QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Il mio cuore è lieto perché tu, Cristo, vivi

Dall’approfondimento “…perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”

Non riflettiamo mai abbastanza sul fatto che queste parole Gesù le dica poche ore prima d’essere fatto prigioniero e crudelmente ammazzato. Gesù parla di gioia poche ore prima del suo assassinio, poche ore prima di essere catturato e ucciso. Quindi la gioia che Cristo promette e afferma è qualcosa che ha a che fare e passa anche attraverso le prove più dure, le fatiche più insopportabili, e anche attraverso l’amara realtà delle nostre incombenti fragilità e miserie. Per questo, la gioia che Gesù afferma è proprio un’altra cosa da quella che viene proposta e favorita dalla mentalità comune e mondana.

Quello che c’è di mezzo, quello che sta a tema quando parliamo di gioia come assoluta esigenza del cuore non può ritrovarsi nella realtà di contentezze, di gioie, di appagamenti superficiali, effimeri, momentanei, parziali…: realtà che, non a caso, hanno sempre il connotato e l’ambito del “di-vertere”, della distrazione, dell’evasione, della fuga, dell’alienazione, dello stordimento, della ubriacatura, dello svuotamento, del non pensare… in cui “tutto cospira a tacer di noi”. Tutto questo non può essere e non può dare la gioia attesa dal cuore, non può essere il modo di trovarla. Ed è lo stesso irriducibile “cuore” che lo mostra e lo rinfaccia sempre alla nostra vita nell’esperienza di una continua e grave delusione, di una reiterata e profonda tristezza, che può arrivare fino alla disperazione, fino alla patologia.

La gioia proposta e promessa da Gesù è proprio un’altra cosa perché non è l’affermazione di una realtà precaria, momentanea, evasiva con cui poter ammortizzare o silenziare il dramma della vita, il dramma della nostra miseria umana. La gioia proposta e promessa da Gesù è la sua stessa presenza, è la gioia della sua presenza come avvenimento vivo dentro tutta la nostra condizione umana ed esistenziale, dove si mostra vincitore e vincente su tutto quello che inesorabilmente ci vince e ci vincerebbe sempre. La possibilità della gioia del cuore è solo dentro l’esperienza certa della sua presenza capace di farci attraversare e vincere tutto quello che è impossibile per noi attraversare, sopportare e vincere.

C’è un verso del salmo 83 che, nella sua essenzialità, dice tutto: “Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente”. Come dire, usando un’espressione a me cara di don Giussani: “Il mio cuore è lieto perché tu, Cristo, vivi”. Il mio cuore è lieto, è nella gioia non perché le circostanze non sono più drammatiche, non perché i limiti, le paure, le angosce, le miserie, le sofferenze, le tenebre del male e della morte scompaiono, si eliminano; ma perché, dentro queste condizioni e circostanze drammatiche della vita, c’è la presenza di Gesù, di colui che è nato, morto e risorto per la nostra salvezza, per renderci capaci di poter vivere e attraversare tutta la vita, fin dentro la miseria, la prova, la sofferenza, la morte. Ciò che cambia tutto e rende il nostro cuore lieto è la presenza di Cristo, e di Cristo risorto.

Come non tornare a quell’analogia a cui spesso faccio riferimento, a quella di un bambino che si trovasse a dover attraversare una strada buia paralizzato dalla paura: quello che cambierebbe tutto, quello che trasformerebbe il suo cuore riempiendolo di una forza, di una capacità insperata, di una gioia improvvisa e commossa, sarebbe il sentire, il riconoscere - dentro quella condizione drammatica - la presenza di suo padre, la presenza certa di suo padre che, afferrandolo, gli permetterebbe di attraversare sicuro, fiducioso e lieto quel buio, quella strada buia.

Nella notte di Natale ascoltiamo le parole del profeta Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia”. La vera gioia non è l’eliminazione della notte, delle condizioni e delle circostanze drammatiche, ma è la presenza di una luce dentro le tenebre, che rifulge nelle tenebre, più forte delle tenebre. È dentro la notte che sorge il giorno della presenza di Cristo, è nelle tenebre che risplende la luce della presenza di Gesù. Così cantiamo nel cantico di Zaccaria: “Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”. E nel prologo di san Giovanni leggiamo: “In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre…”. Questo è il cristianesimo, questo è Gesù; ed è nella sua presenza viva - che vive dentro la nostra esistenza e cammina con noi fin dentro le tenebre della nostra vita - la possibilità della gioia del cuore dentro qualsiasi condizione: ecco la straordinaria ed esclusiva originalità del cristianesimo, irrealizzabile e impossibile per qualsiasi promessa/pretesa utopistica, ideologica, spiritualistica o mondana.

