QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

La VITA ha distrutto la morte

Dall'approfondimento "La bocca non sa dire, né la parola esprimere: solo chi lo prova può credere cosa sia amare Gesù"

Questa mattina siamo stati introdotti alla preghiera delle Lodi con il canto del magnifico inno delle Monache Trappiste di Vitorchiano. Sono parole che non contraddicono quello che abbiamo messo a tema perché scaturiscono da una vita segnata radicalmente, nel silenzio e nella preghiera, giorno e notte, dall’amore di Cristo e dall’amore a Cristo. “L’aurora risplende di luce, il cielo si veste di canti, la terra inneggia gioiosa a Cristo risorto dai morti. La Vita ha distrutto la morte, l’Amore ha lavato il peccato; e Cristo, splendore di gloria, illumina il nostro mattino...”. C’è una misteriosa azione di lode e glorificazione che contemporaneamente ci precede e ci avvolge nel segno della realtà naturale, che magnificamente ci viene descritta come tutta inneggiante a Cristo risorto, all’Amore che ha lavato il peccato, alla Vita che ha distrutto la morte. A Cristo risorto che del suo splendore divino e vincente illumina il mattino, il nostro mattino, ogni e qualsiasi mattino. “Con l’anima piena di gioia in Lui ci scopriamo fratelli”. La vita illuminata dal suo splendore sovrabbonda di gioia ed emerge in una nuova affezione in cui ci si riconosce dono e figli di un unico Padre, di un nuovo, originale e costitutivo Amore che ha chiamato ciascuno alla vita dal niente. E in Cristo - rivelazione di questo Amore - ci scopriamo e ci sorprendiamo fratelli. “Al nostro raduno concorde un Ospite nuovo si aggiunga”. Radunati senz’altro lo siamo. E non mi riferisco solo a questo momento. Ma l’inno specifica “concorde”. Concorde: dal latino concors, concordis, composto da cum-cordis,cioè insieme uniti nello stesso cuore, insieme uniti nella stessa e per la stessa reciproca, fondamentale e assoluta tensione del cuore. Reciproca, fondamentale e assoluta tensione verso chi? Verso l’Ospite. L’Ospite che di nuovo e sempre siamo chiamati ad ospitare. Colui di cui il cuore è affamato e assetato originalmente e sempre. Colui che solo ci fa una cosa sola, come un unico corpo. Diversamente non saremmo altro che un ulteriore e specifico raduno di uomini e di donne ammassati dentro un tendone: nient’altro che uno fra i tanti fenomeni aggregativi e un ulteriore dato sociologico. “Al nostro raduno concorde un Ospite nuovo si aggiunga”. Ora, non è che l’Ospite non sia presente o debba essere convinto ad entrare. Il richiamo è certamente a ciascuno di noi perché lasci emergere il proprio cuore come cuore e stia dalla parte del cuore per quello che è. Lasciando entrare Colui che già c’è, che anela ad essere ospitato da ciascuno e che solo corrisponde al cuore. Il cuore, se lo lasciamo emergere e lo seguiamo nel suo battito originale ed esistenziale, lo sentiamo solo e tutto fatto di questa tensione, di questa attesa, di questo desiderio infinito. E Colui che il cuore domanda e attende, l’Ospite sempre atteso, è già presente, è sempre presente. È la presenza di Cristo che solo corrisponde sempre. Che ciascuno di noi possa riconoscere e aderire a questo raduno come raduno concorde cioè tutto teso a Cristo e alla sua Presenza. E lo faccia entrare, lo lasci entrare ora e in ogni ora del tempo della vita. “Lo faccia entrare”: fin dal primo mattino, deve essere tutta la nostra preghiera, tutta la nostra energia di libertà, ragione, affezione e amicizia. Perché “a noi, come già a Maddalena, il Cristo risorto si sveli; ci incontri e ci chiami per nome Colui che era morto ed è vivo...”