QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Si è seduto stanco e assetato... per me

Dall’approfondimento “Mai un uomo ha parlato così… e non abbiamo mai visto nulla di simile”

Così Gesù giunse a Sichar, una città della Samaria, nelle vicinanze del podere che Giacobbe diede a suo figlio Giuseppe. Là c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù, stanco del viaggio, si sedette sul bordo del pozzo. Era verso mezzogiorno…”. A pochi metri da quel pozzo vi era una casa abitata da una donna samaritana, una donna che suscitava le attenzioni di molti sguardi e anche molti pregiudizi, presumibilmente perché era una donna procace e soprattutto per le sue particolari frequentazioni maschili. Per questo veniva additata come una donna di facili costumi. Invece, probabilmente, è solo una donna insicura, fragile, sola, che cerca di trovare la sua sicurezza, la sua consistenza, la sua identità nel rapporto con vari uomini; di colmare la sua mancanza nella ricerca di rapporti continui, attraverso una molteplicità di attenzioni, seduzioni che la facciano sentire al centro della considerazione e dell’affetto di qualcuno.

Quel giorno - proprio quel giorno - verso mezzogiorno, questa donna si reca ad attingere acqua al pozzo dove Gesù si è seduto stanco. Come potete ben immaginare, a quel tempo tutto il minimo fabbisogno di acqua per bere, per cucinare, per lavarsi poteva essere soddisfatto solo attraverso un pozzo dove tutti si recavano ad attingere l’acqua necessaria. Quindi, per questa donna, recarsi a quel pozzo è un gesto più che quotidiano. Ma quel giorno accade Gesù. Accade Gesù che siede stanco e assetato sul bordo di quel pozzo. Ed è proprio a quella donna che Gesù chiede da bere: “Dammi da bere”. Gesù fa dipendere da lei la possibilità di essere dissetato. È lui che si mostra bisognoso ed è quella donna che può rispondere al suo bisogno. È il meraviglioso paradosso del mistero dell’amore di Dio e della sua incarnazione, una novità sconvolgente: è Gesù che chiede da bere quando dovrebbe essere il contrario. È Dio che si fa bisognoso e mendicante per far emergere la nostra sete di lui, per incontrarla e pienamente soddisfarla. Il suo sedere stanco e assetato è la testimonianza dell’avvenimento inaudito della sua incarnazione, del suo essersi fatto uomo fino in fondo. E il suo essersi fatto uomo - e uomo fino in fondo - è solo per continuare a cercare ogni sua creatura. Quindi contemporaneamente la sete di Gesù è l’incarnazione della sete di Dio. Nella sete di Gesù si incarna e si mostra la sete di Dio: sete di ogni sua creatura, del cuore e dell’amore di ogni sua creatura, sete del mio cuore e del mio amore. Gesù, assetato della sua creatura, si mostra come un mendicante che mendica di essere soddisfatto della sua sete di noi per soddisfare la nostra sete di lui. È proprio dell’amore, la peculiarità assoluta dell’amore vero, aver sete l’uno dell’altro. Quindi dire che Gesù ha sete dell’amore di quella donna non è solo una metafora. Infatti, lui che è Dio si riduce ad essere un pover’uomo, a sedersi stanco e assetato come un pover’uomo, solo per andare in cerca della sua creatura perduta: è l’incarnazione dell’amore di Dio, è la sete umana e incarnata della sete di Dio verso ogni uomo. Nella sete fisica di Gesù c’è tutta la verità del suo essersi fatto uomo: “per noi uomini e per la nostra salvezza”. Perciò il suo sedere stanco e assetato al pozzo di Giacobbe è davvero una ulteriore e inaudita espressione del suo Essere ardentemente assetato del cuore, dell’amore, della salvezza di quella donna come di ogni uomo.

Tutto questo risulta ulteriormente sconvolgente per il fatto che Gesù si rivolge ad una donna samaritana: per un giudeo non c’era insulto peggiore che essere paragonato ad un samaritano. Infatti è la stessa donna che si meraviglia che un giudeo possa chiederle da bere. È un comportamento molto strano: “Come, tu un giudeo chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?”. Qui inizia un dialogo struggente che non solo prosegue a rivelare tutta la vera natura dell’Essere di Gesù, ma anche a mostrare e a far emergere tutta la vera e profonda natura del cuore di quella donna, come di ogni uomo. “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: dammi da bere, tu stessa glielo avresti domandato ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva”. Colpita da questa risposta, quella donna ribatte a Gesù: “Signore, tu non hai nulla con cui attingere e il pozzo è profondo: da dove prendi l’acqua viva?”. Evidentemente è una donna sveglia e perspicace, una di quelle che non le manda a dire. Gesù le risponde: “Chi beve quest’acqua avrà sete di nuovo”. “Ma guarda un po’ che scoperta!!!”, avrà pensato quella donna. Ma Gesù riprende: “Chi invece berrà l’acqua che io gli darò non avrà più sete”. Non solo: “L’acqua che io gli darò diventerà in lui una fontana di acqua generatrice di vita eterna”.

