QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Un fuggevole tocco

Brano di Nicolino Pompei tratto dall’approfondimento “…tutti Ti cercano” e pubblicato nel libro “Mi sei scoppiato dentro al cuore”

«Essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale vedutolo gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: “La mia bambina è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva”. E Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno” (Cfr. Mc5,21-43 - Mt 9,18-25 - Lc 8,41-56) .

Ancora una volta ci troviamo di fronte all’impellente bisogno di un uomo che muove e spinge ad andare a cercare Gesù. All’interno di questo episodio, all’improvviso, entra un altro incontro. È come se l’Evangelista volesse particolarmente richiamare la nostra attenzione su questo momento e farcelo sentire in tutta la sua imprevedibilità. Mentre Gesù, accogliendo la struggente richiesta di questo padre, si sta recando a casa di Giàiro passando attraverso una folla che lo pressava dappertutto, ecco l’entrata in scena di una donna, «una donna che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per mano di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza avere alcun giovamento, anzi peggiorando». Questa donna, avendo udito parlare di Gesù, va a cercarlo.

Cerchiamo di immedesimarci con lei. Non era solo una malata che cerca una guarigione, ma una donna “maledetta”. Una donna che, per la sua malattia, era nella maledizione del giudizio di tutti. Secondo la legge del Levitico era affetta da una malattia considerata umiliante, che la rendeva impura e quindi inavvicinabile e intoccabile. In più, era anche passata attraverso le mani di medici senza scrupoli, patendo cure dolorosissime e altrettanto inutili, consumando e spendendo tutte le sue sostanze senza avere alcun giovamento: anzi, peggiorando. Dunque, una donna oppressa non solo da una malattia, ma dal peso schiacciante di speranze che si sono infrante, di continui aggiramenti e inganni di medici senza scrupoli, che pesavano su di lei tanto quanto la sua inguaribile malattia.

Era una donna sola. Immaginiamola sola e impaurita, terrorizzata dal pensiero di essere riconosciuta e quindi scansata e scacciata dalla gente con feroci ingiurie – anche perché, secondo questa assurda e disumana mentalità sostenuta dalla legge levitica, chiunque l’avesse toccata sarebbe diventato lui stesso impuro e maledetto. Insomma, una donna considerata una malattia vivente, solo da scansare, solo da scacciare.

Ma accade Gesù. Dentro la sua disperazione, accade Gesù. Viene in qualche modo raggiunta dalla presenza eccezionale di Gesù, innanzitutto attraverso la testimonianza sempre più crescente di ciò che si diceva di Lui. Come è accaduto a tutti noi.

Quanto è necessario soffermarsi commossi, ancora una volta, sulla modalità misteriosa e imprevista di questo «udito parlare di Gesù»! Anche noi siamo stati investiti e attratti da Gesù attraverso l’incontro imprevisto e sorprendente con una umanità affascinante che ci ha convinti e mossi ad andare a vedere di che si trattava, facendoci ritrovare di fronte alla sua Presenza.

Torniamo all’episodio e torniamo da quella donna. Chissà da quanto tempo avrà pensato di andare da Gesù e di potergli parlare… Quante volte avrà pensato il modo di poterlo fare senza il rischio di essere linciata dalla gente… Immaginiamola nei tanti punti nascosti da dove lo avrà osservato anche da lontano, cercando il modo e il coraggio di andargli vicino. Ma quel giorno, quel giorno spinta da questo bisogno prorompente e da una fede misteriosa e certa verso Gesù, va e si butta tra la folla. Magari si sarà un po’ camuffata per la paura di essere riconosciuta… Cerchiamo di sentire il battito del suo cuore che l’accompagna prima di avvicinarsi impaurita, ma altrettanto decisa, a Gesù. Sì, decisa, perché mossa dalla certezza che «se riuscirà anche solo a toccare il suo mantello, sarà guarita». Lei è certissima che solo un tocco, il solo sfiorare la veste, anzi un lembo della veste di Gesù, potrà guarirla e salvarla. E così, facendosi spazio tra la folla che si accalca e si stringe in maniera pressante a Gesù, lei riesce ad avvicinarsi e a sfiorarlo. Un fuggevole tocco della veste di Gesù. Un fuggevole tocco così decisivo per la sua vita e per la sua salvezza. Era certa che non sarebbe stata lei a contaminare Gesù, ma che Gesù avrebbe contagiato lei. Era certa che, con quel fuggevole tocco, Gesù avrebbe contagiato tutta la sua persona di Lui. E accade quello che la sua fede aveva creduto e confessato. «Subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male».

Quanto abbiamo da imparare da questa donna! Che aiuto e che richiamo riceviamo da lei! Vorrei subito farvi presente una cosa. Come abbiamo ascoltato, nel racconto viene riportato che c’è una folla immensa che pressa Gesù, che invoca e grida il suo nome, ma solo lei, questa donna, lo cerca per toccarlo. Lo mendica nel suo cuore e lo cerca solo per toccarlo e attaccargli la vita, o meglio per lasciarsi contagiare e rigenerare da Lui. Se siamo qui – dopo tutti questi anni – per meno di questa domanda, ricerca e attesa di Gesù, per meno di questa esperienza di attaccamento a Lui, noi continueremo ad essere dei perdenti, a perdere tutto quello per cui la vita c’è e in cui solo può rigenerarsi sino alla pienezza.