Come non tornare a quella notte in cui i discepoli avevano ininterrottamente faticato nello gettare le reti in mare senza prendere nulla: è proprio lì, proprio dentro quella loro impotenza e infruttuosità, che Gesù accade, viene, si presenta a confortare il loro cuore, a sostenere e indirizzare la loro fatica verso il punto più adeguato per un sicuro pescato copioso. Gesù accade e realizza ciò che a noi è impossibile: “Presero una tale quantità di pesci che le reti quasi si spezzavano”.

Come non tornare a quella notte in cui i discepoli si trovavano in barca nel pieno di una tempesta, impauriti e sfiniti dallo sforzo profuso per non ribaltarsi: Gesù arriva proprio lì, nel pieno della tempesta, camminando su quelle acque tempestose e presentandosi loro con queste parole: “Sono io, non temete”. E appena lo lasciarono salire sulla barca, d’improvviso la tempesta si calmò e rapidamente l’imbarcazione toccò la riva alla quale erano diretti.

Ciò che cambia tutto è la presenza di Gesù, il Dio con noi. Ciò che cambia tutto è lasciare entrare la sua presenza dentro l’imbarcazione della nostra esistenza, dentro qualsiasi condizione. Questo è il cristianesimo: il giorno che sorge dentro la realtà della notte; la forza e la consolazione che scaturiscono dentro la realtà terribile di paure e angosce, sofferenza e dolore; la pace che germoglia nel mezzo di guerre e divisioni; la misericordia che emerge e risplende nel cuore dei miseri e che si afferma infinitamente più grande di tutte le nostre miserie; la redenzione che libera dalla prigionia e dalle catene dei nostri deleteri e soffocanti peccati, errori e tradimenti; la risurrezione che prorompe luminosa e vincente sulla tremenda notte della morte. È lui, Gesù, quella luce, quella forza, quella consolazione, quella pace, quella misericordia, quella speranza, quella redenzione, quella risurrezione; è Lui quella presenza viva e reale che sola è capace di riempire continuamente il cuore di questa rinnovata certezza sulla quale fondare la vita in ogni momento del nostro rapporto con la realtà, e che ci rende capaci di attraversare l’avventura drammatica della nostra condizione umana.

“Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia”: la possibilità della gioia è solo e sempre nella certezza che Dio è con noi, nella presenza di Gesù vivo, risorto e vincitore. È solo e sempre nell’esperienza di questa certezza: nella certezza - dentro una rinnovata e continua evidenza esperienziale - che la sua presenza è più grande di tutta la nostra debolezza mortale, che la sua misericordia è sempre infinitamente più grande di tutte le nostre miserie, che la sua luce è più forte delle nostre tenebre, che la sua risurrezione si afferma sempre vincente sulla realtà della morte come ultima parola sulla vita. La possibilità della gioia è solo e sempre nell’esperienza reale e rinnovata della sua compagnia presente, del suo amore incessante, del suo abbraccio rigenerante anche dentro le prove e le tragedie più dure, sempre più grande e più forte di tutto ciò che si abbatte come tempesta sulla nostra vita. È solo dentro questa esperienza che si impara a riconoscere un’ultima e irrevocabile positività dentro tutto, a riconoscere quello che afferma l’apostolo Paolo: “Tutto coopera al bene per coloro che amano Dio”. E sappiamo che sant’Agostino addirittura aggiunge “etiam mala”: anche i nostri mali, i nostri peccati, i nostri errori. Sì, la vera gioia scaturisce dalla certezza che questi non sono l’ultima parola su di noi, ma che tutto - proprio tutto, anche i nostri mali e i nostri peccati - per la misericordia di Dio, nella presenza di Gesù, nella sua compagnia vissuta, risulta un’occasione e una strada per sperimentare e conoscere il suo amore presente, la sua misericordia che non smette mai di perdonarci, di rialzarci, ricostituirci e rigenerarci alla vita.

Nicolino Pompei

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