. Perché Cristo risorto da morte, il senso e la salvezza della vita di ogni uomo, tutta la consistenza della realtà, possa continuare ad incontrarci, a rivelarsi, a chiamarci per nome per assumerci e definirci compiutamente e portarci con Lui dentro la vita e al Destino. “Ritorni sul nostro cammino e la sua Parola c’infiammi...confermi la debole fede.... “Ritorni sul nostro cammino”. Ma è già nel nostro cammino. Anzi è proprio il nostro cammino. “Ritorni” è solo provocazione alla nostra libertà. Il ritornare che invochiamo è solo richiamo all’apertura della nostra vita alla sua Presenza che continuamente supplica la nostra libertà. Quello che Dio ci chiede è sempre un rapporto, che incessantemente Lui stesso per primo domanda, mendicando di entrare nella nostra vita per esserne il Signore che solo la corrisponde. Che solo la alimenta e la potenzia di significato, di verità e di luce, recuperandola nel suo Amore dall’aridità e dall’oscurità in cui spesso si trova. Siamo qui perché “l’Amore che ha lavato il peccato, la Vita che ha distrutto la morte” ci infiammi di nuovo con la sua Parola, nella sua Presenza viva e risorta che parla e chiama adesso ciascuno per nome. “Confermi la debole fede”, la debole fede perché c’è dimezzo il dramma della mia libertà, della mia adesione, del mio passo di sequela e di attaccamento a Lui. “Confermi la debole fede”, perché non sia la nostra strutturale debolezza o fragilità a dominare o a dominarci, ma la sua Presenza sempre più forte e vincente sulla nostra fragilità. La coscienza della nostra debolezza e fragilità rinnovi la verità di quello che siamo, l’urgenza della nostra domanda e la necessità di cedimento alla sua Presenza che cambia. “In questa letizia pasquale, rifatti di nuovo innocenti...”. Investiti dalla certezza di essere sempre e di nuovo “rifatti innocenti” dalla Grazia della sua redentiva Presenza che la vita di ciascuno è chiamato ad ospitare. È realmente inaudito poter sentire, dentro una vita così spesso macerata dalla totale dimenticanza di Dio: “Rifatti di nuovo innocenti”. È solo possibile sentirlo nell’esperienza del suo Amore. Solo l’Amore Infinito che l’ha posta in essere dal niente e in Cristo l’ha salvata e redenta, può ricrearla sempre e nuovamente aprirla al suo dinamismo originale. “Ritorni nel nostro cammino, ci incontri di nuovo e ci chiami per nome”. L’esser chiamati per nome, l’esser chiamati per nome da Cristo non è la qualificazione di un individuo rispetto ad altri. Qui c’è proprio la qualificazione e l’affermazione dell’essere originale ed irripetibile di ciascun uomo. Il nome qualifica e afferma l’essere. L’essere originalmente chiamato alla vita dall’Essere, dall’Amore dell’Essere costitutivo di tutto e di tutti. L’essere originale, irripetibile, inconfondibile, irriducibile di ciascuno chiamato alla vita. Questo lo sentiamo anche nel sacramento del Battesimo. Dare il nome ad un bambino non è per saperlo individuare o differenziare fra tanti o dagli altri. Ma è l’affermazione dell’essere originale di quella vita, proprio quella vita, che viene afferrata da Cristo e assimilata al suo Amore, alla Vita e all’Amore che ha distrutto la morte e lavato il peccato. Dire il proprio nome è qualcosa che riguarda e tocca l’irripetibile, inconfondibile ed irriducibile essere di ciascuno. L’essere amato e voluto di ciascuno proprio come“io” da Colui che è Infinito Amore. Nonostante tutti i tentativi di soppressione o di manipolazione delle molteplici operazioni ideologiche di questo mondo, volti a strappare l’uomo da questa dipendenza originale, rimane insopprimibile e ultimamente irriducibile questa costituzione. Nella resurrezione e nella presenza di Cristo siamo riaffermati proprio come “io”, voluti e amati ciascuno originalmente e ad immagine e somiglianza di Dio. Tutto quello che siamo e desideriamo è dentro l’esperienza