La giornata della memoria

Ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno

Tre contributi... affinché non vengano mai più scritte pagine di storia come questa

26 Gennaio 2019

Il giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell'Olocausto. È stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria. La risoluzione fu preceduta da una sessione speciale tenuta il 24 gennaio 2005 durante la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite celebrò il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti e la fine dell'Olocausto. Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell'Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. L'Italia ha istituito formalmente la giornata commemorativa con alcuni anni d’anticipo rispetto alla risoluzione delle Nazioni Unite, per ricordare le vittime dell'Olocausto e tutti coloro che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere i perseguitati ebrei. Le finalità di questa giornata commemorativa vengono delineate attraverso gli articoli 1 e 2 della legge n. 211 del 20 luglio 2000: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, <<Giorno della Memoria>>, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del <<Giorno della Memoria>> di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
L'invito che ci viene dalla realtà è dunque quello di ripensare a una simile strage di proporzioni epocali, affinché non vengano mai più scritte pagine di storia come questa. Noi vogliamo farlo proponendo 3 contributi già pubblicati in Nel Frammento. Il primo riguarda l’incredibile storia dei ragazzi martiri della Rosa Bianca. La Rosa Bianca (in lingua tedesca: Die Weiße Rose) è un gruppo di studenti cristiani attivo dal giugno 1942 al febbraio 1943, che si oppose in modo nonviolento al regime della Germania nazista. I principali componenti di questo sodalizio, i fratelli Hans e Sophie Scholl e Christoph Probst, poco più che ventenni, vennero arrestati, processati e condannati a morte mediante decapitazione (Amici per la verità,  amici per l'eternità).
Padre Massimiliano Kolbe è conosciuto soprattutto per il gesto finale e supremo di aver offerto la propria vita in cambio di quella di un padre di famiglia condannato a morte. Nel tempo sono state raccolte diverse testimonianze che rivelano la sua straordinaria umanità come quella di Ladislao Swies : “Il 28 maggio del 1941, le SS caricarono 320 prigionieri su un treno merci per deportarli ad Auschwitz. Dopo che ci ebbero stipati nelle vetture senza finestre cadde un silenzio di morte. Ma improvvisamente, con mia grande sorpresa e gioia, qualcuno cominciò a cantare. Sotto l’incoraggiamento dei canti e dei racconti di Padre Kolbe, ci sentimmo veramente meglio e dimenticammo il nostro triste destino”. C’ è la testimonianza di Giuseppe Stemler che ha scritto: “Fu lui che mi incoraggiò a parlare e finii per confessarmi. Ero così triste e disperato: volevo vivere!. Le sue parole furono semplici e profonde. Mi spronò ad avere una fede salda nella vittoria del bene. <<L'odio non è forza creativa, solo l'amore crea>>, mi sussurrò, stringendo caldamente la mia mano con tutto l'ardore. <<Queste sofferenze non ci spezzeranno, ma ci aiuteranno a diventare sempre più forti. Sono necessarie, insieme ai sacrifici degli altri, perché chi verrà dopo di noi possa essere felice>>. Il modo così caloroso in cui continuava a tenere la mia mano e il modo in cui puntava tutto sulla misericordia di Dio mi rincuorarono”. Miecislao Koscielniak ha dichiarato invece: “Ci spronava a perseverare coraggiosamente. <<Non vi abbattete moralmente>>, ci pregava, assicurandoci che la giustizia di Dio esiste e che avrebbe alla fine sconfitto i nazisti. Ascoltandolo attentamente dimenticavamo per un po' la fame e il degrado a cui eravamo sottoposti. Ci faceva vedere che le nostre anime non erano morte, che la nostra dignità di cattolici e di polacchi non era distrutta. Sollevati nello spirito, tornavamo nei nostri Blocchi ripetendo le sue parole: <<Non dobbiamo abbatterci, noi sopravviveremo sicuramente, loro non uccideranno lo spirito che è in noi>>”. La testimonianza di Francesco Gajowniczek salvato dal sacrificio del frate polacco, è quella che abbiamo ospitato in Nel Frammento (Dare la vita per i propri amiciIl sacrificio d’amore di San Massimiliano Kolbe).
Non per ultimo la storia di Marcel Callo che muore anche lui il 19 marzo 1945, a 23 anni, nel campo di concentramento di Mauthausen, con l’accusa di essere “troppo cattolico”. “Aveva un sorriso che impressionava. - Testimonia il suo soccorritore - Se io, non credente, che ho visto morire migliaia di prigionieri, sono stato colpito dallo sguardo di Marcel è perché in lui c’era qualcosa di straordinario. Per me fu una rivelazione: il suo sguardo esprimeva una convinzione profonda che portava verso la felicità. Era un atto di fede e di speranza verso una vita migliore. Non ho mai visto in nessuna parte, accanto ad ogni moribondo (e ne ho visti migliaia), uno sguardo come il suo. Per la prima volta nel viso di un deportato vedevo un’impronta che non era unicamente quella della disperazione” (Aveva lo sguardo di un santoMartire a 24 anni in un campo nazista).

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