NUMERO 4 / ANNO 2024
“Gaudete!” Di che?
Mi ha sempre colpito questa domanda con cui Nicolino ci provoca in Avvento, quando si avvicina la terza domenica - quella del “Gaudete” appunto - in cui i paramenti liturgici dal viola si schiariscono al rosa, per indicare che l’attesa sta per compiersi. Perché gioire? Solo guardandoci intorno, siamo raggiunti da ogni parte da notizie di guerra, morte e violenza. Di che dovremmo gaudere? E non penso solo a chi vive tragedie ma anche alla “banalità” di ogni nostro quotidiano, dal ritrovarsi in casa una tubatura che perde e il bagno che si allaga ad un esame fallito all’università... Perché la Chiesa ci annuncia che possiamo gioire? Quest’anno, poi, con il Natale si apre anche il Giubileo della Speranza. Il gaudio e il giubilo hanno alla base un’esperienza comune, quella della gioia; sono come sfumature di uno stesso colore. Il gaudio è una dolce, intensa e luminosa letizia che ha il carattere del godimento; il giubilo ha l’espressione dell’esultanza e dell’incontenibilità, etimologicamente è proprio il grido della gioia. È vero che all’invito della Chiesa: “Gaudete! Giubilate!” viene da domandarsi: “Perché? Di che?”, in quanto la nostra esperienza quotidiana, quella fatta dei nostri tentativi di rispondere all’esigenza di felicità che ci anima, è sempre parziale, temporanea, fallace. Ma più grande è la fedeltà di questo invito sostenuto dalla testimonianza di oltre 2000 anni di presenza della Chiesa nella storia, di un popolo che brilla di una Speranza certa anche in condizioni apparentemente disperate. Proprio in queste ore ci hanno raggiunto i volti e le parole dei sacerdoti che ad Aleppo e in Siria restano con il loro popolo anziché mettersi in sicurezza rientrando nei propri paesi di origine. La Presenza che rende possibile un amore così, senza misura, anche a costo della propria vita, è quella stessa che - nelle multiformi modalità suscitate dallo Spirito Santo - possiamo incontrare in tutta la vita della Chiesa e di cui anche questo numero della nostra rivista è ricco. Testimonianze che “rendono visibile l’Essenziale, cioè Gesù Cristo: quello vero, quello vivo… non, come scrive C. S. Lewis, ‹‹qualcosa che gli somigli››”. Nella sua opera Diario di un dolore l’autore riferiva quest’espressione alla mancanza dell’adorata moglie da poco morta. Un dolore così forte, così grande che gli rendeva insopportabile qualunque esperienza non fosse realmente quella di Cristo. La stessa domanda, la stessa esperienza dell’Essenziale segni anche il nostro cammino in questo Natale e nell’anno del Giubileo della Speranza, determini la nostra presenza viva nella Chiesa.