Gesù, con queste parole, non solo “costringe” quella donna ma anche ciascuno di noi a domandarsi di cosa l’uomo ha veramente sete, di chi ha veramente sete, di chi ha veramente bisogno; e chi può pienamente soddisfare questa sete, spegnere quell’arsura da cui è drammaticamente segnato il nostro terreno umano. Questa donna viene “costretta” ad incontrare e a conoscere tutta la verità del suo cuore, ad incontrare e a far emergere consapevolmente tutta la sua tormentata e tormentosa sete di amore, di cui non si è mai resa conto fino in fondo ma che ha condizionato drammaticamente tutta la sua esistenza. E Gesù si serve proprio di un “tratto” particolarmente intimo e fragile di questa sua tormentata esistenza per farla uscire definitivamente allo scoperto: “«Va’ a chiamare tuo marito»… Rispose la donna: «Ma io non ho marito». Gesù le disse: «Hai detto bene, infatti ne hai avuti cinque e quello che hai ora non è tuo marito»”. La donna si trova sconvolta: “Come fa a conoscermi senza conoscermi?”, e in quell’istante sente di colpo sciogliersi il cuore, lo sente riemergere dalla tristezza e dalla durezza dentro cui il suo peccato lo aveva imprigionato, e riaffiorare in tutta la sua sete più profonda. Nella sua carne e nel suo cuore sente emergere tutta la sua sete di verità e di vita. Una carne e un cuore che, per la prima volta, accetta di guardare e di riconoscere gravemente delusi e feriti da tutti i tentativi con cui ha cercato inutilmente e drammaticamente di soddisfarli. E quella donna finalmente fa “sbottare” il suo cuore: “Signore, dammi di quest’acqua… So che deve venire un Messia, chiamato Cristo: quando verrà ci annuncerà ogni cosa”. E dentro questo presentimento che inizia a dominare il suo cuore, si sente rispondere da Gesù: “Sono io, sono io che ti parlo”. A questo punto il Vangelo ci riferisce che la donna, sconvolta dalle parole di Gesù, presa da una irrefrenabile gioia, lascia cadere la sua anfora e superando qualsiasi forma di insicurezza e timore rispetto al pregiudizio con cui veniva guardata e definita, corre in città a dire a tutti quelli che incontra: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto le cose che ho fatto: che sia il Cristo?”.

Attraverso questa donna ci viene ancora una volta mostrato il criterio infallibile del cuore. Il nostro cuore - se lealmente e veramente considerato - sa riconoscere sempre l’eccezionalità di una presenza che sorprendentemente è capace di svelarlo e farlo emergere in tutta la sua vera natura e, contemporaneamente, di corrispondere e soddisfarlo pienamente. Il nostro cuore sa riconoscere sempre l’eccezionalità di una presenza che in maniera unica e straordinaria è capace di penetrare, saper leggere, svelare e far emergere la profondità - anche più nascosta - del nostro umano, la vertiginosa realtà del nostro più profondo bisogno, della nostra più profonda mancanza, mostrandosi come l’unica capace di saperla abbracciare e corrispondere. Solo chi ha fatto il nostro cuore può essere capace di conoscerlo, di svelarlo, farlo emergere e soddisfare veramente e pienamente. “Ho incontrato uno che mi ha detto tutto di me e di ciò che ho fatto; uno che è stato capace, senza conoscermi, di saper leggere, dispiegare, far emergere tutta la sete tormentosa e insoddisfatta del mio cuore, affermandosi come l’unico capace di poterla soddisfare”. E attraverso questa elementare e disarmante testimonianza, molti di quegli uomini e di quelle donne che l’avevano ascoltata, si recarono da Gesù pregandolo di poter rimanere con lui. Dice il Vangelo che rimasero per due giorni e dopo averlo ascoltato, tornando dalla donna, le dissero: “Non è più per la tua parola che crediamo; noi stessi lo abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”. È questa l’irrinunciabile dinamica esperienziale per il riconoscimento di Gesù e per la testimonianza ad ogni uomo. È questa la nostra esperienza. È per rinnovare questa esperienza che noi ora siamo qui, viviamo il nostro cammino e siamo chiamati ad essere amici. Ed è per la testimonianza di questa esperienza che siamo stati chiamati e siamo chiamati a stare nel mondo.

Resta in contatto

Iscriviti alla Newsletter