Questa donna è, ancora una volta, la testimonianza che anche per la fede di un istante, anche per il desiderio di un attaccamento di un istante a Gesù, la vita può vedersi sempre rigenerata all’istante. Ne avessimo fatte anche di tutti i colori in tutti questi anni; avessimo solo presenziato formalmente questo cammino; avessimo continuato ad assicurare noi stessi a risposte parziali e tutte centrate su nostre misurazioni; fossimo anche noi qui con una vita emorragica, solo per la grazia e la domanda della fede di un istante, solo per la grazia di un’apertura e di un cedimento di un istante alla presenza di Gesù che non viene mai meno, questa vita colpita da grave emorragia può trovarsi guarita, rigenerata e rimessa in cammino. Può ritrovarsi nello stupore di un nuovo inizio e di una nuova speranza. Può ritrovarsi nello stupore e nella commozione di una vita perdonata, liberata dall’incidenza debilitante di errori, fragilità, paure e angosce; rinfrancata e rinforzata da una nuova capacità di affronto, segnata e mossa solo dall’Amore.

Ma c’è qualcos’altro che desidero far emergere: questa donna non aveva minimamente previsto che Gesù – dopo quel fuggevole tocco della sua veste – sentisse «uscire da sé una forza», tanto da rivolgersi verso la folla e i discepoli domandando: «Chi mi ha toccato le vesti?». I discepoli, sbigottiti da questa domanda, gli rispondono: «Tu vedi la folla che ti stringe attorno e domandi: Chi mi ha toccato?».

C’è una tale folla attorno a Gesù che rende irrealistico e impossibile capire chi abbia potuto toccarlo. Ma Gesù continua imperterrito a guardarsi attorno per cercare di vedere chi lo aveva toccato. In quell’istante, la donna si accorge di essere cercata dal suo sguardo e pur piena di paura e tremore – non per Gesù, ma per la folla che l’avrebbe riconosciuta e condannata – cosciente di ciò che le era accaduto, decide di farsi avanti a Lui. Va di fronte a Gesù e, gettandosi ai suoi piedi, gli dice tutta la verità: «Sono stata io, o mio Signore». Gesù, guardandola con una sconfinata tenerezza e chiamandola «figlia mia», le dice: «La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». In queste parole c’è qualcosa di più profondo da cogliere. È come se Gesù volesse dire a quella donna – come a ciascuno di noi – che la forza che è uscita da Lui e che l’ha guarita, in qualche modo, è stata la sua fede, sua semplice e certa fede, a tirarla fuori da Lui verso di lei. Questa fede che domanda, che domanda Gesù, non solo ci porta da Gesù, ci attira verso di Lui, ma chiama e attira anche Gesù a noi, attira tutta la presenza salvifica di Gesù nella nostra vita, attira tutto il suo Amore redentivo dentro i meandri, anche i più sfigurati, del nostro umano. Un cuore segnato dalla fede che mendica – come vediamo nel cuore di questa donna – è il modo sconvolgente che Gesù stesso ci indica per attirarlo a noi, per lasciarlo entrare nella nostra vita, lasciando che sia la sua Presenza ad assorbire su di sé tutto il nostro male, tutto il nostro spurio e donandoci sé stesso, tutto il suo Essere salutare.

Ancora una volta, attraverso questa donna, abbiamo la testimonianza del suo essere solo Misericordia: un infinito Amore che si lascia sfigurare dalla nostra miseria solo per donarci la sua salvezza e attirarci al suo Amore, alla vita segnata e sanata dal suo Amore. Un Amore che ha pietà della nostra miseria, che si lascia attirare dalla nostra miseria, in qualsiasi momento e dentro qualsiasi condizione, per guarirci, risollevarci e rimetterci sempre in cammino verso la pienezza e la beatitudine della vita.

Nel saluto finale che Gesù rivolge a quella donna è come se le volesse dire, come ora lo dice a noi: «Non accontentarti della guarigione ma, da adesso in poi, vivi secondo questa tua fede – la grazia di questa tua fede, che non solo ti ha attirato a Me, ma contemporaneamente ha attirato Me a te – perché sia l’avvenimento decisivo di tutta te stessa, di tutta la tua vita, di tutto il tuo umano nel rapporto con la realtà che dovrai affrontare».

Il cuore, l’umiltà e la fede certa e mendicante di quella donna vengono indicati da Gesù come parametro di un atteggiamento e di un’esperienza che non devono mai venire meno e che per grazia, solo per grazia, possono e devono essere sempre rinvenuti e rinnovati in ciascuno di noi, quale che sia la nostra condizione attuale.

Nicolino Pompei

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