QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Solo chi lo prova può credere cosa sia amare Gesù

Dall'approfondimento "La bocca non sa dire, né la parola esprimere: solo chi lo prova può credere cosa sia amare Gesù"

Jesu dulcis memoria, dans vera cordis gaudia, sed super mel et omnia Eius dulcis praesentia...

O Gesù, ricordo di dolcezza, dolce memoria, sorgente di vera gioia al cuore. Ma di una dolcezza più dolce del miele e sopra ogni dolcezza è dolcezza la sua Presenza. È proprio l’espressione umana del cuore di un uomo segnato dalla memoria di Cristo. Una dolcezza rappresentativa di tutto quello da cui il cuore si sente avvolto e compenetrato nella memoria di Cristo, che non ha paragone con quello che normalmente sentiamo della dolcezza. È la  misteriosa dolcezza dell’incontro del cuore con l’Amore, con “l’Amato del mio cuore”, come afferma la sposa nel Cantico dei Cantici. Con l’Amore che “omne cosa conclama”, come dice Jacopone da Todi. Vorrei farvela sentire anche attraverso la testimonianza del grande san Francesco, segnato fin dentro l’evidenza della carne da questo Amore. L’esperienza della dolcezza in lui è così determinante che assume perfino connotazioni fisiche: “D’improvviso il Signore lo visitò e ne ebbe il cuore riboccante di tanta dolcezza che non poteva né muoversi né parlare, non percependo se non quella soavità... e da allora smise di adorare se stesso, e persero via via di fascino le cose che prima amava... svincolandosi man mano dalla superficialità si appassionava a custodire Cristo nell’intimo del suo cuore... e quasi ogni giorno si immergeva segretamente nell’orazione. Vi si sentiva attirato dall’irrompere di quella misteriosa dolcezza che, penetrandogli sovente nell’anima, lo sospingeva alla preghiera perfino quando stava in piazza o in altri luoghi pubblici” (Leggenda dei Tre Compagni). Ricordiamo tutti il racconto della celebrazione del Natale davanti al primo presepio proprio da lui realizzato. Ad un certo punto nella “Vita prima” si dice: “... E ogni volta che diceva Bambino di Betlemme o Gesù passava la lingua sulle labbra quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole”. San Bonaventura nella “Leggenda Maggiore” riferisce: “Diceva i salmi con estrema attenzione, come se avesse Dio presente, e quando nella recita capitava di pronunciare il nome del Signore lo si vedeva leccarsi le labbra per la dolcezza e la soavità... quando, poi, pronunciava o udiva il nome di Gesù, ricolmo di intimo giubilo, lo si vedeva trasformarsi anche esteriormente, come se un sapore di miele avesse impressionato il suo gusto, o un suono armonioso il suo udito”.