delle parole dell’inno che abbiamo pregato. Che trovi spazio in noi e sia la nostra esperienza quello che abbiamo pregato. L’Avvenimento decisivo è riaffermato: la Vita che ha distrutto la morte, l’Amore che ha lavato il peccato è la Presenza di Cristo ora. È proprio la ragione della nostra Compagnia e di questo Convegno. Che lo sia ora in ciascuno di noi, e sia la Presenza che ospitiamo adesso. Che lo sia ora non dipende da Lui ma da me, cioè dipende da me che dipenda da Lui. Dipende da me, dalla mia apertura a farlo entrare, che la mia vita dipenda da Lui. E farlo entrare come la Presenza decisiva in me di me, di tutto ciò che vive in me e con me. Di tutto ciò con cui la mia vita si rapporta. Sì, perché si può far entrare qualcuno e metterlo da parte, come quando riponiamo cose che non riconosciamo più utili e significative. Farlo entrare perché risulti quello che, con una analogia, il grande Romano Guardini diceva: “... Una certa analogia di tale situazione avverte colui per il quale un uomo acquista un significato essenziale. Non l’umanità o l’umano divengono in tal senso importanti,ma questa persona. Essa determina tutto il resto, e tanto più profondamente e universalmente quanto più intensa è la relazione. Ciò può avvenire in un modo così possente che tutto, mondo, destino, compitosi attua attraverso la persona amata; essa è come contenuta in tutto, tutto le fa ricordare, a tutti essa dà un senso. Nell’esperienza di un grande amore tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io-Tu, e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito...”. Avvenimento, cioè qualcuno che viene e avviene adesso, accade come presenza nella contemporaneità. Farlo entrare come Avvenimento decisivo in cui tutto diventa avvenimento e rapporto nel suo ambito: questa è la vita segnata dalla fede, è fides vita. Un Avvenimento decisivo non a discapito degli altri o di tutto, di altri fattori e rapporti... un Avvenimento che lasciato entrare non butta fuori a spallate i fattori o i rapporti che vivono in noi. Immaginatevi che nella vostra casa entri una luce intensissima. Questa non butta fuori e non evita niente e nessuno. Ma è luce che illumina, fa emergere, chiarisce e rivela totalmente e pienamente persone, rapporti, cose e fattori in cui la vita è chiamata a vivere. Occorre proprio una sconsideratezza e un disamore assoluto perché ciascuno non si senta abbracciato e risollevato alla vita solo nel sentirla così riaffermata da queste parole. Occorre l’insensatezza, la sconsideratezza di far pesare di più i nostri vacui pensieri, che hanno il peso specifico di una piuma, rispetto alla folgorante illuminazione di questa Presenza di amore, sempre fedele alla vita di ciascuno, che si sta manifestando proprio adesso. Un Amore che cammina con noi non arretrando mai dalla nostra vita, dentro qualsiasi condizione o situazione si possa trovare. Un Amore che non disdegna mai – come per dolcissima analogia verifichiamo in una qualsiasi madre - di riammettere nel suo abbraccio, anche nella condizione più sudicia, l’umano di ciascuno, la vita di ciascuno perché possa riprendere a camminare. Un Amore che chiede solo di aprire le porte della nostra vita e di lasciarlo entrare. “Ecco io sto alla porta e busso. Chi ascolta la mia voce e mi apre,entrerò da lui e mi siederò a mensa con lui,ed egli con me” (Ap 3, 20). È proprio sconvolgente l’espressione di questa mendicanza di Dio ad un’intima e familiare corrispondenza con l’uomo. Ha i connotati confidenziali e familiari di un invito a cena, di uno stare a cena, di un abitare insieme che coinvolge tutto, fin nell’espressione della più intima e familiare convivialità.

Nicolino Pompei

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