QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Un coinvolgimento che abbraccia tutta l’esistenza

Dall’approfondimento “Lui tagliò corto… facendo il Cristianesimo”

Sono tanti i momenti di questi “suoi tre anni” che abbiamo a cuore e che più volte torniamo ad incontrare attraverso il Vangelo. Oggi vorrei soffermarmi su alcuni che possono essenzialmente aiutare ciascuno di noi, non solo ad incontrare, ma soprattutto a lasciarsi radicalmente colpire dall’avvenimento di questo suo “tagliar corto”, di questo suo “fare il cristianesimo”. Il primo episodio che ho scelto è uno di quelli più cari alla mia vita, al nostro cammino e alla nostra educazione. È il primo momento della manifestazione pubblica di Gesù, che segna anche il suo primo miracolo. È quello che detta l’inizio del paziente cammino della sua piena rivelazione. Non si svolge in un contesto eclatante, ma nella semplicità e nel privato di un matrimonio. C’è un intero villaggio in festa per le nozze di due giovani sposi, ma al banchetto di nozze viene invitata solo una ristretta rappresentanza di questa comunità, fatta di alcuni parenti e amici più prossimi. Tra questi, l’invito è rivolto anche a quella che di fatto è la prima comunità cristiana: Maria, Gesù e i discepoli che sono stati già incontrati da Gesù e che formano con lui una compagnia permanente. Non essendo nominato, molto probabilmente Giuseppe è già morto. Possiamo desumere quindi una certa familiarità e prossimità di Gesù e di Maria con gli sposi e con le loro famiglie. Questo contesto è il primo scenario feriale e umanissimo che Gesù utilizza per cominciare a rivelarsi come il Salvatore e il Redentore dell’umanità. Immaginiamo Gesù presente e partecipe ad una festa, e ad una festa di matrimonio. Durante il banchetto nuziale, ad un certo punto, accade qualcosa di insolito; di insolito rispetto ad un pranzo pensato accuratamente e molto tempo prima. È un fatto così singolare e banale da farci sorridere. Cosa accade? Viene a mancare il vino. Ci sono solo due alternative: o questo pranzo è stato organizzato male oppure se n’è bevuto così tanto da farlo terminare anticipatamente. Se fosse vera la seconda ipotesi, c’è da pensare che anche Gesù abbia contribuito a farlo mancare… La mancanza del vino è come dire la mancanza della gioia. Maria - che facilmente immaginiamo sorvegliare lo svolgersi della festa con il suo sguardo amorevole- è, tra tutti gli invitati, la prima ad accorgersi di questa mancanza. E immediatamente le risulta normale intercedere per gli sposi e per quella festa rivolgendosi a Gesù, a suo figlio, a colui che nel suo cuore è certa che solo può garantire e riaccendere la festa attraverso un suo gesto. Gesù viene sorpreso e si mostra anche un po’ infastidito dalla richiesta di sua madre, tanto da avere una sgarbata reazione verso di lei: “Donna, che cosa vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Ma Maria, certa di aver toccato il cuore di suo figlio, si rivolge ai servitori dicendo loro: “Qualsiasi cosa vi dirà, fatela”. Sono le ultime ed essenzialissime parole di Maria che vengono tramandate dal Vangelo. Ma sono parole che risultano come un testamento, una eredità, un richiamo essenziale e decisivo per la vita e il cammino di ciascun uomo: fate sempre quello che lui vi dirà. E Gesù prende l’iniziativa: comincia a fare il cristianesimo. Attraverso tutta una serie di puntuali richieste ai servitori, tramuta l’acqua in vino. E tutti gustarono meravigliati e compiaciuti quel vino nuovo e anche più buono - non poteva che essere più buono!!! E gli occhi dei discepoli cominciarono ad aprirsi sul mistero di Gesù: “E i suoi discepoli credettero in lui”. Questo fatto eccezionale segna anche per loro uno dei tratti iniziali del lungo e drammatico cammino al pieno riconoscimento del Mistero della persona di Gesù.

Perché per me è stato sempre così importante proporvi questo episodio? Perché è uno di quei momenti che mostra, in maniera elementare e incontestabile, la presenza di Gesù come una presenza che c’entra con tutto, che abbraccia, investe e si estende su tutta la vita, senza scartarne un istante, fosse anche il più banale. È in tutto, si estende a tutto, si serve di tutto. Qualsiasi momento, rapporto, condizione e ambito della realtà e della vita è sempre il terreno della sua presenza, di un suo intervento, della sua iniziativa, del suo operare in mezzo a noi per la nostra salvezza. È il terreno e la sorprendente modalità attraverso cui la sua presenzavuole farsi incontrare e riconoscere da noi come avvenimento reale e presente, vuole mostrarsi e farsi riconoscere nell’esperienza di ciascuno come l’unico Signore e Redentore. Quindi, qualsiasi momento, qualsiasi istante della nostra esistenza, qualsiasi circostanza, aspetto o condizione della nostra esistenza - sino a quelli più feriali e banali - è degno del rapporto con lui, è idoneo al rapporto con lui, è occasione di rapporto con lui. È sempre terreno esperienziale della sua presenza viva e reale. Ed è anche il terreno della verifica della nostra fede, del nostro attaccamento a lui e quindi, contemporaneamente, occasione di una nostra testimonianza a tutti. Proprio attraverso questo primo miracolo - ancor prima di tutto il simbolismo liturgico e teologico con cui viene interpretato - Gesù si mostra come una presenza che opera sempre, dappertutto, c’entra con tutto, usa di tutto e si realizza dentro un’assoluta e spesso disarmante “dettagliatezza” e concretezza, tanto da poter anche scandalizzare. Quanti oggi avrebbero contestato Gesù rispetto ad un gesto del genere… Quanti gli avrebbero rinfacciato scandalizzati - come, d’altra parte, accadrà successivamente - di aver compiuto un simile miracolo: tramutare dell’acqua in vino. Il suo primo intervento non è rivolto verso dei bisogni seri e drammatici, ma nell’ambito di una festa matrimoniale, rispondendo ad un bisogno effimero, non necessario, come quello del vino, per garantire attraverso un suo prodigio il procedere di una festa. E invece è proprio uno degli episodi che ritengo più rivelativi dello sguardo di Gesù sulla vita di ciascun uomo, della sua concezione della vita e della sua presenza in mezzo noi. È il Dio con noi, con noi fino in fondo, totalmente coinvolto nell’intera vicenda umana. Un coinvolgimento che si estende a tutto, su tutto, che abbraccia tutta la nostra esistenza: dai fattori più intensamente drammatici e dolorosi sino alle minuzie più elementari e anche più banali dello svolgimento della nostra esistenza. Fin da questo episodio cominciano a riconoscersi i connotati di un Dio che rompe tutte quelle immagini e riduzioni con cui l’uomo può raffigurarlo, con cui può immaginare il suo agire nella storia.  

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