QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Sono io, non abbiate paura!

Dall’approfondimento “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?”

Lasciamoci ancora aiutare attraversando altri momenti. L’avvenimento che vedremo confermato è questa costante iniziativa di Gesù verso di noi, questa Sua instancabile tensione a riprenderci e a ricondurci a Lui, in cui non siamo mai abbandonati alla mercé ultima della nostra presuntuosa e ostinata misurazione della vita e della realtà. È un cammino paziente, incessante, instancabile. È un’esperienza che i discepoli hanno già vissuto e che si è mostrata evidente, anche dentro la loro ostinata incredulità, in tanti momenti dei tre anni della loro convivenza con Gesù. Quindi prima ancora di quelli in cui Gesù appare loro risorto. Per esempio, nella circostanza in cui gli apostoli, mentre si trovano di notte con la loro barca, vengono colpiti da un’improvvisa tempesta, con un vento fortissimo che agita le acque a tal punto da provocare delle onde che si abbattono sulla barca rischiando di ribaltarla. C’è il serio rischio di cadere in acqua e di affogare. È buio, il mare è sempre più agitato, la barca è alla mercé delle onde e Gesù non è presente. C’è anche il vano tentativo di remare per cercare di non ribaltarsi e arrivare con le proprie forze all’altra riva. Ma non ce la fanno, perdono sempre più il controllo e si sentono in preda allo smarrimento, all’angoscia e alla paura. È perfettamente descritta l’esperienza del nostro umano quando si trova a vivere il mare tempestoso del rapporto con la realtà, dei drammatici flutti che spesso ci investono e si abbattono su di noi attraverso le circostanze che ci accadono. Ma dal di dentro di questa furiosa tempesta appare la presenza di Gesù che viene loro incontro, che cammina verso di loro camminando sopra le acque tempestose. Non lo riconoscono subito e questo genera in loro un ulteriore senso di paura. Ma Gesù si avvicina e gli dice: sono io, non sono un fantasma, sono proprio io, non temete. “Sono io, non abbiate paura”: è l’affermazione più attesa dal cuore di un uomo che vive l’esperienza drammatica della realtà. È ciò che abbiamo sempre bisogno di incontrare e di ascoltare in ogni istante della nostra vita. Abbiamo bisogno di sentirla presente e viva in ogni momento, in ogni ora del nostro procedere esistenziale. Sentirla presente e viva dentro quelle circostanze drammatiche in cui la nostra vita si imbatte e che sono molto spesso più gravi della realtà di una barca in balia delle onde. Dove verifichiamo l’inutilità e l’inadeguatezza di tutti i nostri tentativi o delle nostre presunte capacità, come emerge evidente nell’esperienza di quel remare inutile ed inefficace degli apostoli. “Sono io, non temete”. Ecco quello che abbiamo bisogno di incontrare, di sentire e di vedere, come un bambino perso, smarrito e pieno di paura ha bisogno di sentire la voce della mamma e poi di vedere la sua presenza che gli viene incontro per stringerlo forte a sé. Non cambiano le circostanze, non diminuisce il dramma, non si placa la furia delle onde che si abbattono sulla vita. Ma il nostro cuore sente di essere dentro una presa e un abbraccio più forte dei flutti e dei venti contrari, che lo rendono certo e capace di poter camminare e affrontare tutto. È semplicemente l’esperienza di come Gesù è sempre presente e non ci abbandona mai. Non ci lascia mai soli, in balia dei flutti impetuosi e dei nostri fallimentari tentativi personali. Tentativi che mostrano sempre, non solo la loro incapacità, ma anche di aggravare ulteriormente il nostro stato di paura e di angoscia. È sempre presente e, se lo lasciamo entrare, si mostra sempre più forte di tutto quello che incombe su di noi. Quell’esperienza di buio e di tenebre, quel profondo stato di paura e di angoscia che così spesso ci assedia dappertutto, quella paura di non farcela, di cadere, di affogare, quella paura di affrontare la vita per quella che è, di rapportarsi con la realtà per quella che è, solo nella presenza e nella compagnia di Gesù che cammina con noi, trovano la loro unica e reale capacità di affronto e di vittoria. Dal di dentro di ogni momento della nostra vita, anche il più drammatico, possiamo incontrare e ascoltare la presenza di Gesù che ci dice ciò che è impossibile che qualcun altro possa dirci: sono io, non temere, io ho vinto tutto quello che ti vince, non avere più paura. Solo tu, o Gesù, puoi dire alla nostra vita non avere più paura, perché solo tu sei Dio, solo tu sei la resurrezione e la vita e quindi la vittoria su tutto ciò che ci vince, su tutto ciò da cui la nostra vita, senza di te, sarebbe definitivamente soggiogata e vinta.