Infatti, Nil canitur suavius, nil auditur iucundius, nil cogitatur dulcius quam Jesus Dei Filius. Nulla si canta di più soave, nulla si ode di più giocondo, nulla di più dolce si pensa che Gesù Figlio di Dio. Non c’è niente di più soave, che apporti una più grande gioia e un’immensa dolcezza, di Gesù. Ma questo non a discapito di qualcuno o qualcosa, né di noi stessi né delle persone che amiamo. Vivere segnati e costituiti dalla presenza e dall’amore di Cristo significa vivere nell’Avvenimento illuminante, significativo ed esaltativo di ogni momento dell’esperienza umana. Non a scapito dell’esperienza umana. “Egli non toglie nulla e dona tutto” (Benedetto XVI). È proprio dentro l’esperienza umana che riceviamo e sorprendiamo la realtà di ciò che le parole dell’inno affermano. Jesu, spes paenitentibus, quam pius es petentibus, quam bonus Te quaerentibus, sed quid invenientibus? Gesù, speranza di chi si pente e ritorna al bene, quanto sei pietoso verso chi ti supplica e ti desidera, quanto sei buono verso chi ti cerca, ma che sarai per chi ti trova? Come è facile sbagliare, tradire, strapparci dal bene... noi sappiamo quanto è facile... e sentiamo impossibile questo ritornare alla vita e al bene. È infatti impossibile, se non perché è il Sommo Bene che nella sua misericordia ci viene incontro e ci riammette continuamente a Lui nella presenza di Cristo e attraverso la Sua redenzione. Nella salvezza e redenzione che Cristo ha acquistato nella sua morte in croce per ogni uomo, ad ogni uomo è riaperta una strada altrimenti impossibile, la strada di un continuo ritorno e di una rinascita alla vita. Allora è ancora più facile immettersi in questa strada. Lo abbiamo visto nella figura del pubblicano come in quella del paralitico. Lo abbiamo sentito nelle parole di san Bernardo. Ma se già nella mendicanza e nel desiderio la vita è investita e risollevata dalla Sua pietà che è Misericordia, che sarà quella di chi lo trova, lo riconosce e lo lascia entrare? Qui si attesta e si chiarisce ancora una volta la parola testimonianza. Da quei primi uomini fino all’ultimo di noi, la vera vocazione di ciascuno è quella di rendere ragione di che cosa significa trovare, riconoscere, ospitare e amare Gesù. Jesu dulcedo cordium, fons vivus lumen mentium; excedens omne gaudium et omne desiderium. Gesù, dolcezza del cuore, fonte viva e luce della mente; al di là di qualsiasi gioia e qualsiasi desiderio. La presenza di Cristo non è definibile in una qualsiasi gioia o riducibile ad uno dei tanti desideri umani. La sua Presenza non può che essere Totalmente Altro, Infinitamente Altro. La sua Presenza supera ed è Altro da qualsiasi immagine di gioia umana e da qualsiasi immagine di desiderio e di risposta al desiderio ci facciamo. Per questo è la sola capace di investire di luce la mente, di irrigare e fecondare permanentemente la vita, di rivelare e rispondere alla verità del nostro desiderio. Ed è la sola capace di apportare la gioia. Non solo a noi impossibile, ma “totalmente un’altra cosa” da qualsiasi definizione possiamo avere di essa. Nec lingua valet dicere, nec littera exprimere, expertus potest credere quid sit Jesum diligere. Ecco il tratto dell’inno che abbiamo messo a tema del nostro Convegno. La bocca non sa dire, la parola non sa esprimere… né la lingua è capace di dirlo, né qualsiasi scrittura è in grado di esprimerlo... solo chi lo prova, chi ne fa esperienza è in grado di sapere e può credere che cosa sia amare Gesù. Nella nostra esperienza umana già verifichiamo come momenti essenziali come l’amore, pur espressi con struggenti e profondissime parole, ci trovino incapaci di affermarli in tutta la loro portata ed essenza. La bocca non si sente mai capace e non riesce ad esprimere adeguatamente l’impeto e la forza di coinvolgimento di fattori come l’amore. Ora, la presenza di Cristo non è un’idea partorita dall’uomo. Ma la sconvolgente rivelazione di Dio nella storia, nella presenza e nella compagnia di un Uomo chiamato Gesù. Ed è una presenza che, proprio perché Presenza e Presenza permanente nella storia, si può solo incontrare e sperimentare. Per questo c’è la Chiesa, per questo ci siamo noi. E la bocca, le parole, gli scritti che pur lo affermano, che sono chiamati ad affermarlo, non possono che portare il segno vivo, la memoria viva di quest’esperienza, riconoscendo sempre l’inadeguatezza rispetto a ciò che portano ed affermano. E comunque sempre sottomettendosi alla insostituibilità dell’esperienza umana, che sola li rende credibili alla vita di altri. Papa Benedetto XVI, nella Deus Caritas est, scrive: “Il Signore sempre di nuovo ci viene incontro attraverso uomini nei quali egli traspare”. Se non fosse così, se non fosse un’esperienza che si può incontrare e si può sperimentare nell’umano e nella vita in cui Egli traspare come Presenza viva e presente, come poterlo riconoscere, come potrebbe essere Avvenimento in tutti e per tutti, come potrebbe essere provocazione alla ragione e alla libertà di ogni uomo? La testimonianza è proprio l’affermazione di un’esperienza in atto, il rendere ragione di un’esperienza attuale che indica il cammino, la strada, il metodo per ogni uomo, per la libertà e la ragione di ogni uomo. Perché possa riconoscere e sapere che cosa sia amare Gesù. La preghiera dell’Invitatorio ci introduce al primissimo mattino con queste parole: “Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode”. Siamo chiamati a proclamarlo anche con la bocca, ma la capacità di questa affermazione è tutta nella domanda e nell’apertura alla Sua iniziativa perché possa essere affermato, come lode e gloria, nella nostra esperienza umana. Il punto allora non è non dire, non esprimere. Ma riconoscere sempre l’originale sproporzione con la Presenza e l’Amore da cui la vita è investita e di cui è solo possibile fare esperienza in una continua ospitalità, convivenza, sequela e abbandono. Sorprendendo l’espressione di umanità che è realmente rappresentata da queste parole dell’inno. Nella concretissima risposta di Gesù alla elementare domanda di Giovanni e Andrea: Dove abiti? Dove stai?, troviamo l’essenza e il cuore della proposta cristiana: Venite e vedrete. Che cosa significa amare Gesù? Venite e vedrete. Più semplice, concreto, libero, razionale e reale di questo...!!!

