto e per tutto. Chi o che cosa può essere così caro nella e per la nostra vita, da risultare così decisivo, necessario, indispensabile, irrinunciabile, imprescindibile, fondamentale e vitale?

Nicolino Pompei

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