Il Vangelo di Giovanni conclude la narrazione di questo episodio con quest’affermazione: “… E allora i suoi discepoli lo fecero salire sulla barca e lo presero con sé; e rapidamente la barca toccò la riva alla quale erano diretti”. “Lo fecero salire sulla barca e lo presero con sé”. Questa umanissima dinamica non può ora non provocare tutta la libertà di ciascuno, nella possibilità che sempre ci è data, dentro qualsiasi condizione, di lasciarlo salire sulla “barca” della nostra esistenza, perché il Signore possa camminare con noi dentro tutte le circostanze che ci accadono e mostrarsi, proprio attraverso di esse, come quella Presenza in cui solo è possibile vivere e affrontare la vita, tutta la vita, anche dentro l’assedio e la furia di onde e di marosi: ritrovandosi a camminare sicuri verso il compimento e il Destino.

Quest’esperienza la troviamo confermata anche in un altro episodio vissuto da Gesù con gli apostoli, in una medesima situazione. È descritta nel Vangelo di Matteo. Anche qui viene riportato che la barca è in balia delle onde a causa del vento forte e contrario. Gli apostoli vengono descritti in un medesimo stato di paura e di turbamento. E ancora una volta il Signore viene loro incontro, camminando sul mare fortemente agitato dal vento. Ma i discepoli, vedendolo camminare sulle acque, pensano che sia un fantasma e si trovano ulteriormente aggravati dalla paura. Si mettono a gridare come pazzi per la paura. Ma subito Gesù si rivolge a loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Anche in questa situazione emerge tutta la loro ostinata e persistente incredulità, che non gli permette di riconoscere la presenza di Gesù che gli sta andando incontro. E, nonostante le parole con cui Gesù cerca di confortarli e di farsi riconoscere, i discepoli continuano comunque ad opporre una loro pervicace dubbiezza. Tanto che Pietro gli dice: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Gesù accetta ancora una volta la sfida e gli dice: “Vieni!”. Pietro lo fa e, scendendo dalla barca, si mette a camminare sulle acque e ad andare verso Gesù. Ma a causa della violenza del vento, viene ancora una volta sopraffatto dalla paura e comincia ad affondare, per questo grida: “Signore, salvami”. E Gesù immediatamente gli stende la mano per afferrarlo e tirarlo a sé. Una volta afferrato gli dice: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato? E salirono insieme sulla barca e in quel momento il vento cessò”. Non è mai in forza di una nostra capacità, ma solo di una reale affezione a Cristo che è possibile affrontare e vivere tutto. Il Signore non trasforma mai la nostra natura umana, ma attraverso quello che siamo, che Lui stesso ci ridesta sempre, ci viene incontro per riprenderci, afferrarci, farci camminare con Lui dentro la vita e mostrarsi come l’unico e vero Signore. Quand’è che Pietro rischia di affogare? Quando riconsegna se stesso alla propria misura, alle sue forze, ai suoi pensieri, alle sue immagini. Quando si arresta all’apparenza della realtà e si ritrova ostinatamente chiuso nell’ascolto di quella parola che continua a chiamarlo, a chiedere spazio, a chiedere la fede perché possa entrare nella sua vita – come nella nostra – per afferrarla e salvarla. Quand’è che rischiamo di affogare? Quando lasciamo la presa di Cristo, questa affezione a Gesù per riconsegnarci a ciò che è incapace strutturalmente, alla “forza” dei nostri pensieri e immagini, e quindi alla “forza” della nostra debolezza mortale. E quando le onde del mare si ingrandiscono e si abbattono ulteriormente sulla nostra vita, siamo chiamati ad attaccarci di più a quella mano che sempre ci viene stesa ed è sempre pronta ad afferrarci dentro qualsiasi condizione. Chi lascia questa presa e questo attaccamento per “altro” – magari pronunciando anche il nome di Gesù, ma di fatto non vivendo questo radicale attaccamento a Lui – rischia di affogare. Le onde del mare non smetteranno mai di sollevarsi e di infrangersi pesantemente sulla vita. Ma è proprio qui, in questi momenti che siamo chiamati a fare esperienza della presenza di Gesù vivo, risorto e vincitore; a fare esperienza di come solo nella compagnia di Cristo è possibile vivere e affrontare tutto, è possibile guadagnare forza, capacità, intelligenza e amore per vivere e affrontare tutto. E solo dentro questa quotidiana e crescente esperienza siamo chiamati a testimoniarlo ad ogni uomo. Seguitare a dare più spazio alla nostra misura, ai nostri autonomi tentativi e ai nostri sforzi non può che portare alla medesima esperienza di Pietro quando rischia di affogare. Ma basta un accenno del cuore, del nostro desiderio, della nostra libertà; nemmeno un grido come quello di Pietro, ma semplicemente un sospiro del cuore, perché Gesù possa mostrarsi presente, sempre pronto a prenderci e a riprenderci per mano e a camminare con noi. Lo stiamo vedendo proprio nel cammino paziente e incessante che Gesù fa con i Suoi discepoli. Fin dall’inizio di quei tre anni di umana convivenza, si mostra come una Presenza che non smette mai di attenderli, di riprenderli, di introdurli alla verità, di aiutarli a capire.

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