Jesu Rex admirabilis et triumphator nobilis, dulcedo ineffabilis, totus desiderabilis. Mane nobiscum Domine et nos illustra lumine, pulsa mentis caligine, mundum reple dulcedine. Gesù, Re ammirabile e nobile trionfatore, dolcezza ineffabile, totalmente desiderabile. Rimani con noi Signore e illuminaci con la tua luce, dissipa l’oscurità, la caligine della nostra mente; reso puro, riempimi di dolcezza. “Rimani con noi, resta con noi Signore, perché si fa sera...”, fu la struggente richiesta dei discepoli di Emmaus. Se Tu non sei con noi e non rimani con noi, noi non possiamo stare e rimanere con Te. È solo la tua Presenza sfolgorante di luce che può dissipare l’oscurità delle tenebre che avvolgono così spesso la nostra esistenza, che occupano prepotentemente la nostra mente, i nostri pensieri, riempiendo la vita di paure ed insicurezze. Quando cor nostrum visitas tunc lucet ei veritas, mundi vilescit vanitas et intus fervet Caritas. Quando fai visita al nostro cuore, allora rifulge su di esso la verità e perde valore la vanità del mondo e dentro di sé arde solo la Carità. La vita investita dalla luce della presenza di Cristo smaschera l’inconsistenza e la vacuità di quello che il mondo stabilisce come valore o necessità e a cui troppo spesso consegniamo e assicuriamo la vita. Non perde valore la vita, non perdono valore i rapporti e le cose, ma l’interpretazione che noi ne facciamo, la presuntuosa misurazione con cui le viviamo e possediamo, l’irrazionale e idolatrica fiducia che gli accordiamo consegnandogli la risposta e la soddisfazione della vita. Nella sua luce tutto è investito, rivelato e affermato nella verità, nella vera possibilità di possesso e come fecondità per la vita nostra e di tutti. Tutto si accende, arde e si illumina nella legge della Carità, nella “totalmente altra misura” del suo Amore, in cui sempre, veramente e nuovamente, si affermano e si ritrovano persone e cose. Jesum omnes agnoscite, amorem eius poscite, Jesum ardenter quaerite, quaerendo in ardescite. Riconoscete tutti Gesù, chiedete il suo Amore, cercate ardentemente Gesù, e nel cercarlo, nel domandarlo ardete, infiammatevi. Riconoscere Gesù, riconoscere, conoscere, amare Gesù è tutta la ragione della vita, della vita di ogni uomo. Perché è la possibilità di riconoscere, conoscere, amare la vita e il rapporto con la realtà in tutta la sua consistenza, la sua verità, la sua possibilità e sviluppo, fino al suo compimento. Ancora una volta il dinamismo di questo rapporto poggia tutto sulla domanda continua e assolutamente mendicante di Lui e del suo Amore. Una tensione mendicante e infiammata di ardore dalla stessa domanda di Lui. Jesu flos Matris Virginis, Amor nostrae dulcedinis: tibi laus honor numinis Regnum beatitudinis. Jesu summa benignitas, mira cordis iucunditas, in comprehensa bonitas: tua me stringit Caritas. Gesù fiore di Madre Vergine, Amore della nostra dolcezza: a Te la lode e l’onore della potenza e il Regno dell’assoluta beatitudine. O Gesù, somma e suprema bontà, gioia straordinaria del cuore e insieme tenera benevolenza: la tua Carità mi avvolge e mi strugge. Caritas Christi urget nos, afferma san Paolo, l’Amore di Cristo è tutto ciò che ci strugge, ci urge e ci spinge. Iam quod quaesivi video, quod concupivi teneo; amore Jesu langueo et corde totus ardeo. Vedo già ciò che ho cercato, ciò che ho cercato mendicandolo. Possiedo tutto ciò che ho ardentemente desiderato e che forma tutto il mio desiderio; languo d’amore o Gesù, per te o Gesù, e ardo tutto nel mio cuore, in tutto il mio cuore. O Jesu mi dulcissime, spes suspirantis animae, te quaerunt piae lacrymae et clamor mentis intimae. O Gesù mio dolcissimo, tu sei la speranza dell’anima che sospira, ti cercano mendicanti le lacrime pietose e il grido del profondo dell’animo. Non c’è preghiera più espressiva di quella fatta e vissuta nell’esperienza delle lacrime, del pianto. Nella Liturgia antica c’è stato un momento in cui era presente la richiesta del dono delle lacrime: è molto più semplice e facile affermare la domanda, il grido o anche la gioia della vita perdonata con le lacrime che con le parole stesse. Sis, Jesu, nostrum gaudium, qui es futurus praemium: sit nostra in te gloria, per cuncta semper saecula. Amen. Sii, o Gesù la nostra gioia, tu che sarai l’eterno premio; sia in te la nostra gloria, per ogni tempo. Amen. La vita che riconosce Cristo e che vive nella sua memoria non può che sentirsi rivelata, definita e afferrata dall’esperienza che vibra dentro queste parole. Dentro qualsiasi condizione o situazione essa si possa perdere, ferire, indebolire, la presenza certa di Gesù che genera queste parole risulta insopprimibile e vincente su tutto. Resta comunque più forte il grido profondo del nostro cuore e la sicura speranza a cui tutta l’anima sospira. Resta comunque più forte la certezza dell’unica possibilità della gioia nella sua Presenza come preludio della felicità eterna. Ed emerge lo struggente desiderio che la nostra gloria sia tutta nella glorificazione della sua Presenza.

Nicolino Pompei

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